La nomina di Giuseppe Conte invece di ricompattare il partito lo ha ancor più diviso. E sono in tanti che, lavorando sotto traccia, aspettano un suo passo falso per spodestarlo e prenderne il posto.
Basta Vaffa day e turpiloquio portuale. Al diavolo votazioni online e astrusità digitali. Piuttosto: largo a fumosità dorotea e comizi in pochette. Il nuovo inizio di Giuseppe Conte è già una sbiadita replica del passato. Ha trasformato il Movimento in un cespuglio del Pd. Magari con qualche fronda in più del defunto Udeur, cui lo accosta l’inclemente Alessandro Di Battista, ma pur sempre un arbusto. Del resto, Beppe Grillo, il fondatore, all’inizio dell’estate metteva le mani avanti: «Conte non ha visione politica né capacità manageriali». E lo statuto giuseppino, faticosamente vergato per mesi? «Seicentesco». Com’è finita, si sa: disperazione e contingenza hanno trasformato necessità in virtù.
Tre mesi dopo l’avvertimento dell’Elevato, siamo però all’Ei fu manzoniano. Da premier per caso a moribondo leader, quello di Giuseppi è il più rovinoso capitombolo di un ex presidente del Consiglio. Nemmeno Matteo Renzi fu tanto lesto a scivolare. Gaffeur, sconclusionato, senza carisma. Lo scaricano tutti. I parlamentari che continuano a dire addio. I militanti infastiditi dalla subalternità ai democratici.
Perfino il Fatto quotidiano, dopo averlo trasformato in un redivivo Winston Churchill, è costretto al serrato dibattito tra le migliori firme: l’adorato Giuseppi è già un inservibile relitto o bisogna turarsi il naso alla Montanelli sostenendolo comunque? E pure la sua struggente passione per Fedez, nume tutelare della sinistra, è finita tra le ingiurie: «Fate cagare» scrive il rapper dopo aver visto un comizio gremito proprio di Conte, mentre lui brama concessioni per i concerti.
Da mesi si spende senza riserve, Giuseppi. E tutti lo uccellano. Tanto che lui, un po’ scorato, si dice «stanchino», al pari del Forrest Gump cinematografico. Si spende pro bono, assicura. Ha perfino rinunciato a correre per le suppletive: un seggio da deputato a Primavalle, verace periferia romana, dove in effetti le pochette si vedono di rado. Aveva paura di buscarle, dicono. Invece, informa l’interessato, la vita è altrove. I giganti come lui non hanno certo bisogno di sgomitare per uno strapuntino a Montecitorio. Intanto, rivela Panorama, un’ombra potrebbe inseguirlo. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo, al momento senza indagati e ipotesi di reato, sulle consulenze pubbliche concesse all’avvocato Luca Di Donna, collega di studio dell’ex premier.
Adesso, però, Giuseppi deve occuparsi di fughe. Un centinaio di pentastellati ha già cambiato casacca. E altri si preparano a voltar e rivoltar gabbana. Nel frattempo, crescono le formazioni scissioniste. Sette, solo nell’ultimo anno. Da Italexit di Gianluigi Paragone a Partecipazione attiva, nata un mese fa. E tutti attendono le mosse Alessandro Di Battista, il dissidente più blasonato e temibile. Ma il Che Guevara di Roma Nord rimane preda del solito dilemma. Meglio dare fuoco alle polveri, fondando un nuovo movimento? Oppure aspettare comodamente sulle rive del fiume? Certo, il naufragio di Conte potrebbe farlo rientrare da trionfatore. Colui che ha detto di no a tutto e tutti. E dunque, per i grillini d’antan, sempre nel giusto. Solo che, nella lancinante attesa, rischia di passar da smidollato.
Così, manovra dietro le quinte. I contatti con Davide Casaleggio, nemico giurato dell’ex premier, sono frequenti. Saranno gli alfieri dei dissidenti? Nell’attesa, si sperimenta localmente. A Villorba, vicino Treviso, alle ultime Amministrative c’era la lista ControVento, nome del manifesto lanciato a marzo dall’Associazione Rousseau. Di certo, nei Cinque stelle il malcontento è al culmine. Sepolto anche l’ultimo feticcio dei rimborsi, rimane solo l’impostura. Tutti attaccati al potere. Mitili sullo scoglio. Come quei colleghi dileggiati per anni nel Cozza Day. Da aspiranti rivoluzionari francescani a furbacchioni di tre cotte. Disposti a tutto, pur di mantenere la seggiola. E altri eletti sono pronti a dire addio, imbambolati davanti alla stella polare: la poltrona.
