C’è il record dei contagi. Ma il Paese sta poi vivendo un gravissimo shock economico, il crollo del turismo, l’esilio del re (e la crisi della monarchia), la sinistra di governo nella bufera degli scandali… Per il futuro del premier socialista Pedro Sánchez l’autunno sarà cruciale.
Da giorni si rincorre la voce: il leader di Podemos Pablo Iglesias e la sua compagna Irene Montero si vogliono trasferire in uno dei più esclusivi quartieri di Madrid, Valdelagua (abitato fra gli altri dalla star del cinema Penélope Cruz), con tanto di recinzione e sorveglianza privata. Questo perché davanti all’attuale dimora dei due politici della sinistra spagnola continuano a riunirsi gruppi di protesta per lo scandalo del finanziamento che a inizio d’agosto ha investito Podemos.
Secondo le accuse dell’ex avvocato del partito José Manuel Calvente, Iglesias e i vertici di Podemos avrebbero infatti creato un conto segreto dove far confluire fondi pubblici – si parla di circa 1,6 milioni di euro – da utilizzare per le elezioni dell’aprile 2019. L’episodio, oltre a dimostrare i tanti paradossi della carriera di Iglesias – moralizzatore della politica spagnola con vari scheletri nell’armadio – mette in seria difficoltà l’esecutivo di Pedro Sánchez, in cui Podemos è un cruciale alleato.
Il capo del governo non a caso starebbe cercando in parlamento una sponda con i centristi di Ciudadanos in vista del delicatissimo passaggio autunnale della legge di bilancio. La crisi economica causata dall’emergenza Covid richiede provvedimenti durissimi e impopolari. Intanto il Paese è in piena «seconda ondata» e in Europa registra i dati peggiori per la diffusione del contagio. Dal 1° agosto 110,6 nuovi casi ogni 100 mila abitanti a fronte dei 34 della Francia, i 15 della Germania e gli 8,4 dell’Italia. Un recente studio dell’Istituto di ricerca medico-scientifico Carlos III di Madrid teme che alla fine di settembre gli ospedali spagnoli arrivino alla saturazione, con una crescita di contagi esponenziale e fuori controllo. Non bastasse, a rendere ancora più bollente l’estate 2020 è arrivato l’esilio volontario di re Juan Carlos I ad Abu Dhabi, che ha riparato all’Hotel Emirates Palace, resort superlusso da 11 mila euro a notte per una delle sei suite presidenziali.
Quella che è sembrata una scelta per salvare la monarchia è stata la conseguenza obbligata delle gravi accuse indirizzate al re emerito dalla magistratura elvetica: nel 2008, sostengono i giudici, sarebbe stata pagata una tangente da 100 milioni di euro dal re dell’Arabia Saudita, come contropartita per «l’interessamento» del sovrano alla costruzione dell’autostrada tra Medina e La Mecca (del valore di circa 1,8 miliardi di dollari).
Mai come ora il premier Sánchez sembra stanco, indeciso e debole di fronte alle difficoltà della Spagna. Ecco perché, in un rigurgito di autorità, sarebbe stato lo stesso primo ministro a chiedere espressamente al re Felipe VI di convincere il padre all’esilio volontario. Questo fatto però ha scatenato immediatamente la reazione degli indipendentisti catalani. Il 9 agosto, il presidente della comunità catalana Quim Torra ha espressamente invitato Podemos ad abbandonare il governo dopo il caso di Juan Carlos I, accusato di volersi sottrarre alla giustizia (con il beneplacito del premier) e ha chiesto un referendum sull’abolizione della monarchia spagnola, che con i suoi 12 secoli di storia è la più longeva d’Europa.
«È triste che una traiettoria così importante per la storia della Spagna termini in questo modo» commenta lo storico Paul Preston, autore del libro Juan Carlos I, el rey de un pueblo e uno dei massimi esperti di storia spagnola moderna. Concordando con altri esperti, aggiunge che «la fuga del re emerito è una misura disperata per salvare la monarchia».
