Anche in questa legislatura sono in numero decisamente anomalo i senatori e i deputati che hanno migrato da un gruppo all’altro (persino con qualche «ritorno a casa»). Per convinzione, convenienza, miraggi di carriera… In ogni caso, all’elezione del capo dello Stato, faranno pesare il loro voto.
Le ultime in ordine di tempo sono state, proprio alla vigilia di Natale, Lucia Scanu, Flora Frate e Maria Teresa Baldini. La prima deputata ha abbandonato il Movimento Cinque stelle finendo nel mare magnum del Gruppo Misto, che raccoglie tutte quelle piccole correnti o singoli onorevoli che non hanno aderito ad alcun gruppo parlamentare (o non hanno i numeri per farlo); la seconda, invece, ha cambiato varie volte. Anche lei prima Movimento, dunque nel Misto, infine triplo «carpiato» per arrivare dall’acerrimo nemico dei pentastellati, Matteo Renzi.
Nulla, però, in confronto alla Baldini: finora ha collezionato quattro cambi di casacca. Eletta in Fratelli d’Italia, passata al Misto, poi in Forza Italia, dunque in Coraggio Italia di Giovanni Toti, infine anche lei in Italia viva. Quasi che per la Baldini vada bene tutto, purché nel nome del gruppo ci sia la parola «Italia». Quando si dice essere patrioti.
Al di là delle ironie, il mondo degli «onorevoli» cambi di casacca è vastissimo. Finora hanno migrato da una parte all’altra 142 deputati e 69 senatori, per un totale di 211 parlamentari. Le giravolte complessive (considerando che in diversi casi un singolo onorevole ha cambiato anche 4 se non 5 gruppi), invece, sono a oggi 276. Un numero fuori controllo che, non a caso, preoccupa i due presidenti Roberto Fico ed Elisabetta Casellati. E proprio a Palazzo Madama negli ultimi giorni è approdato un nuovo regolamento, presentato da Roberto Calderoli (Lega) e Maurizio Santangelo (M5s), che potrebbe limitare il fenomeno delle porte girevoli.
Come? I «fuoriusciti» non potranno più passare nel Gruppo Misto, ma finirebbero in un’entità nuova: quello dei «non iscritti». Avranno a disposizione come rimborso spese per la loro attività 4.000 euro e rotti al mese. E basta. Per chi poi decidesse di trasferirsi da un partito all’altro, non ci sarebbe più la risorsa ulteriore da portare in dote al nuovo gruppo. In pratica accogliere trasformisti non conviene: in questo modo i partiti che vorranno fare campagna acquisti, saranno scoraggiati. Come se non bastasse, i «transfughi» perderanno gli incarichi all’interno delle singole commissioni. Un freno probabilmente inevitabile considerando che più passa il tempo e più le giravolte sembrano aumentare. Secondo i dati raccolti da OpenPolis, nel solo 2021 si è manifestato il 46% dei cambi di gruppo complessivi di questa legislatura.
A chiedere un regolamento più stringente era stato in tempi non sospetti il segretario del Partito democratico Enrico Letta, da poco anche lui tornato a Montecitorio: i cambi di casacca in Parlamento, aveva detto intervistato lo scorso giugno, sono la dimostrazione che «viviamo in una democrazia malata». Chissà come l’avrà presa il neocollega di partito a Palazzo Madama Giovanni Marilotti, nome sconosciuto alla stragrande maggioranza degli italiani, che nel suo piccolo ha ottenuto un primato: è il recordman dei cambi di casacca in questa legislatura.
Eletto nel Movimento Cinque stelle, è passato al Misto l’11 novembre 2020, il giorno dopo è entrato nel gruppo «Per le autonomie», ma tempo pochi mesi è passato negli Europeisti-Centro Democratico di Bruno Tabacci. Finita qui? No. Altri tre mesi e nuova emigrazione ancora nel Misto per poi passare dopo due settimane nel Partito democratico di Letta. Non che nel computo degli onorevoli emigranti manchino nomi e casi noti. Tutti ricorderanno l’andirivieni di Renata Polverini: uscita da Forza Italia quando si doveva votare la fiducia al governo Conte 2, tanto da essere menzionata tra i «responsabili» dei giallorossi, è prontamente rientrata tra i berluscones pochi mesi dopo la nascita dell’esecutivo Draghi.
