Mentre avanzano nella conquista del Paese, gli «studenti coranici» afghani stanno cercando di intrecciare relazioni internazionali soprattutto con Russia e Cina.
Mentre rivendicavano di aver conquistato l’85% del territorio afghano, i talebani hanno iniziato – soprattutto negli ultimi giorni – a lanciare segnali amichevoli verso Russia e Cina. Tra l’8 e il 9 luglio, una loro delegazione si è recata in visita a Mosca, dopo che il ministero degli Esteri russo aveva mostrato preoccupazione per le conquiste del gruppo islamista: conquiste che, negli scorsi giorni, avevano costretto centinaia di soldati afgani a fuggire oltre il confine in Tagikistan, che ospita una base militare russa.
Va da sé che il Cremlino tema che la riconquista talebana possa produrre effetti destabilizzanti sull’area di influenza russa in Asia centrale. Tuttavia, nel vertice moscovita, gli stessi talebani hanno teso a rassicurare il Cremlino. «Abbiamo ricevuto assicurazioni dai talebani che non avrebbero violato i confini dei Paesi dell’Asia centrale e anche le loro garanzie di sicurezza per le missioni diplomatiche e consolari estere in Afghanistan» ha affermato il ministero degli Esteri russo. Lo stesso portavoce dei talebani, Mohammad Sohail Shaheen, ha precisato di voler «assicurare che non permetteremo a nessuno di utilizzare il territorio afghano per attaccare la Russia o i Paesi vicini». «Abbiamo ottimi rapporti con la Russia» ha aggiunto.
In tutto questo, la settimana scorsa, lo stesso Shaheen ha avuto parole piuttosto calorose nei confronti della Cina. «La Cina è un Paese amico che accogliamo con favore per la ricostruzione e lo sviluppo dell’Afghanistan» ha dichiarato. Ricordiamo, da questo punto di vista, che il ritiro delle truppe americane dal Paese costituisce un’arma a doppio taglio per Pechino. Da una parte, la Repubblica popolare mira a pesanti investimenti economici e infrastrutturali nella ricostruzione afghana, oltre a garantirsi uno spazio in termini di influenza geopolitica: il che, ovviamente, può essere favorito dall’addio di Washington. Dall’altra parte, il ritiro apre scenari di forte instabilità: scenari che la Cina teme, soprattutto perché rischiano di mettere a repentaglio i suoi energici investimenti economici nel vicino Pakistan.
Per quanto poi riguarda il rapporto tra Pechino e i talebani, si tratta di una questione dai contorni complessi. Le due parti hanno senz’altro dialogato soprattutto negli scorsi mesi, ma la situazione generale presenta aspetti non poco contraddittori. Da una parte, i talebani storicamente non apprezzano la repressione degli uiguri nello Xinjiang. Dall’altra, è pur vero – come abbiamo visto – che gli stessi talebani hanno appena teso la mano a Pechino. Un atteggiamento, questo, probabilmente spiegabile in due modi.
A breve termine, è chiaro che i talebani, sempre più convinti di riuscire a creare un proprio governo, hanno bisogno di finanziamenti per la ricostruzione economica e la Cina, da questo punto di vista, può rivelarsi un partner prezioso per loro. In tal senso, le divergenze sul piano ideologico e religioso potrebbero essere (almeno momentaneamente) messe da parte. E non è affatto escluso che Pechino, dal canto suo, possa subordinare il proprio aiuto economico a una collaborazione – da parte talebana – al contrasto del Movimento islamico del Turkestan orientale.
Nel medio e lungo termine, i talebani – qualora riuscissero realmente a costituire un governo autonomo – sanno di avere necessità di una fitta rete di rapporti internazionali. Essi non hanno del resto mai dimenticato che l’ Emirato islamico dell’Afghanistan (regime teocratico da loro fondato nel 1996 e abbattuto dagli americani nel 2001) fosse isolato sul fronte estero, potendo appoggiarsi esclusivamente al riconoscimento da parte di quattro Stati: Pakistan, Turkmenistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Ecco: è probabilmente proprio per evitare questo tipo di isolamento internazionale che i talebani stanno cercando di intavolare buone relazioni con Mosca e Pechino.
Un modo, se vogliamo, anche per infliggere un colpo politico agli americani, in una fase in cui Russia e Cina si stanno decisamente riavvicinando (si pensi soltanto al recente rinnovo del Trattato d’amicizia sino-russo del 2001). In tal senso, è significativo il fatto che recentemente il Pakistan abbia vietato alla Cia di utilizzare le basi sul proprio territorio per operazioni di controterrorismo in Afghanistan: ricordiamo, sotto questo aspetto, che Islamabad sia sempre più legata a Pechino e che stia probabilmente svolgendo (anche) un ruolo di mediazione tra i cinesi e i talebani.
In tutto questo, è pur vero che Washington stia cercando di appoggiarsi alla Turchia per mantenere un canale di influenza sul Paese, presidiando l’aeroporto internazionale di Kabul. Il punto è che questa soluzione appare piuttosto problematica. È senz’altro vero che Ankara sia un membro della Nato e uno storico alleato statunitense. Dall’altra parte, però, va anche tenuto presente che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, intrattenga buone relazioni con Mosca e Pechino. Senza poi trascurare che i talebani non siano troppo ostili ai turchi. Nel breve termine, il colpo per Washington sarà probabilmente duro. Tuttavia, nel medio periodo, non è escluso che la Casa Bianca speri che Pechino possa restare man mano irretita dal vorticoso turbine afghano. Uno scenario che costituirebbe un serio problema per la Repubblica popolare.
