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Meloni acchiappa tutto

Meloni acchiappa tutto

Finora la premier, nel distribuire gli incarichi nella Pubblica amministrazione, non ha mostrato ingordigia. Ma la vera posta in palio sarà a marzo, quando scadranno i vertici di 67 partecipate. Così, tra probabili riconferme, prevedibili addii e nuove nomine, già si intravede una squadra di personalità in stretta sintonia con il governo e i suoi alleati.


Via della Scrofa, quartier generale di Fratelli d’Italia, tiepida mattina di metà gennaio. Il cronista fiuta l’epocale: «Sarà il più grande spoils system della storia repubblicana?». «Esagerato!» rintuzza il colonnello dedito all’epica migrazione. «La sinistra, almeno in questo, resterà sempre imbattibile». Siamo comunque reduci dalla prima tornata di nomine nell’Amministrazione pubblica. Giorgia Meloni, a dispetto dei famelici appetiti che le imputavano, è stata clemente. La premier ha lasciato al loro posto persino diversi grand commis di opposte simpatie politiche. L’immenso Mario Brega, nel film Bianco, rosso e Verdone, ammoniva: «Giovanò, ’sta mano pò esse fero e pò esse piuma: oggi è stata piuma». E anche Giorgia non ha infierito, in ossequio all’evocata meritocrazia.

È stato l’antipastino, però. La nuova infornata arriva a marzo, quando scadono i vertici di 67 partecipate. Altri due mesi. Per ponderare scelte, affinare strategie, testare motivazioni. Meloni continua gli incontri, sperando sempre che la loquacità altrui non bruci i papabili. Ma il gran ballo delle nomine è imprevedibile. Chiacchiericci. Depistaggi. Ribaltoni. «Un bel tacer non fu mai scritto» lascia intendere il colonnello. Al massimo, concede, si prodigherà in cenni d’assenso o diniego all’avanzar della candidatura. Ferreo metodo a cui talvolta, malvolentieri, finirà per derogare.

Cominciamo dalla poltronissima: la guida dell’Eni. «Vale 12 ministeri» ci raccontava un futuro ministro meloniano. La riconferma di Claudio Descalzi è scontata. Il rapporto con la premier, che l’ha tenuto fuori dal governo proprio in vista della proroga, è saldo e proficuo. «Strettissimo» compendia il membro del governo. Per Descalzi, sarebbe il quarto mandato di fila. Diventerebbe così il più longevo numero uno della storia della multinazionale, superando perfino Enrico Mattei.

Del resto, l’amministratore delegato è anche uno degli uomini più influenti d’Italia: accordi storici in Algeria e Qatar, relazioni strette con il Quirinale, ferreo atlantismo. Le ultime imprese in terra straniera ne hanno addirittura accresciuto il prestigio. Descalzi è indispensabile alla causa suprema: l’autonomia energetica, unico intento sovranista rimasto nel programma di Fratelli d’Italia dopo la svolta conservatrice.

Sembra invece scontata la dipartita della presidente dell’Eni: Lucia Calvosa, avvocato e docente universitario, già nel cda di Seif, società editrice del Fatto quotidiano, dunque in quota grillina. Inizialmente, per sostituirla s’era pensato a un’altra donna: Elisabetta Belloni, direttrice del Dis, appoggiata da Meloni nella corsa al Colle meno di un anno fa. L’avvicendamento, per ora, è saltato. Belloni dovrebbe restare al comando del dipartimento di Palazzo Chigi che vigila e coordina i servizi segreti, nonostante si sia parlato di Giuseppe Zafarana, comandante generale della Guardia di finanza.

Per il cane a sei zampe avanza dunque un supermanager, di provate simpatie: Flavio Cattaneo, già alla guida di Terna e Telecom, vicepresidente di Italo, in splendidi rapporti sia con il presidente del Senato, Ignazio La Russa, sia con il leader della Lega, Matteo Salvini. Strike. Cattaneo avrebbe informato di aver altri «inderogabili piani», ma potrebbe essere una maniera per tenere la carta coperta. Nonostante gli inviti, non ha mai presenziato alle iniziative di Fratelli d’Italia. Discrezione che ora tornerebbe utile per qualsiasi approdo.

Il manager è candidato praticamente a tutto. Oltre che all’Eni, pure alle Poste, la partecipata statale con più dipendenti, circa 120 mila. Ma financo alla presidenza dell’Enel, a cui punta però anche Carlo Bonomi, presidente di Confindustria. Nomina che avrebbe un gradito effetto domino sulla guida degli industriali, a cui potrebbe approdare Alberto Marenghi, vicepresidente di Confindustria nonché marito di Maddalena Morgante, deputata meloniana. Stefano Donnarumma, a.d. di Terna, spesso sul palco nelle convention del partito, dovrebbe invece rimpiazzare Francesco Starace, numero uno dell’Enel indicato in epoca renziana.

