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Chi dovrà fare i conti con Lula

Chi dovrà fare i conti con Lula

L’assalto ai palazzi del potere da parte degli «ultrà» bolsonaristi ha in realtà rafforzato il potere del neo presidente sudamericano. Che sta già «normalizzando» esercito, polizia e giustizia. Oltre a decidere nomine controverse nei ministeri chiave e ad accentrare il potere su di sé, soprattutto in campo economico.


«Ma Lula sarà radicale?». Apre un mondo la domanda che mi rivolge Vladimir Villegas mentre mi intervista per Unión Radio da Caracas sull’attacco ai palazzi del potere domenica 8 gennaio a Brasilia.
Grande giornalista e chavista democratico, ex ambasciatore in Brasile del regime venezuelano nonché fratello di Ernesto Villegas, attuale ministro della Cultura di Nicolás Maduro, vuole capire e far capire anche al Venezuela che cosa ha in mente Lula.

Ormai è chiaro che l’assalto al Parlamento da parte di vandali bolsonaristi (ma per qualcuno c’erano anche infiltrati di sinistra), in realtà ha rafforzato il potere dell’ex condannato oggi presidente, sia sul fronte internazionale dove era già forte sia su quello interno, più debole. Sobillati sul social network Gettr da Steve Bannon, ex consigliere di Donald Trump, «i terroristi», come li ha definiti la stampa brasiliana, hanno consentito a Lula in poche ore di fare quanto neanche Maduro e Chávez sono riusciti a fare in 24 anni di potere in Venezuela: arrestare oltre duemila oppositori, quasi tutti ultra 50enni; esonerare i vertici delle forze di sicurezza di Brasilia tramite Ricardo Garcia Cappelli, che risponde direttamente a Lula, un giornalista senza esperienza di sicurezza ma che ha il merito di essere iscritto al Partito comunista del Brasile e di aver portato nel Paese, quando era presidente dell’Unione nazionale degli studenti, Fidel Castro; ancora, cacciare per tre mesi il governatore sgradito della capitale, Ibaneis Rocha e far spiccare un mandato d’arresto per l’ex ministro della Giustizia nel governo di Bolsonaro, Anderson Torres; infine, chiedere il blocco dei beni di Jair Bolsonaro .

Il Brasile avrà comunque problemi ad applicare la legge antiterrorismo che risale appena al 2016 e non include la politica come causa di atti terroristici, come paradossalmente volle lo stesso partito dei lavoratori, il Pt di Lula, all’epoca al potere con Dilma Rousseff, per evitare che i suoi di manifestanti venissero inquadrati nelle pene severe che tale legge impone. Il sospetto che i bolsonaristi infiltrati di Brasilia abbiano dato un pretesto a Lula per radicalizzare il suo governo sul fronte interno aumenta se si considera che l’intelligence brasiliana, l’Abin, aveva allertato su quanto sarebbe successo l’8 gennaio scorso sia il presidente sia il ministro della Giustizia e della sicurezza Flavio Dino.

Nulla è però stato fatto per bloccare i manifestanti, il protocollo di sicurezza non è stato attivato né gli agenti di polizia erano stati avvisati. Adesso, oltre a purgare esercito e polizia, il progetto di Lula preoccupa sul fronte economico. Non solo il presidente ha spacchettato in quattro l’unico ministero dell’Economia che c’era fino al 31 dicembre scorso, creando una marea di sottosegretariati, ma ai vertici ha messo solo un ministro economista, la 45enne Esther Dweck, che si occuperà della gestione e del patrimonio dello Stato.

Dweck è una supporter della controversa Teoria monetaria moderna (Tmm) che si ispira al primo John Maynard Keynes, colui che nel 1928 visitava per la seconda volta l’Unione sovietica e prediligeva la «moralità del comunismo a quella del capitalismo». Dwerk sostiene politiche fiscali espansive per le quali né il debito né l’inflazione sono un problema visto che per i seguaci della Tmm lo Stato non può fallire, a meno che non lo voglia fare di «sua sponte», non pagando più i suoi creditori.

Gli altri tre ministri dell’area economica sono Fernando Haddad, Geraldo Alckmin e Simone Tebet. Il primo è stato piazzato alla Fazenda, l’Economia, ma ha già detto che a prendere le decisioni importanti sarà Lula, di cui lui è il nuovo «delfino». Per la cronaca, l’ultima «delfina» era stata Dilma Rousseff, il cui impeachment, con annessa la peggiore crisi economica brasiliana, viene ora definito da Lula un «golpe». Soprattutto, a detta dei sondaggi, Haddad è stato il peggiore sindaco di San Paolo.

Al ministero dello Sviluppo, industria, commercio e servizi è stato scelto il vicepresidente Geraldo Alckmin, ex governatore di San Paolo, ex leader del Psdb, l’oggi decadente partito socialdemocratico verde-oro, che solo a fine 2017 disse: «Lula vuole tornare sulla scena del crimine». Un riferimento alle inchieste che avrebbero portato all’arresto per corruzione colui che oggi, con lui come vice, è di nuovo alla guida del Brasile. Al ministero della Pianificazione c’è infine Simone Tebet, una professoressa di diritto che, conoscendo bene la materia costituzionale, nel 2016 aveva votato a favore dell’impeachment di Dilma. Non essendo del Pt, Partito dei lavoratori, il suo ministero è già stato dimezzato. Mentre il Ppi, il Programma di partenariato per gli investimenti, il più lucroso piano di partnership pubblico-privati, sarà invece gestito da un altro «petista» doc (appartenente al Pt) che risponde a Lula: Rui Costa, il ministro della Casa civile. Tebet aveva chiesto di poter fare le nomine delle poderose banche pubbliche brasiliane per tranquillizzare i mercati ma, anche su questo fronte, ha raccolto un «no». A capo del Bndes, la Banca dello sviluppo economico, Lula ha infatti messo Aloízio Mercadante, un «soldato di Zé Dirceu» secondo la definizione data a Panorama da uno dei «creatori politici» del presidente. Dirceu, ex guerrigliero formato a Cuba, già braccio destro di Lula e con il figlio Zeca neo-leader del Pt alla Camera, oggi deve operare nell’ombra perché la sua condanna per corruzione è ancora in vigore, per poco.

Mercadante, favorevole ai prezzi controllati per combattere l’inflazione durante la presidenza di José Sarney, dovrà occuparsi delle imprese con il Bndes. Questa banca statale viene ricordata dai brasiliani per avere finanziato con miliardi di dollari a fondo perduto il porto di Mariel a Cuba e la metropolitana di Caracas, durante la presidenza di DilmaRousseff. Spese folli su cui furono aperte indagini qualche anno fa, e che oggi sembrano lontane secoli.

Non bastasse, il nuovo governo ha già dichiarato di voler cambiare la riforma del lavoro, rendendo ancora più difficili i licenziamenti: una sorta di «articolo 18» rafforzato e, dato non irrilevante, la riforma sarà fatta dai sindacati. Non a caso Henrique Meirelles, l’ex presidente della Banca centrale, rimasta l’ultimo presidio indipendente per ora dal controllo di Lula, ha rifiutato ogni proposta di incarico augurando «buona fortuna» al nuovo esecutivo. Una deriva economica «venezuelana» per Lula visibile anche nella politica internazionale, visto il suo sostegno ai regimi più autoritari dell’America latina; e con un presidente che sembra essere tornato al potere deciso alla rivincita e più radicale che mai. Anche se i giornali brasiliani, così come gran parte della stampa all’estero, lo descrivono come un «pacificatore».

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