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Pechino guarda al Medio Oriente

Pechino guarda al Medio Oriente

La Cina sta intensificando i rapporti con il Consiglio di cooperazione del Golfo e con l’Iran. Al centro dell’attenzione di Pechino si registrano soprattutto questioni economiche e il dossier afghano


Pechino guarda con sempre maggiore interesse al Medio Oriente. La settimana scorsa, i ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Kuwait, Oman e Bahrain si sono recati in visita ufficiale in Cina, accompagnati dal Segretario generale del Consiglio di cooperazione del Golfo, Nayef bin Falah al-Hajraf. Nell’occasione, le parti hanno reso noto di voler proseguire sulla strada della stipula di un trattato di libero scambio. Sempre la scorsa settimana, si è recato in visita nella Repubblica popolare anche il nuovo ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, che ha avuto un incontro con l’omologo cinese, Wang Yi. In particolare, tale visita ha avuto luogo per dare avvio all’implementazione dell’accordo venticinquennale, siglato a marzo scorso tra Pechino e Teheran: un accordo che, come ricordato da Al Jazeera, copre vari settori, tra cui l’economia, la sicurezza e la difesa. Infine, sempre la scorsa settimana, Wang Yi ha anche tenuto dei colloqui a Wuxi con il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu: i due ministri hanno in particolare sottolineato la necessità di rafforzare i legami dal punto di vista economico e culturale. Pechino, insomma, sta mostrando un notevole iperattivismo tra Medio Oriente e Turchia.

Cominciamo col ricordare che i rapporti tra la Cina e gli Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo si siano notevolmente rafforzati negli ultimi anni. In particolare, Pechino sta approfittando del progressivo disimpegno statunitense dall’area: un fattore, questo, che sta progressivamente spingendo il Consiglio a considerare la Repubblica popolare un partner economico particolarmente appetibile. I cinesi scommettono quindi sul fatto che, nei prossimi anni, la loro influenza politico-economica sull’area possa significativamente aumentare. Del resto, come sottolineato a novembre scorso da The Diplomat, Pechino vede in questi Paesi delle crescenti opportunità non solo sul piano energetico, ma anche su quello degli investimenti infrastrutturali. Sempre la stessa testata ha parlato di “molta sinergia” tra la Belt and Road Initiative e il progetto Saudi Vision 2030. Non bisogna infine trascurare i rapporti piuttosto freddi che intercorrono tra l’attuale presidente americano, Joe Biden, e il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman: un fattore, questo, che contribuisce a spingere Riad tra le braccia di Pechino.

Ma i cinesi guardano con crescente interesse anche a Teheran. Non a caso, durante la visita di Amirabdollahian, si è discusso, tra le altre cose, delle trattative viennesi sul nucleare iraniano. Nell’occasione, il ministero degli Esteri cinese ha fornito il suo sostegno alle posizioni della Repubblica islamica, non risparmiando qualche stilettata ai Paesi occidentali (a partire dagli Stati Uniti). Non dimentichiamo tra l’altro che ultimamente la Cina abbia incrementato l’acquisto di petrolio iraniano: sotto questo aspetto, secondo Bloomberg News, a novembre scorso si è infatti registrato un aumento del 40% rispetto al mese precedente. In tutto ciò, a settembre, la Repubblica islamica è anche entrata a far parte della Shangai Cooperation Organization. E’ quindi chiaro che Pechino stia cercando di intensificare le proprie relazioni nello scacchiere mediorientale, perseguendo al contempo un’azione di bilanciamento tra i vari attori: se da una parte sostiene politicamente Teheran nel quadro dei negoziati viennesi, dall’altra è anche (parzialmente) guardinga sul suo programma nucleare, per evitare di irritare i sauditi.

In tutto questo, non va infine trascurata l’incognita afghana. Non è un mistero che Pechino punti ad un significativo coinvolgimento politico ed economico nel nuovo regime di Kabul: un regime che si è tuttavia contraddistinto sin da subito per scarsa affidabilità e stabilità. E’ quindi anche in questo senso che i cinesi stanno rafforzando i loro legami con la Repubblica islamica. Non solo l’Iran è infatti confinante con l’Afghanistan, ma intrattiene anche rapporti ambivalenti con i talebani. Per quanto storicamente avversari, gli iraniani hanno in passato spalleggiati i “barbuti” in funzione antiamericana. Pechino guarda insomma a Teheran anche con l’obiettivo di stabilizzare il più possibile l’Afghanistan. E’ sempre in tal senso d’altronde che la Repubblica popolare sta cercando la sponda turca. Ricordiamo infatti che Ankara rivesta un ruolo particolarmente influente in Afghanistan al momento. E che, agli occhi dei cinesi, può rappresentare un ulteriore canale di collegamento con la leadership talebana. Tutto questo senza dimenticare lo Xinjiang: regione che confina con l’Afghanistan e in cui gli uiguri subiscono una dura repressione da parte della Repubblica popolare. Ebbene, secondo quanto riferito dal South China Morning Post, Wang Yi e Cavusoglu avrebbero discusso non a caso anche della questione uigura. Un dossier, questo, che ha creato delle fibrillazioni tra Ankara e Pechino: i cinesi non hanno infatti gradito che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, abbia detto a luglio che gli uiguri dovrebbero vivere in Cina come “cittadini alla pari”. Nonostante l’irritazione, Pechino non può tuttavia permettersi di inimicarsi troppo Ankara, per evitare contraccolpi sul dossier afghano. Gli Stati Uniti dovrebbero fare molta attenzione a queste dinamiche.

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