Destino segnato: ranghi ridotti e conflitti crescenti. Fino a quando il giurista di Volturara Appula non verrà tacciato, come fece Silvio Berlusconi con il povero Angelino Alfano, di essere un «senza quid». A quel punto, Grillo potrà ricominciare a insolentire l’ex premier e riprendere il comando. Per questo, Giuseppi ha fretta. I fedelissimi lo insufflano. Mario Draghi al Quirinale e poi al voto: solo così il giurista pugliese potrebbe infarcire le liste di ascari, silenziare i dissidenti e prendersi quel che resta del partito. Beppe permettendo, ovviamente. Perché l’Elevato, al contrario, non aspetta che di veder fallire l’ultraterreno avvocato. Senza considerare l’esercito dei peones. Tenteranno in ogni modo di arrivare a fine ottobre 2022: solo allora avranno maturato il diritto alla meritata pensione. Dopo aver passato in aula, si fa per dire, ben 4 anni, 6 mesi e un giorno.
Troppo tardi per Giuseppi. Meglio le urne. La gente si ricorda ancora di lui. Tra due anni sarebbe, ben che vada, solo un Renzi qualsiasi: l’ennesimo ex presidente del Consiglio costretto a barcamenarsi tra rumorose scissioni e declinanti decimali. Dalle stelle alle stalle. Per Conte, che i più stretti collaboratori definiscono di un narcisismo patologico, sarebbe il colpo di grazia. Comunque sia: a due mesi dalla sua sofferta nomina, gli sfascisti sono già alle grandi manovre. Virginia Raggi, nonostante il fallimentare mandato da sindaco, vanta ancora notorietà e seguito tra gli attivisti. Nelle elezioni per il comitato dei garanti, quello che può spodestare il leader, ha doppiato per preferenze sia il presidente della Camera, Roberto Fico, che il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Tre figure storiche del grillismo, scelte grazie al solito ruolo di persuasore occulto di Grillo. Non a caso, sono i più accreditati alla successione. Fico spera che l’aplomb lo trasformi in un acclamato federatore. Costretto a tenersi lontano da ogni bega, potrebbe essere decisivo al momento dell’implosione. Degna guida di un partito ircocervo: a caccia di cadreghe, ma anche dei bei tempi andati.
Di Maio, il più scaltro e trasversale dei tre, si prepara a qualsiasi scenario. Annuncia una linea «moderata e liberale». E se casca Enrichetto Letta, sodale di Giuseppi? Poco male. Anzi, meglio. Luigino vanta splendidi rapporti con il più accreditato alla successione: Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna. E se la tormentata alleanza giallorossa dovesse andare a ramengo? Niente paura. Il ministro contempla pure il rovesciamento di fronte. Un clamoroso ritorno al passato: da giallorossi a gialloverdi. Scenario irrealistico fin quando Matteo Salvini rimarrà a capo della Lega, certo. Ma da non escludere se dovesse prevalere la linea ultragovernista del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Giggino lo stima. Sentimento ricambiato.
Virginia Raggi, infine. Gode dell’incondizionata stima di Beppe. Giuseppi invece non la sopporta. Sperava perfino che i guai giudiziari la travolgessero. A quel punto, i Cinque stelle avrebbero appoggiato a Roma l’ex ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri: in splendidi rapporti con Conte, una sconfinata e condivisa passione per la retorica. D’altronde chi si somiglia, si piglia. O, per lo meno, ci prova. Anche se l’eloquio rococò di Giuseppi resta insuperabile.
Da premier ci ha deliziato con arzigogoli insuperabili: la caducazione della concessione, il tono dialogico, le piazze infotelematiche, l’agorà digitale. Passato dai lustrini di Palazzo Chigi alle piazze pentastellate, abituate a tonanti vaffanculo, l’ex premier non cambia registro. Fazzoletto nel taschino, modi affettati, parole da azzeccagarbugli. Sovrano delle tenebre linguistiche. Un Arnaldo Forlani. In sedicesimi, ovviamente. Mentre tocca spremere le meningi per cogliere l’astruso eloquio contiano, tornano in mente proprio le acrobazie linguistiche del «Coniglio mannaro». Una volta, il più impertinente dei cronisti l’interruppe: «A preside’ s’accorge che nun sta dicendo niente?». Forlani l’incenerì: «Ah, sapessi carissimo: potrei andare avanti così per delle ore».