Oscuri onorevoli alla ribalta delle cronache per i loro spericolati cambi di casacca. «Big» dei partiti che risultano in missione continuata. Ma ci sono anche senatori e deputati che hanno fatto il proprio dovere in Aula il 99,9 per cento delle volte. Mentre scorrono i titoli di coda dell’avventura parlamentare iniziata nel 2018, affidandosi alla pura statistica, ecco come si sono comportati i politici italiani. Con alcuni significativi record…
Se fosse un gioco, ci sarebbero ricchi premi e cotillon. Si va da una sorta di «geolocalizzazione» nelle Aule parlamentare alla «Chi l’ha visto?» all’elenco dei Giacobini della legislatura, che scelgono sempre in direzione ostinata e contraria rispetto alle indicazioni dei gruppi. Senza sottovalutare gli stachanovisti, incollati al banco per schiacciare il bottone del voto. Chissà se tutti o alcuni saranno ricandidati. Di sicuro, a modo loro, molti degli onorevoli di questa legislatura hanno lasciato un segno. Non sempre in positivo, sia chiaro. Ma resta valido il vecchio motto «bene o male, purché se ne parli». Le pagelle di fine legislatura consegnano i promossi e i bocciati di anni sull’ottovolante.
Chi ha iscritto, in maniera indelebile, il proprio nome negli atti parlamentari è la deputata Maria Teresa Baldini, imbattibile nei cambi di casacca: ne ha totalizzati 5. E con nonchalance. Eletta nelle liste di Fratelli d’Italia, è transitata nel gruppo Misto per pochi giorni nell’agosto del 2020, prima di approdare in Forza Italia. Passa meno di un anno e si pente della scelta, così segue, nel maggio 2021, Giovanni Toti e Luigi Brugnaro nel progetto di Coraggio Italia. A dicembre dello stesso anno, non convinta di aver operato la migliore decisione, sceglie Matteo Renzi e la sua Italia viva. Una passione durata sette mesi: a luglio torna a Canossa, o meglio, in Coraggio Italia.
Ma l’inquieta Baldini ovviamente non è sola: ha un alter ego al Senato, Giovanni Marilotti, inizialmente uomo pentastellato, che si è accasato al Pd. Ma non è stato un passaggio immediato: è stato nel Misto, poi nel gruppo Autonomie e quindi dei Responsabili europeisti, nati all’epoca per salvare il Conte-bis. Singolare, però, anche la parabola della senatrice Rossella Sbrana, che ha all’attivo 4 cambi di casacca: dalla Lega è arrivata al Misto; dopo un po’ di andirivieni ha scelto il raggruppamento di Cal (Costituzione ambiente lavoro) formato per lo più da ex grillini usciti dai Cinque stelle. Indecisa a tutto, si direbbe.
Nella galleria di chi ha mutato convincimento politico spicca la bersaniana-renziana-berlusconiana Michela Rostan, entrata a Montecitorio con Leu, per poi andare con l’ex acerrimo avversario Renzi, quindi la traversata del Misto e infine lo spostamento in Forza Italia. All’insegna di «certi amori fanno giri immensi…» è il cammino parlamentare dell’ex giornalista Emilio Carelli: nel 2018 fu voluto da Luigi Di Maio nelle liste grilline. Dopo ha lasciato i pentastellati per il purgatorio del Misto prima di scommettere su Coraggio Italia, salvo poi pentirsene e tornare da Di Maio. Nel nuovo progetto Insieme per il futuro. Ma anche un po’ con il passato. Con una spruzzata di Impegno civico.
Di storie memorabili è piena questa imprevedibile legislatura. L’esperienza alla Camera di Michela Vittoria Brambilla, deputata di Forza Italia ed ex pupilla di Silvio Berlusconi, sarà tramandata ai posteri per la puntualità… nelle assenze. Vince il premio «Chi l’ha visto». Il tasso di presenze alle votazioni, stando ai dati OpenPolis, è dello 0,82 per cento, ha partecipato a 95 votazioni su 11.574. Non ha raggiunto neppure la sua personale «Quota 100».
