Il rimboschimento delle aree metropolitane – da Milano a Napoli, da Bologna a Firenze e Bari – è un obiettivo importante del Piano nazionale di ripresa e resilienza: sono previsti 660 milioni di euro. Purtroppo però, causa complicazioni dei bandi e ritardi delle amministrazioni, molti progetti «green» rischiano di naufragare.
Le città dovrebbero diventare più verdi, ma rischiano di restare al verde. Senza alberi, senza i soldi del Pnrr, e con una serie di progetti rimasti indigesti. Collezionando, in aggiunta, una sonora figuraccia con l’Unione europea. All’annuario delle mancanze del Piano nazionale di ripresa e resilienza si aggiunge un altro capitolo: gli investimenti per abbellire, in versione ambientalista, le metropoli italiane.
Da Milano a Napoli, da Firenze a Bari, la galleria comprende iniziative che avrebbero a disposizione una pioggia di milioni di euro. Solo che la riforestazione si perde tra le scartoffie e la difficoltà a rispondere ai requisiti. Ma per orientarsi nell’ennesimo pasticcio green, occorre procedere con ordine. Alla voce «Rimboschimento urbano e tutela del verde» del Pnrr si rinviene infatti un capitolo di spesa cospicuo, 660 milioni di euro in totale, per migliorare la qualità dell’aria e della vita in 14 città metropolitane, prevedendo – tra le altre cose – una massiccia operazione di piantumazione di 6 milioni e 600 mila alberi in totale. Una boccata d’ossigeno, in tutti i sensi.
Così gli enti con i requisiti richiesti hanno potuto mettersi in moto per aderire al bando del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, specificando se si trattava di un progetto in essere, quindi già avviato, o totalmente nuovo. Dopo una prima disamina, le varie amministrazioni hanno ricevuto delle somme specifiche: nel 2022 la fetta più ampia è andata al Comune di Messina con 15,8 milioni di euro di finanziamento, per sostenere la nascita di 447.612 piante, davanti a Roma che ha ottenuto comunque 12,9 milioni di euro, per un totale di 302 mila piante, e a Napoli con 10,4 milioni di euro, con lo scopo di piazzare almeno altre 240.804 piante. A seguire gli altri fino al milione e poco più destinato a Venezia. Una cospicua iniezione di liquidità e di verde per i sindaci, da Roberto Gualtieri a Gaetano Manfredi. Un’occasione, anche elettorale, per rendere più belle le loro città. Ma non tutto è andato nel verso giusto, come rilevato dalla Corte dei Conti. Tanto che l’iniziativa in alcuni casi rischia di rivelarsi un boomerang.
Per i «progetti in essere, in sede di sopralluogo, sono stati riscontrati significativi ritardi di esecuzione» riporta una lunga relazione dei magistrati contabili, che puntano il dito contro «l’inefficacia della messa a dimora delle piante rinvenute già secche». Un verde rinsecchito prima di finire nella terra e diventare, molto eventualmente, rigoglioso. Ci sono casi specifici menzionati dalla Corte dei conti: «La città metropolitana di Genova ha aggiudicato la gara per l’esecuzione dei lavori, tuttavia non è stata riscontrata la messa a dimora delle 868 piante che l’impresa aggiudicataria ha dichiarato di aver piantato». E ancora: «Per i progetti eseguiti dalla città metropolitana di Torino, i rilievi ispettivi hanno evidenziato un elevato numero di piante morte, in alcuni casi in percentuale anche del 100 per cento». Laddove invece c’erano progetti nuovi, la collocazione del verde nei siti di destinazione finale risulta appena avviata.
Nulla di nuovo sugli schermi italici, dove sono andati in onda i soliti problemi. «Sta venendo a galla ciò che era emerso fin da subito sull’impreparazione della macchina burocratica italiana nella gestione di questa quantità di fondi europei» spiega a Panorama Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. «C’è una inadeguatezza e una carenza di competenze negli apparati di Comuni, Regioni e anche ministeri» aggiunge il numero uno dell’associazione ambientalista «e del resto è una questione nota che avevamo fatto presente a Mario Draghi. Il nodo è strutturale, come si vede sui fondi comunitari, quelli ordinari».
