Home » Attualità » Politica » La flotta italiana ora ha «strizza»: «Chiediamo immunità diplomatica»

La flotta italiana ora ha «strizza»: «Chiediamo immunità diplomatica»

La flotta italiana ora ha «strizza»: «Chiediamo immunità diplomatica»

“Pericolosa”. Così è stata definita la giornalista della Stampa Francesca Del Vecchio, esclusa dalla Global Sumud Flotilla verso Gaza. Intanto da Augusta e Siracusa è partita la flotta italiana con 17 barche e 120 militanti, pronta a unirsi al convoglio internazionale per tentare di forzare il blocco israeliano

Quando hanno contato le navi della flotta italiana in partenza da Augusta e Siracusa e hanno scoperto che sono 17, ammiragli, tenenti di vascello e mozzi sono corsi a ingaggiare un gozzo, un gommone, il piccolo naviglio di Stanlio e Ollio, qualsiasi cosa galleggiasse per evitare l’impatto con il drone più pericoloso di tutti: il malocchio. Poi la filiale progressista della Global Sumud Flotilla (sumud significa resilienza in arabo) ha deciso di prendere il largo stamane all’alba per non interrompere l’emozione di un presidio democratico a Ortigia, trascorso a ripassare gli insulti al «genocidio perpetrato dagli israeliani».

Il momento è topico e intenso, è dai tempi dell’impresa di Alessandria d’Egitto (ma lì c’era la Decima Mas, ben altra flottiglia, meglio soprassedere) che l’Italia non mostra i muscoli nel Mediterraneo orientale. La rotta è definita: le imbarcazioni con 120 militanti raggiungeranno fra un paio di giorni in un punto misterioso il grosso del convoglio (totale 55 barche, 600 persone in crociera) salpato da Tunisi, per poi fare rotta verso le infide acque internazionali dove – secondo una narrazione degna di Zerocalcare – sarebbero attese dalle cannoniere brunite della perfida marina israeliana, intenzionata a impedire la consegna degli aiuti umanitari nella striscia di Gaza.

Dopo la faccenda dei droni fantasma, derubricati a razzi segnalatori cascati male e addirittura a fantasmagoriche molotov volanti in arrivo dalla spiaggia, la Flotilla procede con prudenza. Spiega la portavoce, Maria Elena Delia: «È stata un’intimidazione che ci dà ancora più forza. L’unica contromisura che stiamo prendendo è quella di continuare a chiedere al governo l’immunità diplomatica, come ha fatto la Spagna…». Necessaria per alimentare il marketing politico Pro Pal con qualche nuance di provocazione, nella speranza che gli israeliani ci caschino. Poiché le navi sono mediamente piccole (dagli 11 ai 15 metri e non commerciali), i famosi aiuti stivati ammontano a 350 tonnellate di materiale, che sarebbe arrivato facilmente a destinazione attraverso i canali ufficiali della cooperazione. Basti pensare che ogni giorno gli stessi israeliani e le Ong americane fanno entrare a Gaza 850 tonnellate di generi di prima necessità.

Uno scenario che trova del tutto contrari i quattro politici italiani a prua in rappresentanza dell’opposizione. Annalisa Corrado (europarlamentare Pd), Benedetta Scuderi (europarlamentare Avs), Arturo Scotto (deputato dem) e Marco Croatti (senatore M5s) si marcano stretto. Gli altri tre non vedono di buon occhio la sovraesposizione di quest’ultimo, che ha assicurato ai suoi follower la diretta video della kermesse umanitaria con gamberetti e protezione 30. È proprio Croatti a sottolineare, confondendo mare e terra come in certe pizzerie: «Questa non è un’azione politica, ma di cittadinanza che sta riempiendo le piazze in maniera importante e deve essere supportata».

L’azione dimostrativa prosegue, attivisti e militanti sperano di riuscire ad arrivare vicino alle spiagge di Gaza per consegnare gli aiuti alle associazioni umanitarie, affiancati da una nutrita delegazione araba, dettaglio che non depone a favore di un’evoluzione pacifica. Sulle barche italiane ci sono anche il presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche (Ucoii) Yassine Lafram, accompagnato dal vice Kheit Abdelhafid, imam della moschea di Catania. «Diventa un atto di dignità collettiva partire con una flotta di civili per rompere l’assedio, portare gli aiuti e tornare a casa sani e salvi». Auguri. Poiché quel tratto di mare è stato dichiarato «territorio bellico» da Israele, il momento più delicato sarà quando la Global Flotilla, per moltiplicare l’effetto mediatico, tenterà di forzare il blocco in vigore dal 2007. Non serve essere Horatio Nelson per capirlo, basta avere fatto un corso accelerato di strategie leonka a Milano.

Negli ultimi due tentativi di mostrare i muscoli (giugno e luglio scorsi), le navi Madleen e Handala sono state abbordate e i membri dell’equipaggio prima arrestati e poi espulsi da Tel Aviv. Per chiarire ancora meglio la situazione, il ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir (un falco) ha avvertito che «Israele tratterà gli attivisti alla stregua di terroristi». Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha ribadito che «i nostri concittadini avranno tutto il supporto diplomatico, anche se ribadisco che avvalersi dei canali umanitari, già attivi ed efficaci, eviterebbe di esporre i partecipanti ai rischi derivanti dal recarsi in una zona di crisi».

Mentre i cuori impavidi si apprestano a bordeggiare verso levante, la Commissione europea ha negato il supporto di Bruxelles con parole dure: «Azioni di questo genere rischiano di portare a un’escalation». Una posizione che chiama in causa con corresponsabilità pesanti leader politici come Elly Schlein e Giuseppe Conte in caso di incidenti. Peccato che Ursula von der Leyen, nelle pieghe degli 800 miliardi del progetto ReArm Europe, non abbia trovato qualche spicciolo per salvaguardare l’incolumità del Frente popular a bagnomaria.

© Riproduzione Riservata