Home » Attualità » Politica » Museveni, l’uomo a cui 35 anni di potere non bastano

Museveni, l’uomo a cui 35 anni di potere non bastano

Museveni, l’uomo a cui 35 anni di potere non bastano

Nonostante le accuse di brogli, il presidente ugandese ha vinto il sesto mandato. E potrebbe restare al potere fino al 2031.


A 76 anni, ne ha passati 35 al potere, quasi metà della sua vita. E, avendo vinto il sesto mandato, si appresta a trascorrere alla guida dell’Uganda altri cinque anni, toccando quota 40. Anche se, visto che Kampala ha reintrodotto il vincolo dei due mandati a partire dal 2021, potrebbe restare in sella fino al 2031.

Fra mille accuse di brogli, Yoweri Kaguta Museveni è stato confermato presidente alle elezioni del 14 gennaio 2021 con il 58,64% dei voti, battendo lo sfidante Bobi Wine, 38 anni, che ha ottenuto il 34,83% dei consensi.

Salito al potere nel 1986, Museveni è uno dei capi di Stato africani politicamente più longevi. Lo battono soltanto Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, presidente della Guinea Equatoriale dal 3 agosto 1979, e Paul Biya, presidente del Camerun dal 6 novembre 1982.

Ma l’Uganda, un tempo era considerata la «perla d’Africa», dovrebbe essere diversa dalla Guinea Equatoriale o dal Camerun. Tanto che, come ricorda l’Ispi, 30 anni fa, Museveni sosteneva che «il problema dell’Africa in generale, e dell’Uganda in particolare, non è la gente, ma sono i leader che vogliono restare troppo a lungo al potere».

Invece l’ex ribelle ha tenuto fede alla tradizione dei leader africani, con buona pace della «gente». Come scrive Patience Atuhaire sulla Bbc, «gli ugandesi sotto i 35 anni – e cioè più di tre quarti della popolazione – hanno conosciuto solo un presidente». Cioè lui.

Per restare al potere, ha fatto di tutto. «Ha trasformato la presidenza in una monarchia assoluta, cambiando la Costituzione due volte per poter essere rieletto vita natural durante» osserva padre Giulio Albanese, il missionario comboniano fondatore dell’agenzia Misna che era a Kampala il 29 gennaio del 1986 quando Museveni giurò come presidente sulla gradinata antistante il palazzo del Parlamento, dopo aver preso il potere con le armi. «Tutto è andato secondo copione: voleva vincere a tutti i costi e ci è riuscito, grazie al controllo di tutta la macchina elettorale».

Quindi le accuse di brogli sono vere? «Come no!». Padre Albanese cita quello che ha scritto sull’Osservatore romano: «L’ultimo capitolo, nella storia recente della politica ugandese, è quello inaugurato nel 2019 da un giovane parlamentare, un certo Robert Kyagulanyi Ssentamu, meglio noto con il nome d’arte di Bobi Wine, il quale annunciò a sorpresa la sua candidatura alle elezioni presidenziali di quest’anno. Cantante e musicista ben affermato, egli è sopravvissuto ad arresti, pestaggi e ad almeno due attentati, con il risultato che è stato costretto ad andare in giro per il proprio Paese, durante la campagna elettorale, indossando un giubbotto antiproiettile».

Per far capire il clima di intimidazione in cui ha operato lo sfidante Bobi Wine, padre Albanese cita un episodio. «Emblematico è quanto accaduto il 27 dicembre scorso nella città di Masaka, nell’Uganda centrale, dove alcuni colpi d’arma da fuoco hanno colpito la macchina di Wine ferendo gravemente alla testa un giornalista televisivo che era seduto all’interno del veicolo» denuncia il missionario. «La guardia del corpo di Wine, di nome Frank, è uscito di macchina per fare largo all’ambulanza che veniva a soccorrere il ferito. Improvvisamente è sopraggiunta una macchina della polizia che ha urtato violentemente Frank, scaraventandolo al suolo; poi, facendo retromarcia, è passata con le ruote sul corpo della vittima che è rimasto sull’asfalto senza vita».

Il missionario spiega che i due sfidanti rappresentavano due visioni contrapposte della politica. Wine, con una grande capacità di leadership, esprimeva «il sentire di molti giovani insoddisfatti e disoccupati, in un Paese in cui l’età media è di 20 anni». Museveni, che si mostra su Twitter mentre fa 40 flessioni, era invece l’emblema di una politica «che si è rivelata impositiva, mascherata all’occorrenza, ben radicata e pervasiva, capace di silenziare con ogni artifizio qualsivoglia forma di dissidenza. Insomma, quella di Museveni è una dittatura a tutti gli effetti: ha l’esercito dalla sua parte e il pieno controllo di tutte le commodity del Paese, dal petrolio del Lago Alberto a tutte le ricchezze del Karamoja».

Risultato: ora Bobbi Wine, che ha annunciato di voler impugnare il risultato elettorale, teme per la sua vita. In un’intervista telefonica con il World Service della Bbc, ha denunciato che i soldati impediscono a lui e a sua moglie di uscire di casa. «E nessuno, neanche i giornalisti, è autorizzato a entrare» ha aggiunto.

© Riproduzione Riservata