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Il partito dei governatori

Il partito dei governatori

A capo delle regioni hanno consolidato influenze e voti. Adesso, tra mandati in scadenza e diatribe nazionali, sono pronti a cogliere nuove opportunità.


L’ultima corrente, pronta a dare la scossa, si chiama Energia popolare. Va bene: le elettrizzanti metafore suonano un po’ logore. Il messaggio, però, è attualissimo. Elly Schlein, tormentata segretaria piddina, si prepari. I detestati «cacicchi» formalizzano. L’assalto al Nazareno è cominciato. Energia popolare era il motto di Stefano Bonaccini alle primarie di un anno fa. Adesso è il nome della milizia più combattiva. Vanta due coordinatori. La prima è Simona Malpezzi. Transeat. Il secondo, però, è il deputato Piero De Luca: figliolo di Vincenzo, l’indomabile antagonista di Elly, dileggiata un giorno sì e l’altro pure. Il governatore campano vuole il terzo mandato. Proposito condiviso con Bonaccini. E il collega pugliese, Michele Emiliano. I tre acchiappavoti del Pd. Scadranno nel 2025. Ma vogliono lambire l’eternità. Schlein è contrarissima. Sono nemici giurati. E lei, invece, vuole piantare ovunque bandierine arcobaleno.

Energia popolare non è però solo la più agguerrita corrente piddina. È l’architrave del partito dei gattopardi. Sono i governatori in scadenza. Quelli che considerano dieci anni al potere solo l’antipastino. Risoluti, coriacei e trasversali. Da sinistra a destra. Dal Pd alla Lega. Rischiano di sconquassare i partiti tradizionali in nome del borrelliano primo punto del programma: resistere, resistere, resistere. Giorgia Meloni, fiutata la rivolta, furbescamente demanda la discussione al parlamento. La premier, ovviamente, spera nella melina. Fratelli d’Italia vuole conquistare nuove lande. La Lega, al contrario, deve mantenere compatto il fronte del Nord. Così, cerca di eliminare il limite dei due mandati consecutivi. Matteo Salvini, segretario del Carroccio, scalpita per assecondare il doge veneto, Luca Zaia, che scade l’anno prossimo. Il vicepremier teme di perdere l’avamposto nordestino. Sarebbe solo l’inizio. La slavina arriverebbe pure in Lombardia. Dove, almeno, si vota tra quattro anni.

A riprova delle urgenze venete, la pratica parlamentare è stata affidata al segretario regionale, Alberto Stefani. Ma la proposta leghista potrebbe essere appoggiata, in aula, persino da una parte del Pd: per favorire i tre governatori dem agli sgoccioli e infilare un dito negli occhi a Elly. Sarebbe la prova definitiva della sua irrilevanza. Comunque vada: De Luca, assicurano a Palazzo Santa Lucia, si candiderà. Anche senza l’auspicato intervento legislativo. Pure contro il volere della segretaria. Anzi, meglio. Del resto, la Campania è il Deluchistan. Nelle ultime settimane, il presidente ha fatto incetta di nuovi consiglieri regionali. E ha stravinto le elezioni provinciali.

Al fianco di Don Vincenzo, si schiera un’altra leggenda: Emiliano. Anche lui vorrebbe correre per la terza volta nel 2025. E, pure nel suo caso, il diniego di Elly potrebbe diventare accessorio: «Siccome lo statuto della Campania, come quello della Puglia, non ha limite di mandato, non so in che modo il Pd possa pensare di fermare la volontà di De Luca». E la sua, va da sé. Pure i rapporti di Elly con Michelone non sono smaglianti. Il governatore non perde occasione per rintuzzare. Per esempio: accorso alla festa meloniana di Atreju, taccia la segretaria di controproducente settarismo: «Penso che Schlein avrebbe avuto un grande successo qui oggi, anche perché quando l’avversario ti dà la possibilità di parlare ai suoi, che sono cittadini italiani come gli altri, è un’occasione per fare proselitismo».

Le primarie, poi. Elly, eletta proprio grazie a consultazione tra gli iscritti, adesso riformula: «Non c’è una regola generale, dipende da quello che succede». Ovverosia: basta adempire ai suoi voleri. Messi in discussione a Bari, per esempio. Bisogna scegliere l’aspirante successore del sindaco, Antonio Decaro. Si vota in primavera. Ed Emiliano insiste: «Io sono innamorato delle primarie. Il Pd può fare due nomi per la città». Ecco, appunto. Vade retro. La segretaria, invece, vuole disperatamente piazzare i suoi. Mors tua, vita mea. Certo, rimpiazzare i cacicchi non è semplice. Vedi il Piemonte. Anche qui, le elezioni sono imminenti. Saranno accorpate con le europee di giugno, probabilmente. Elly ha sfoderato la meritocrazia arcobaleno scegliendo la sua paziente ex coinquilina nel bilocale romano: Chiara Gribaudo, già proclamata vicepresidente del partito. Problemino: non piace a nessuno. Né ai basiti dirigenti locali. E neppure agli indispettiti alleati grillini.

