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Verdi, ma soprattutto islamici

Verdi, ma soprattutto islamici

Aperture alla «sharia», la legge islamica, e alla Fratellanza musulmana. Appoggi alla Turchia e ostilità verso Israele. In Germania, Svezia e Svizzera, ai vertici delle forze ecologiste c’è chi sostiene posizioni preoccupanti.


I partiti Verdi europei sono diventati islamisti, omofobi e antisemiti. Quantomeno in Germania, Svezia e Svizzera. Possibile? Sì, se a confermarlo c’è una serie di dichiarazioni infelici da parte dei loro leader. Nessuno in Europa ha il coraggio di parlarne, eppure il fenomeno è reale. «Ci sono parti della sharia (la severa legge islamica, ndr) che sono compatibili con la legge fondamentale tedesca. I politici devono garantire che queste parti possano essere applicate in Germania».

A metterlo nero su bianco è stato il nuovo leader dei Verdi tedeschi, Omid Nouripour, che così si è espresso all’interno del Bundestag. Già nel 2018 era emerso il suo pensiero radicale durante il dibattito sul tema Incompatibilità dell’Islam, sharia e Stato di diritto, promosso dall’AfD, il partito di estrema destra di Germania. Nouripour, in carica da gennaio 2022 (in tandem con Ricarda Lang), non ha mai ritrattato.

Ma chi è il nuovo astro nascente della politica ambientalista tedesca? Nouripour è fuggito dall’Iran a 13 anni ed è arrivato in Germania nel 1988, proprio mentre suo zio veniva giustiziato in quel Paese per aver contravvenuto ai dettami islamici e sua sorella arrestata. Eppure, nonostante questo passato, Nouripour difende a spada tratta la sharia.

Che egli sia un politico contraddittorio lo rivela un libro del 2017 intitolato inequivocabilmente Cosa fare contro i jihadisti?. Nel testo, apprezzato in Germania per le dure prese di posizione su Afghanistan e talebani, si riportano sue affermazioni sulle conseguenze nefaste degli estremisti islamici. Ma il leader dei Verdi tedeschi si fa fumoso quando si tratta di questioni interne: specie sull’Islam politico, ovvero sul ruolo della Fratellanza musulmana, che in Germania ha permeato da tempo ogni istituzione politica.

Scorrendo la sua biografia colpisce che, fino a metà 2020, Nouripour abbia lavorato nel comitato consultivo della Società tedesco-palestinese, che sostiene apertamente la «Bds»: ovvero la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro lo Stato di Israele. Nell’aprile 2013 fu proprio Nouripour, con altri membri del gruppo parlamentare Bündnis 90/Die Grünen, a presentare una mozione che mirava all’etichettatura agricola e industriale delle merci provenienti dagli insediamenti israeliani, per chiarire la differenza con un prodotto palestinese.

Poi però, con un’inversione a «u» durante un dibattito in Parlamento nel maggio 2019, sostenne il contrario e criticò severamente il boicottaggio, «che non ha più nulla a che fare con le critiche alla politica israeliana», di fatto sconfessando il suo operato sino a quel momento. A proposito di contraddizioni, nel 2009 ha sostenuto in un’intervista a Die Tageszeitung che la comunità Ahmadiyya – un controverso movimento religioso musulmano, che ritiene il suo fondatore Mirz Ghulam Ahmad (1835-1908) il vero messia – dovrebbe essere legittimata dallo Stato tedesco.

Eppure, come sottolinea l’esperta di Islam Susanne Schröter, «gli Ahmadiyya vogliono un Califfato globale e pongono la sharia al di sopra della Legge fondamentale. Soprattutto quando si tratta di donne e omosessualità». Che nei Verdi europei vi sia più di qualche incertezza e disorientamento circa l’orizzonte e l’ideale politico, lo dimostra anche l’incredibile vicenda in Svezia di Mehmet Güner Kaplan, ex ministro dell’Edilizia e della Tecnologia e membro del Partito ambientalista svedese.

Il suo gruppo è affratellato ai tedeschi del Bündnis 90/Die Grünen nell’Alleanza libera europea, che nel Parlamento di Bruxelles aggrega formazioni di orientamento ambientalista e progressista. Mentre era in carica, Kaplan ha elogiato il leader svedese del gruppo nazionalista turco Barbaros Leylani, vicepresidente dell’Associazione nazionale turca in Svezia, che solo qualche giorno prima aveva affermato testuale: «Quei cani armeni devono morire» e che i turchi li avrebbero dovuti sterminare.

In diverse occasioni pubbliche si è accompagnato con membri dell’organizzazione islamista Millî Görüs, una sorta di Fratellanza musulmana fautrice dell’ultra-nazionalismo turco; e nel tempo libero frequenta gli estremisti islamici Lupi Grigi turchi (gli stessi che attentarono a Giovanni Paolo II, per intendersi). Kaplan, peraltro, è stato a bordo della Freedom Flotilla, il gruppo di navi che il 31 maggio 2010 provò a forzare l’embargo israeliano sulla striscia di Gaza (nell’incidente internazionale, le forze armate israeliane uccisero nove membri dell’equipaggio della Mavi Marmara).

Solo una serie di martellanti inchieste giornalistiche – portate avanti dal quotidiano Svenska Dagbladet – lo hanno infine costretto alle dimissioni nel 2016, dopo che è stato reso pubblico un video nel quale il ministro verde confrontava il trattamento riservato da Israele ai palestinesi con quello imposto dalla Germania nazista al popolo ebraico.

Solo pochi giorni dopo le sue dimissioni, in Svezia è scoppiato il caso – non meno grave – che ha visto coinvolto Yasri Khan, già presidente dell’organizzazione svedese Muslims for peace and justice. Al termine di una conferenza stampa, dove si parlava di lui come prossimo dirigente nazionale dei Verdi, Khan si è rifiutato di stringere la mano a una giornalista svedese «in osservanza alla sharia», come egli stesso si è giustificato. Oggi, in ragione di ciò, il partito non ha più un leader ma solo due «portavoce» (un uomo e una donna).

Nel partito ecologista svizzero, invece, spicca Pascal Heinz Gemperli, convertito all’Islam e presidente dell’Unione delle associazioni musulmane. La sua influenza nel partito è tale da aver spinto Irène Kälin, consigliere nazionale dei Verdi, a dichiarare che «l’Islam deve diventare religione ufficiale» in Svizzera, e a sostenere la campagna per il diritto a dissimulare il proprio viso (indossando il burqa).

«Ciò che hanno in comune Verdi e Islam è il colore» ironizza Saida Keller Messahli, giornalista, scrittrice e attivista per i diritti umani di origine tunisina. «A parte gli scherzi, nei circoli di sinistra che includono i Verdi si sa troppo poco dei metodi e degli obiettivi dell’Islam politico, ma si tende a coinvolgerlo acriticamente. Assistiamo a un cambio di paradigma: la lotta di classe marxista contro lo sfruttamento oggi è stata sostituita da una teoria del dominio delle minoranze, fortemente legata alla razza, alla religione e al genere. La sinistra vede la minoranza musulmana come un buono strumento per perseguire politiche per le minoranze. E l’Islam politico non vuole perdere quest’opportunità. Ma tale politica identitaria è la trappola in cui la sinistra si trova oggi».

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