Ci sono stati, petò, anche onorevoli che hanno «provato» esperienze altrove per poi tornare dal primo amore. Diversi parlamentari dem, per dire, riponevano ampie aspettative in Italia viva, salvo poi rimanere delusi tanto da tornare nel Pd. Così è capitato, tra gli altri, all’ex sottosegretario Vito De Filippo. Il caso più eclatante, però, è quello di Tiziana Piccolo: secondo quanto si legge sulla sua pagina istituzionale, è stata eletta nella Lega, il 27 maggio è passata in Coraggio Italia e lo stesso identico giorno è tornata nel Carroccio. Uno sbandamento di poche ore. Curioso anche il salto pindarico di Valeria Sudano: prima Pd, dunque Italia viva, infine Lega. Da un Matteo all’altro.
A salire a «bordo» di vari gruppi è stato pure Gregorio De Falco, diventato noto prima della carriera politica per il suo impeto contro il comandante Francesco Schettino («Torni subito a bordo, caz..!») nella tragedia della Costa Concordia. Ebbene, il senatore ha collezionato tre cambi di gruppo: Cinque stelle, poi Misto, dunque Maie, cioè Movimenti associativi italiani all’estero (nonostante De Falco sia campano e sia stato eletto in Toscana), infine di nuovo al Misto.
Non è un caso che il gruppo che ha perso il maggior numero di eletti sia proprio quello dei Cinque stelle: 63 alla Camera e 34 al Senato. In pratica 100 parlamentari in meno rispetto a inizio legislatura. L’aspetto curioso è che proprio coloro eletti perché fuori – dicevano – dalle logiche di partito, sono emigrati nei partiti più disparati. Uno su cui si riponevano molte aspettative è l’ex giornalista Emilio Carelli: oggi è iscritto a Coraggio Italia di Toti.
Francesco Mollame è addirittura passato nella Lega. Esattamente come, tra gli altri, Francesco Urraro e Ugo Grassi. Il deputato Gianluca Rospi, eletto nel Movimento, è passato ultimamente in Forza Italia, tanto che le malelingue parlano addirittura di una strategia di Silvio Berlusconi per il Quirinale.
È questo, in effetti, uno degli argomenti più gettonati nei corridoi parlamentari in vista dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Un numero in più o in meno di deputato o senatore potrebbe cambiare gli equilibri nello scacchiere di Montecitorio e Palazzo Madama. Rispetto a inizio legislatura, se come detto il Movimento ha perso 63 deputati, Coraggio Italia e Italia viva sul fronte moderato potrebbero incidere avendo a disposizione rispettivamente 21 e 29 parlamentari. Andazzo simile anche al Senato dove i renziani sono 15, mentre a perdere pezzi (oltre ai Cinque stelle) sono stati anche Pd (-13) e Forza Italia (-12).
Insomma, un «vai e vieni» incredibile. Siamo ancora lontani comunque dalla precedente legislatura (2013-2018), quando i cambi di gruppo furono addirittura 569 e coinvolsero 347 parlamentari. In quel caso il recordman (inarrivabile a oggi anche per Marilotti) fu Luigi Compagna con ben 10 giravolte: eletto nell’allora Pdl, ha aderito poi al gruppo Misto, per poi passare a Gal (Grandi autonomie e libertà), quindi ad Ap (Area popolare), tornare a Gal, ripassare in Ap, rientrare ancora in Gal, migrare a Cor (area di Raffaele Fitto), ripassare al gruppo Misto e infine approdare a Idea (formazione di Gaetano Quagliariello). Intervistato a riguardo, disse di essere stato «sempre coerente».
C’è da giurarci che anche gli attuali onorevoli «transfughi» pensino di essere tali e che a «tradire» in un modo o nell’altro sono stati tutti gli altri. In ogni caso, la strada per battere il record della precedente legislatura è ancora lunga: gli onorevoli in carica possono regalarci ancora qualche sorpresa. Basta solo… essere coerenti.