Comunque, è una guerra di incastri. Il più pericoloso «tetris» politico degli ultimi tempi. Per tutti i partiti, sia chiaro. Le candidature della prossima tornata, cinque regioni alle urne, si intrecciano con quelle del 2025, altre nove regioni al voto. Tra cui: Campania, Puglia, Emilia-Romagna, Veneto, Liguria. Guidate da cinque governatori che, sulla carta, non potrebbero appunto ricandidarsi: De Luca, Emiliano, Bonaccini, Zaia e Giovanni Toti. Pronti a tutto pur di restare. Come disse quel centurione di fronte all’intenzione di trasferire il senato romano: «Hic manebimus optime». Si, anche loro stanno una favola. Ai cinque cavalieri dell’apocalisse si aggiunge Massimiliano Fedriga, al comando del Friuli-Venezia Giulia, alfiere delle istanze come presidente della Conferenza della regioni.

Il partito dei gattopardi non demorde. Elly invece vuole il limite dei due mandati. Quale migliore occasione per liberarsi dalla folta pattuglia di oppositori interni? A partire da Bonaccini, ovviamente. Che, però, scalpita: «È un’anomalia pressoché solo italiana: negli altri Paesi sono i cittadini a decidere con il loro voto chi ha fatto bene e può proseguire». Non è solo la voglia di sempiterno. Guidare una regione garantisce grandi poteri, enorme visibilità, adeguate ricompense. Degne alternative scarseggiano. Specie nel Pd di Schlein. Che sogna invece di spedire l’ex antagonista, di cui è stata perfino vice, a Bruxelles. L’unico «refugium peccatorum» disponibile al momento. Ma Bonaccini dovrebbe lasciare un anno prima. E soprattutto, dopo lo scorno delle primarie, è in cerca di rivincite. Ha già risfoderato quell’aria da temibile agente segreto della Bassa. E adesso spera che, in parlamento, il Pd si spacchi sulla proposta leghista che legittimerebbe il terzo mandato.

Che poi: nel caso di Zaia, già al tris grazie a un diabolico cavillo, sarebbe il quarto. Poco importa. Anche il doge della Repubblica di Venezia era eletto a vita. Ma il proposito, oltre che con le attuali regole, si scontra con le mire di Fratelli d’Italia. Già circola il nome del possibile candidato: il senatore e coordinatore regionale dei meloniani, Luca De Carlo. Ma Zaia insiste. E Salvini lo asseconda. Per mantenere il controllo sulla regione intanto, visto il consenso bulgaro del governatore. E anche, magari, per tenerlo lontano dalla guida del partito. Il conseguente domandone è scontato: cosa farà l’eretico Zaia se non dovesse spuntarla? Il presidente del Coni, si vocifera. Sarebbe l’addio alla politica, però. Improbabile. Allora potrebbe candidarsi, pure lui, alle europee. Con il rischio però di offuscare il segretario, che ha già rinunciato alla corsa. Per di più: rivaleggiando con Meloni, se la premier dovesse cedere alla tentazione elettorale.

Meglio, allora, l’ennesimo mandato. Ma la battaglia della Lega, per adesso, non convince gli alleati. Resta ostile Forza Italia. Per un motivo opposto a quello del Carroccio: non ha nessun governatore in bilico. O meglio. Uno ce l’aveva: Giovanni Toti. Già delfino del Cavaliere, ex coordinatore forzista, ora inviso centrista. Un altro cavaliere dell’apocalisse. Antonio Tajani, leader di Forza Italia e ministro degli Esteri, sembra categorico: «È sano garantire un ricambio nella leadership delle regioni dopo dieci anni». Si riferisce al Veneto, dove spera di candidare Flavio Tosi, ex sindaco leghista di Verona. Non a caso, eterno avversario dell’indispettito Zaia: «Penso che “sano” sia un termine pericoloso, vorrei capire per Tajani cosa significa. Trovo irrispettoso che si continui a parlare di centri di potere, cupole e così via». Dunque, contrattacca: «Mi chiedo come mai non si propone il blocco dei mandati per i parlamentari».

Tajani parla a nuora, perché anche suocera intenda: Toti. Che però, confortato dai legali consultati, s’è già ricandidato. La legge elettorale ligure è stata modificata nel 2020, concludono gli avvocatoni, ma non ha recepito nel proprio statuto il limite del secondo mandato. «I pareri giuridici che abbiamo raccolto sono univoci, concordi e autorevoli» spiega il presidente ligure. «Esattamente come per il Veneto in questa legislatura, da noi il tema non si pone. Ci sarà, semmai, a partire dal 2030, perché questo è il primo mandato con la nuova legge». Come in Campania e in Puglia, del resto. «Siamo sulla linea di Kim II-sung» informa De Luca, opportunamente soprannominato Vin Chen Zin. Ben oltre il gattopardismo. Nell’audace alveo delle dittature coreane.

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