Il corto circuito che si potrebbe creare all’interno delle istituzioni, già duramente provate nel consenso dalla pandemia, può avere esiti imprevedibili, in una democrazia tutto sommato molto giovane e che ha sempre avuto nella figura del sovrano un caposaldo dell’unità e della coesione. «Che la sinistra estrema sia d’accordo con la destra estrema catalana in questa dura offensiva contro la monarchia è l’alibi per far crollare il sistema costituzionale spagnolo» dice a Panorama José Antonio Zarzalejos, scrittore, politologo, già direttore del quotidiano Abc. Ecco perché, nell’ennesimo paradosso di questa fase delicatissima per la politica iberica, i socialisti si trovano a dover difendere la monarchia, proprio come i rivali di estrema destra di Vox.
«I socialisti hanno bisogno del re, così come il re ha bisogno dei socialisti» ha scritto Isidoro Tapia, editorialista del quotidiano El Confidencial nei giorni scorsi. Il premier Sánchez ha sempre avuto nell’attuale sovrano Felipe VI un interlocutore affidabile e corretto. La crisi della monarchia finirebbe per travolgere inevitabilmente anche il primo ministro e il suo partito socialista.
E questo in un momento in cui la congiuntura economica si annuncia devastante: dopo il -18,5 per cento del secondo trimestre, la previsione dell’Ocse per il Pil del terzo trimestre spagnolo è di un -14,7 – la peggiore performance nazionale in Europa – un milione di disoccupati in più, il mercato immobiliare commerciale, nella ricca area di Barcellona, crollato del 60 per cento nei primi sei mesi dell’anno. Gravissima anche la crisi del turismo (-97,7 per cento le presenze a giugno, l’Italia ha registrato un -80), settore trainante dell’economia spagnola (15 per cento del Pil nazionale). Il 15 agosto il colosso dei viaggi tedesco Tui ha deciso di interrompere tutti i collegamenti con la Spagna a causa dell’aumento dei contagi.
Secondo l’Omt, l’Organizzazione mondiale del turismo, la pandemia potrebbe causare al turismo spagnolo, indotto compreso, una perdita complessiva di 77 miliardi di euro. «Prima del Covid i miei locali erano aperti tutti i giorni della settimana, ora solo tre» dice Alfonso Robledo, neo presidente dell’associazione di ristoratori delle Baleari. «Siamo riusciti ad andare avanti grazie alla cassaintegrazione, ma se si interrompe molti ristoranti qui sulle isole dovranno chiudere».
Per evitare simili scenari catastrofici, il governo ha già fatto formale richiesta alla Ue per l’attivazione del fondo Sure per la cassa integrazione per 20 miliardi di euro (due milioni il numero di cassaintegrati oggi nel Paese, a fronte di una forza lavoro complessiva di quasi 20 milioni di persone). La vera àncora di salvezza sarebbe nei circa 140 miliardi di euro del Recovery fund, con la grande incognita però dei tempi di erogazione dei fondi, previsti nel secondo trimestre del 2021. Troppo tardi per le esangui casse pubbliche di Madrid, ed è per questo che il governo sta pensando ad alcune misure fiscali per rafforzarle. Il ministro dell’economia Nadia Calviño ha ammesso che «il governo dovrà aumentare le tasse per rafforzare i conti pubblici, come chiede l’Unione europea». D’altra parte, beffa del destino, questa misura era contenuto nel programma politico di Podemos già prima dello scoppio della pandemia, a cui Sánchez si era dovuto adeguare.
Riuscirà il premier a sbrogliare le tante matasse che ha di fronte? «Se oggi la caduta dell’esecutivo a novembre non è sicura, è comunque probabile. È un miracolo se la sinistra catalana voterà la legge di bilancio, ma altrettanto difficile pensare a un eventuale accordo fra socialisti e Ciudadanos, che non garantirebbe comunque la maggioranza» chiosa il politologo Juan Nieto. «E anche se dovesse resistere, avremo comunque un governo in piena crisi di nervi. A rimetterci saranno sempre gli spagnoli».