Le responsabilità sono così spalmate in questi mesi. «Ci sono vari punti dell’attuazione del Pnrr che non dipendono dal governo Meloni e dal ministro Fitto (che ha la delega all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr)» dice Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni. «La Pubblica amministrazione ha i suoi tempi, non certo oggi, e quindi erano note le difficoltà a livello locale nella gestione di risorse massicce. Era un argomento già trattato quando fu presentato il Pnrr». Qui Stagnaro tira in ballo la strategia a monte, decisa dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, sulla «scelta di attingere da tutte le risorse per questo tipo di progetti, non solo da quelle a fondo perduto ma includendo la parte dei prestiti».
E ci sono varie ragioni per parlare di «rischio fallimento». Nella Milano guidata da Beppe Sala il bando di riforestazione è stato al centro di una querelle, ancora da risolvere. Sullo sfondo c’è la possibilità che voli via una decina di milioni di euro. Il comando territoriale dei carabinieri ha rilevato l’inaccessibilità di partecipare alla gara. «Da verifiche informali, si è appreso che, alle condizioni del bando, è quasi impossibile poter aderire», spiega la Corte dei conti. Il motivo? «L’area metropolitana di Milano ha un’altissima densità abitativa e risulta quasi impossibile procedere a un’opera di rimboschimento». Quindi l’amministrazione di Sala ha chiesto che per i prossimi anni siano predisposti bandi con criteri diversi. Nel frattempo i 12 milioni di euro previsti per il capoluogo lombardo sono andati persi dato che nessuno ha risposto al bando del Comune. Perché non esistono sull’intero territorio zone disponibili per creare nuove foreste.
Non è andata meglio al sindaco di Firenze, Dario Nardella. La città è addirittura stata esclusa dall’assegnazione dei fondi del Pnrr perché non in grado di reperire la superficie minima, di 30 ettari, da rimboschire. Ovviamente non bisogna fare di tutta l’erba un fascio: c’è comunque chi si sta muovendo in maniera meritoria, come a Bologna: «I lavori di messa a dimora delle piante hanno preso avvio su parte delle aree oggetto d’intervento», riferisce la Corte dei Conti. Un caso però isolato considerando che, se ci spostiamo al Sud, nella Bari di Antonio Decaro, la proposta definitiva di progetto deve essere ancora trasmessa alla Regione Puglia per ricevere il «provvedimento autorizzatorio unico regionale». A quel punto, definito l’iter di approvazione con i relativi pareri, possono essere avviate le procedure di gara e l’affidamento per l’esecuzione dei lavori.
Scendiamo più giù e arriviamo a Palermo dove i lavori sono stati proprio sospesi perché «non è stata messa a dimora alcuna essenza forestale». Casi che si sommano tra loro, quindi. Ciafani di Legambiente ne ricorda altri: «Il bando sull’economia circolare è stato prorogato perché non era arrivato il 40 per cento dei progetti dal Sud Italia, come previsto dal Pnrr». Una corsa contro il tempo che ha generato più confusione che risultati positivi. «C’è la sensazione che per l’attuazione del Pnrr sia stato preso tutto quello che c’era nei cassetti dei Comuni, senza un criterio logico» osserva Stagnaro.
Non basta. Sul Pnrr e sulle politiche ambientali pende un’altra spada di Damocle: l’efficientamento energetico, che pure dovrebbe essere uno dei fini ultimi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. «Sulle fonti rinnovabili» sottolinea Stagnaro «il Pnrr paga il conto a un difetto di concezione. Il problema reale non sono i soldi a disposizione, ma le modalità di concessione delle autorizzazioni, che sono troppo caotiche: è inutile aggiungere risorse economiche, se poi c’è l’aspetto burocratico che blocca i progetti».
Un punto che trova concorde Ciafani: «Alcune Regioni hanno accumulato centinaia di milioni che non riescono a vagliare e quindi autorizzare. In Puglia e Sicilia, per esempio, è un vero disastro». E come se ne esce? «La necessità è snellire le procedure e innalzare la qualità dei controlli. Oggi molte strutture, come le Agenzie regionali per la protezione ambientale del Centro-Sud, sono inadeguate. Occorre creare task force nazionali da affiancare agli enti locali così da tirare fuori i progetti e sostenere gli uffici regionali durante l’iter», conclude il presidente di Legambiente. Almeno per salvare la faccia ed evitare la débâcle.