Sul piano economico e politico il Paese diventa interlocutore stabile dell’Europa in un’area critica.
Vari colossi industriali europei ora scelgono il Marocco. Impensieriti per le crescenti tensioni tra Cina e Occidente, preoccupati per la Russia che incombe minacciosa sul fronte orientale dell’Unione Europea, i manager guardano allo Stato nordafricano come alternativa a Cina, ma anche a Ungheria e Romania. A suo favore giocano la ricchezza di materie prime, la disponibilità di forza lavoro qualificata con costi molto convenienti, e ovviamente la geografia a cavallo tra Mediterraneo e Atlantico. In un recente articolo di analisi appena pubblicato per il Moroccan Institute for Policy Analysis, lo studioso israeliano Michael Tanchum ha snocciolato i numeri del boom marocchino. Salari pari in media a un quarto di quelli spagnoli e a metà di quelli polacchi, vaste risorse di cobalto (undicesime riserve al mondo) e litio (tredicesimo esportatore globale) che fanno brillare gli occhi alle case automobilistiche alle prese con mobilità elettrica ed energy storage, capacità manufatturiere in grado di attrarre anche le grandi griffe della microelettronica, scali portuali di livello.
Non c’è da stupirsi se in Marocco di questi tempi è tutto un viavai di tecnici, finanzieri e diplomatici. La Germania, che deve ripensare completamente la propria articolazione industriale, è forse l’esempio più vistoso: con la ministra degli Esteri Annalena Baerbock, da poco in missione nel Paese, viaggiava un seguito di ben 160 imprese tedesche. Eppure il passaggio del Marocco da destinazione turistica prediletta da vip come Marella Agnelli o Yves Saint Laurent a super-fabbrica europea non è un semplice «assestamento». Piuttosto, è la conseguenza di un percorso di stabilizzazione intrapreso tempo fa dalla casa regnante nel Paese, e riflette la sua collocazione geopolitica al fianco di Arabia Saudita, Stati Uniti, Egitto e Israele. Nel corso della storia la monarchia marocchina ha alternato periodi di grande durezza ad altri di apertura e composizione dei conflitti interni, e a più riprese ha dovuto ricorrere alla proscrizione di leva per sottrarre molti giovani alla disoccupazione e al conseguente rischio di radicalizzazione religiosa. Monarchia assoluta araba con radici molto antiche, il Marocco non è mai stato sottomesso dagli ottomani, e nel secolo scorso è stato per un periodo relativamente breve (1912-1957) un protettorato francese. L’attuale re, Mohamed VI, ha promosso una fase di riconciliazione nazionale dopo i lunghi anni di pugno di ferro del padre, re Hassan. Mohammed VI ha avuto inoltre l’intuizione di sostenere «dall’alto» una serie di movimenti politici giovanili. Questa scelta ha contribuito a evitare che al Marocco toccasse la medesima sorte degli altre nazioni nordafricane, i cui governi sono stati travolti dalle Primavere arabe.
Molto tesi continuano a essere i rapporti con l’Iran e l’Algeria. Le relazioni di Rabat con Teheran sono a dir poco altalenanti, e le autorità marocchine sono molto decise nel reprimere il proselitismo religioso di matrice sciita sponsorizzato dall’Iran. A esacerbare i rapporti con l’Iran ha contribuito lo storico legame tra monarchia marocchina e i sauditi. Questi ultimi sono intervenuti a più riprese per sostenere Rabat nella sanguinosa contesa relativa al Sahara Occidentale. L’intero periodo 1975-1991, in particolare, è caratterizzato da massicci rifornimenti di armi al Marocco da parte dei sauditi. In epoca più recente, è toccato alla nazione del Maghreb di correre in soccorso dei sauditi. Nel 2015, per esempio, i marocchini inviarono una squadra aerea nello Yemen, teatro di una guerra per delega tra i sauditi e gli iraniani. È in questo contesto, poi, che va inquadrato il ruolo di Hezbollah al fianco del Fronte del Polisario con il sostegno attivo da parte dell’ambasciata iraniana in Algeria. Non debbono stupire i continui interventi americani, volti a scongiurare la presenza di Hezbollah a ridosso di un’area strategica.
È noto, d’altronde, che nel Mediterraneo competano tra loro almeno due blocchi (Turchia-Qatar da una parte, egiziani, sauditi, emiratini e israeliani dall’altra), e che a contenere sotto la soglia di tensione questa dinamica sia soprattutto la tenace presenza americana. In sintesi: il riassetto delle economie europee, oltre al ben noto fenomeno del reshoring entro i confini nazionali, spinge le fabbriche europee in Africa e nel Mediterraneo, ma ha bisogno di un garante a stelle e strisce. Senza, è il caos. n
Francesco Galietti è esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar
