Dopo le violentissime contestazioni sulla riforma delle pensioni e gli scioperi nazionali, Emmanuel Macron nei prossimi quattro anni dovrà decidere su lavoro, immigrazione, istruzione, economia… E guidare la Francia non solo senza la maggioranza parlamentare, ma contro un muro compatto fatto di opposizioni, sindacati e stampa. Non è detto che ci riesca.
Sempre più isolato, rinchiuso nella sua torre d’avorio presidenziale mentre fuori infuria la protesta dei francesi. È l’immagine che meglio si attaglia all’attuale periodo che tocca vivere a Emmanuel Macron, causa la sua accidentata riforma delle pensioni, ormai trasformatasi in un pericolo per il futuro del suo mandato.
Un progetto mai amato dai cittadini d’oltralpe come dimostrano tutti i sondaggi, portato avanti a oltranza dal presidente, che in barba a opposizioni, sindacati e società civile ha forzato la mano fino a far esplodere la rabbia dei concittadini ricorrendo all’articolo 49.3 della Costituzione, che permette l’approvazione in Parlamento del testo senza passare per il voto dell’Assemblea nazionale. Scelta che ha scatenato scioperi e manifestazioni a raffica, sfociate in una guerriglia urbana tra forze dell’ordine e black bloc andata avanti per giorni in tutto il Paese. I video delle aggressioni perpetrate durante i cortei dagli agenti della la Brav-M, la brigata della polizia in moto, hanno fatto il giro dei social indignando l’intera Francia.
«Anche se la riforma passerà c’è il rischio di una diffusione di questa collera su altri temi con forme di mobilitazione violenta che potrebbero propagarsi in funzione dei dossier» riflette il politologo Olivier Rouquan. Insomma, Macron è riuscito a infiammare gli animi della contestazione, che richiede a gran voce il ritiro del progetto, sul quale il Consiglio costituzionale si esprimerà il 14 aprile. «Il governo» afferma Rouquan «potrebbe sfruttare l’eventuale bocciatura di una parte della riforma rinunciando all’applicazione immediata e salvando così la faccia. Questa soluzione rappresenterebbe una via d’uscita per l’esecutivo ma bisognerà vedere se Macron avrà voglia di intraprenderla, visto che fino a oggi si è mostrato irremovibile».
Ma soprattutto la crisi politica e sociale complica il cammino del presidente. Il tutto mentre il debito pubblico a fine 2022 ha sfiorato i 3 mila miliardi di euro, l’equivalente del 111,6 per cento del Pil, e l’inflazione è schizzata a marzo al 16,2 per cento su base annua secondo le rilevazioni della società di ricerche Circana. Il presidente adesso appare dimezzato, con altri quattro anni da passare alla guida di una Francia, che ha certamente bisogno di riforme sui dossier cruciali. Tra questi, l’immigrazione, prima «vittima collaterale» della crisi. Il disegno di legge, considerato come il secondo grande cantiere dopo le pensioni, avrebbe dovuto iniziare l’esame in Parlamento a fine marzo, ma visto il clima è stato rinviato. Un paradosso per un progetto concepito con lo scopo di accontentare destra e sinistra, senza però riuscirvi.
Due i punti cardine: l’accelerazione degli allontanamenti di stranieri oggetto di procedura di espulsione e la regolarizzazione degli immigrati presenti da almeno tre anni in Francia e impiegati nei cosiddetti «mestieri in tensione», dove la manodopera scarseggia. Tuttavia, secondo Matthieu Tardis, politologo esperto di immigrazione, si tratta solo di retorica politica. «Non si può dire che sia una legge equilibrata solo perché prevede disposizioni apparentemente aperte a una certa forma di immigrazione e altre più chiuse: non stiamo parlando delle stesse persone» afferma lo specialista, parlando degli stranieri interessati dalle misure.
Ora Macron vuole suddividere il progetto di legge in diversi testi che «arriveranno nelle prossime settimane». Uno spezzettamento utile ad avanzare in Parlamento punto per punto, anche se Tardis sostiene che una simile strategia potrebbe non funzionare: «In questo modo su certe misure la maggioranza può contare sul sostegno di alcuni parlamentari di sinistra, su altre nell’appoggio di quelli di destra. Ma visto l’attuale contesto, ritengo che i deputati non saranno così malleabili». Nei prossimi mesi il capo dello Stato aveva previsto anche di mettere le mani sull’Istruzione. Cantiere ipersensibile per il capo dell’Eliseo, che punta su una «scuola del futuro»: aumento degli stipendi ai docenti, incremento degli stage di almeno il 50 per cento, forniture scolastiche gratuite per studenti in difficoltà e più innovazione. Il presente, però, vede un governo che non riesce nemmeno a trovare un punto di intesa con i sindacati sul «patto insegnanti», che promette un innalzamento dei compensi accompagnato parallelamente da una serie di nuovi compiti.
Tra le impellenze dell’Eliseo, c’è il rilancio dell’atomo. Il progetto, adottato all’Assemblea nazionale, ha in programma sei nuovi reattori Epr entro il 2035, il prolungamento delle attività di quelli esistenti e la cancellazione dell’obiettivo di portare l’atomo al 50 per cento del mix energetico (contro il 63 del 2022). Sebbene l’idea raccolga un ampio sostegno, dal Rassemblement National di Marine Le Pen ai comunisti, il governo si è visto bocciare dai deputati l’articolo che punta a fondere l’Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare (Irsn), specializzato negli studi sui rischi dell’energia atomica, con l’Autorità della sicurezza nucleare (Asn), che ha il compito di vegliare sul corretto funzionamento delle centrali.
Prima di affrontare un’agenda così fitta di scadenze, Macron deve comunque ricucire lo strappo consumatosi con le pensioni. Ma come rilanciare il mandato? Difficile con una maggioranza risicata all’Assemblea nazionale e una credibilità ai minimi (crollata di sei punti al 28 per cento). Continuare con una maggioranza a geometria variabile su ogni progetto in Parlamento, come fatto finora, sarà più complicato. Impossibile fare affidamento sui repubblicani, divisi al loro interno, mentre anche nella stessa maggioranza serpeggiano dubbi sulla rotta da intraprendere. Il quotidiano Le Monde parla di alcuni parlamentari macroniani «preoccupati nel vedere una parte del loro elettorato mostrarsi critica verso il presidente della Repubblica».
Lo spettro dello scioglimento dell’Assemblea nazionale e il ritorno alle urne per nuove elezioni legislative sarebbe un suicidio che porterebbe l’inquilino dell’Eliseo a perdere la maggioranza. Un rimpasto o un cambio di premier darebbero un segnale forte a patto che i francesi si lascino convincere. «Non è importante cambiare il primo ministro ma avere un nuovo contratto di governo con una maggioranza affidabile» dice Rouquan, sottolineando che «l’opportunità con i repubblicani pare essere stata sprecata». Una soluzione sarebbe riformare il blocco centrista, allargandolo perché resista agli attacchi di Marine Le Pen e della sinistra, che in Parlamento ha ritrovato slancio unendosi nella Nuova unione popolare ecologica e sociale (Nupes).
Macron, dopo sei anni passati all’Eliseo, ha dimostrato di non saper ancora dialogare con le parti sociali. Un’evidenza arrivata proprio durante la crisi, mentre i sindacati suonavano alla porta del palazzo presidenziale chiedendo un incontro e nessuno gli apriva. «Fino a quando non ci saranno vere discussioni sui 64 anni sarà difficile calmare le tensioni con la società perché questo è il punto di cristallizzazione del conflitto» sostiene il politologo. Eppure, la sua rielezione lo scorso anno si era basata, tra i vari impegni, sulla promessa di un nuovo atteggiamento, più aperto al confronto, alla concertazione e allo scambio. Niente. Mentre il dibattito arroventava il Parlamento, il presidente restava in disparte, mandando avanti la sua premier Elisabeth Borne. Macron ora prova a tendere la mano ai sindacati, che per tutta risposta restano fermi sulla richiesta di ritirare il progetto di riforma, o almeno metterlo in stand by e avviare una mediazione sull’età pensionabile. Quel che è certo è il punto di svolta in cui si trova ora «Monsieur le Président». La decisione sulla strada da intraprendere spetta solo a lui, che adesso deve reinventarsi per rimettere il suo cammino En Marche.