E i big? Il segretario del Pd Enrico Letta è tornato a Montecitorio nell’ottobre 2021. Tornato si fa per dire, visto che non ha presenziato alle votazioni nel 69,5 per cento dei casi (1.647 su 2.368). In termini percentuali, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha collezionato il 64,5 per cento di assenze (ma a differenza di Letta calcolate sull’intera legislatura). C’è poi il capitolo delle missioni dei parlamentari che disertano l’Aula perché «impegnati altrove». Senza presentare giustificazioni. Esempi ce ne sono. A partire dai «due Mattei». Renzi, ufficialmente, ha solo il 45,7 per cento di assenze. Non male se al dato non si aggiungesse il 19,6 per cento di volte «in missione». Di fatto, l’ex rottamatore ha partecipato solo al 34,7 per cento delle votazioni a Palazzo Madama. Una ripicca contro quel Senato che voleva cancellare? Su questo c’è grande intesa con Salvini, che ha il 23,7 per cento di presenze e solo il 12,9 di assenze. Il resto, il 63,6 per cento, è una missione continua.
Altro nome noto, Piero Fassino, che dovrebbe riconoscersi per cultura politica nel minatore sovietico Stachanov. Invece assomma il 20,6 per cento di assenze al 36,25 per cento di missioni per un totale di presenze a Montecitorio del 43,1 per cento. Le missioni piacciono pure ai «cittadini» entrati a Palazzo, i 5 Stelle. Stefano Buffagni ha cumulato, in teoria, solo il 9,4 per cento delle assenze. Peccato che agli atti risulti un 60,3 per cento delle solite missioni. Morale della favola: ha votato solo in 3.501 casi su 11.574.
Ma non tutti possono essere bacchettati: nel Parlamento ci sono anche i promossi, che in 5 anni non hanno preso nemmeno un raffreddore. Il super virtuoso a Montecitorio è il deputato dei Cinque stelle Marco Bella: ha partecipato al 99,9 per cento delle votazioni, ne ha saltate solo 5. Giusto un passo più indietro Alessandro Battilocchio di Forza Italia, con il 99,7 per cento di presenze e 33 assenze. A completare il podio degli instancabili c’è il capogruppo di Leu, Federico Fornaro, con il 98,8 per cento di votazioni completate.
A Palazzo Madama i presenzialisti sono molti di più: in 14 hanno più il 99 per cento di presenze e tra questi spiccano Agostino Santillo del M5s, Giorgio Maria Bergesio e Massimiliano Romeo della Lega, Antonio Iannone di Fratelli d’Italia, Fabrizio Trentacoste di Ipf, Mino Taricco del Pd e Fiammetta Modena di Fi. In una legislatura movimentata, con ribaltamenti di maggioranze fino all’unità nazionale, fioccano i parlamentari ribelli, che hanno votato in maniera difforme dal gruppo di iscrizione. Dieter Steger (Per le Autonomie) ha vinto a mani basse, votando in 1.682 occasioni in maniera contraria alle indicazioni. Ma va detto: partiva con il vantaggio di essere in un gruppo eterogeneo con esponenti di diversa estrazione politica. Così, il dissidente per antonomasia non è propriamente un parlamentare dalle fattezze rivoluzionarie: Antonio Saccone di Forza Italia, con 870 voti ribelli.
Niente male, a Montecitorio, nemmeno Renata Polverini con 458 voti in difformità dalle indicazioni. Ma alla Camera la palma di ribelle va a un deputato che vorrebbe fregiarsi volentieri del premio «Che», nel senso di Guevara: il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni: ha messo insieme 654 voti in rotta con Leu, il gruppo in cui è rimasto nonostante abbia scelto – a differenza dei colleghi – di fare opposizione a Draghi. Insomma, Parlamento in cui vai, bizzarrie che trovi.