Anche a Leonardo viene dato per certo l’addio di Alessandro Profumo, a. d. con due mandati sul groppone, già sfegatato piddino, soprannominato «Arrogance». Eppure, nulla è scontato. Al suo posto potrebbe andare Roberto Cingolani, tornato a fare il manager proprio nel colosso italiano della difesa. L’ex ministro della Transizione ecologica è apprezzato da Meloni, che l’ha voluto come consulente del governo. Ma non è esclusa una magnanima staffetta con Profumo, che alla presidenza sostituirebbe Luciano Carta, scelto dai grillini. Del resto, i rapporti con Guido Crosetto sono buoni.

Il ministro della Difesa, nella precedente vita da imprenditore, è stato al vertice di Aiad, la federazione delle aziende aerospaziali, che vanta come presidente onorario proprio Profumo. Dovesse saltare Cingolani, il più probabile sarebbe invece Lorenzo Mariani, al comando di Mbda, controllata di Leonardo, segnalato da Crosetto. Sebbene il ministro venga considerato il mattatore delle nomine, il metodo resta comunque quello assodato: la premier ascolta tutti, poi decide da sola. In scadenza ci sono anche i vertici di altre tre aziende quotate: Enav, Poste Italiane e Terna. In totale, si prevede pure l’indicazione di un’ottantina di consiglieri e una quarantina di sindaci. Ancora prima, il 4 febbraio 2023, termina il mandato di Gian Carlo Blangiardo all’Istat, sponsorizzato dal Carroccio e in odor di riconferma. Anche se non mancano le suggestioni, come Luca Ricolfi, responsabile scientifico della Fondazione David Hume ed editorialista di Repubblica. Il politologo ha però detto di non nutrire ambizioni. Ma altri tecnici che simpatizzano da tempi non sospetti potrebbero cedere alle lusinghe. Ad esempio l’economista Domenico Lombardi, l’ex ambasciatore Stefano Potencorvo e l’ex ministro montiano Giulio Terzi di Sant’Agata. «Si troverà un posto per tutti i meritevoli, come loro» confermano in via della Scrofa.

Nei prossimi anni, scadranno altri mandati strategici. Vedi quello di Dario Scannapieco, amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, a maggio 2024. Uno dei tanti candidati è Roberto Sambuco, dirigente del fondo Macquarie: viene sostenuto da Luigi Bisignani, suggeritore supremo che lamenta di non essere ascoltato dalla premier. Comunque sia: Meloni ha preso tempo per decidere cosa fare di Cdp, che gestisce anche i 281 miliardi di risparmio postale. I vertici delle Ferrovie dello Stato restano in carica invece fino alla primavera del 2023. Il felpato repulisti, anche in questo caso, può attendere.

Discorso a parte per la presidenza dell’Inps. Pure Pasquale Tridico potrebbe rimanere fino a maggio 2024, ma la sua uscita sembra imminente. Il professore di Tor Vergata era la gemma della galassia pentastellata. Già ipotetico ministro nel fantagoverno M5s del 2018, consulente di Luigi Di Maio, padre del reddito di cittadinanza che oggi Palazzo Chigi ha cominciato a smantellare. Tridico non è sgradito solo per lo sfegatato grillismo, ma anche per la sequela di fantozziani errori che gli vennero imputati durante la pandemia: ritardi nella cassa integrazione, ristori scomparsi, bonus fantasmagorici.

Per l’lnps un sostituto dalle indubitabili qualità sarebbe allora Alberto Brambilla, presidente del centro studi Itinerari previdenziali: vicino alla Lega, è stato sottosegretario al Lavoro nel governo Berlusconi. Infine, la Rai. Il mandato di Carlo Fuortes termina tra oltre un anno e potrebbe arrivare a scadenza naturale. Comunque, come nelle fiction della tv pubblica, c’è poca suspense. Nei corridoi di Viale Mazzini s’ode un solo nome. «Giampaolo dice», «Giampaolo pensa», «Giampaolo fa». Il riferimento è a Rossi, ex membro del cda, ascoltatissimo dalla premier. Unica incognita: sarà amministratore delegato o direttore generale?

Ogni dilemma sembra invece già svanito sulla scelta più decisiva: il prossimo governatore della Banca d’Italia. Ignazio Visco non può fare il terzo mandato. A novembre 2023 dovrà lasciare. E i giochi sembrano già fatti. Tramonta definitivamente l’ipotesi dello schivo Daniele Franco, già ministro dell’Economia con Draghi. Nonostante l’ex premier avesse fortemente perorato la sua permanenza, con Meloni non è mai scattata la scintilla.

Mentre continuano ad ardere i rapporti con Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Bce ed ex direttore generale di Bankitalia. Pochi dubbi: sarà lui il prescelto. A meno che non pesi il suo garbato diniego alla premier sul ministero dell’Economia, peraltro in vista del più ambito incarico. Insomma, Giorgia se l’è legata al dito? Il «no» del colonnello è categorico. Sui tetti di Via Nazionale s’intravede già fumata bianca.

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