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La corsa di Biden alla Casa Bianca: il rebus della vicepresidente

La corsa di Biden alla Casa Bianca: il rebus della vicepresidente

La scelta del ticket democratico è fondamentale per rafforzare il partito dell’asinello. Per le elezioni di novembre in lizza ci sono varie donne. Al momento, la più gettonata è Susan Rice. Ma la figura più carismatica resta quella di Michelle Obama.


È all’inizio di agosto che Joe Biden dovrebbe rendere noto il nome del proprio candidato alla vicepresidenza. Lo scorso marzo, l’ex senatore del Delaware aveva promesso che avrebbe optato per una donna. E, a seguito degli eventi successivi alla morte di George Floyd, assume sempre maggiore consistenza la probabilità che la scelta possa ricadere su un’afroamericana.

La selezione di un candidato alla vicepresidenza risulta sempre una faccenda piuttosto delicata. E lo è, a maggior ragione, quest’anno per i democratici. In primo luogo, non dobbiamo trascurare che l’asinello risulti ancora spaccato tra le correnti centriste e quelle di sinistra: in un simile quadro, Biden ha bisogno di un partito compatto se vuole sperare di conquistare la Casa Bianca a novembre e – in quest’ottica – la scelta della vice si rivelerà di fondamentale importanza. È quindi impellente che l’ex senatore eviti di incorrere nell’errore che fu di Hillary Clinton nel 2016, quando scelse come proprio vice il senatore della Virginia, Tim Kaine: un centrista politicamente identico a lei, che le alienò definitivamente le simpatie dei sostenitori di Bernie Sanders.

In secondo luogo, non va trascurato che – qualora riuscisse a vincere a novembre – il settantasettenne Biden risulterebbe il presidente al primo mandato più anziano della storia americana. Senza considerare che sulla salute dell’ex senatore circolino già oggi dei dubbi (visti i frequenti lapsus in cui incorre). Tutto questo mette quindi ulteriormente sotto i riflettori la scelta della vice: non dimentichiamo infatti che – secondo la Costituzione americana – se il presidente non è più in grado di svolgere il suo compito (per morte, malattia o dimissioni), è il vicepresidente a prenderne automaticamente il posto.

In tutto questo, la situazione è complicata dal fatto che l’elettorato non sembra troppo interessato all’etnia della candidata. Come evidenziato da Alexander Burns e Katie Glueck sul New York Times l’8 luglio, quattro elettori registrati su cinque hanno affermato che l’etnia non dovrebbe essere un fattore nella scelta del running mate, mentre appena un quinto degli elettori neri ha dichiarato che Biden dovrebbe optare per un afroamericano come candidato alla vicepresidenza. Ma quali sono i nomi che circolano con maggiore insistenza?

Susan Rice

Negli ultimi giorni, ha preso consistentemente quota l’ipotesi di Susan Rice. Afroamericana, è stata ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite e – successivamente – consigliere per la sicurezza nazionale nel corso della presidenza di Barack Obama. Esperta di politica estera, potrebbe tuttavia non rivelarsi una scelta del tutto appropriata. In primo luogo, bisogna ricordare che la sua carriera pregressa è costellata da alcuni episodi controversi. Ai tempi dell’attentato di Bengasi del 2012, venne accusata di aver mentito al popolo americano sulle dinamiche di quell’attacco: le polemiche furono accese e rappresentarono una delle ragioni per cui, nel secondo mandato di Obama, non riuscì ad ottenere l’ambito incarico di segretario di Stato. Susan Rice è inoltre legata al caso Obamagate, a causa di una controversa email che inviò a sé stessa il giorno del giuramento presidenziale di Donald Trump: una mail che descriveva un opaco meeting, tenutosi due settimane prima alla Casa Bianca e dedicato alla spinosa questione del generale Michael Flynn. Fattore che le ha procurato le critiche delle galassie repubblicane negli ultimi tempi. È quindi chiaro che, qualora fosse lei la candidata alla vicepresidenza, questi elementi la esporrebbero agli attacchi degli avversari. In secondo luogo, non bisogna trascurare alcuni elementi strutturali. Susan Rice si è spesso contraddistinta per una politica estera piuttosto proattiva: insieme a Hillary Clinton e Samantha Power, fu tra i principali fautori dell’intervento bellico in Libia nel 2011. Tutto questo, mentre – nell’estate del 2013 – cercò di spingere Obama a intervenire militarmente contro il presidente siriano Bashar al-Assad. Si tratta di elementi problematici, soprattutto alla luce del fatto che la sinistra del Partito Democratico ha sempre espresso posizioni di rigetto verso le cosiddette «guerre senza fine» in cui Washington è rimasta impelagata negli ultimi decenni. Non è quindi chiaro in che modo un (tendenziale) falco come la Rice possa realmente aiutare Biden a federare il partito.

Kamala Harris

Insieme a quello di Susan Rice, il nome della senatrice afroamericana della California, Kamala Harris, è considerato tra i papabili per la vicepresidenza. Il punto è che non è al momento chiaro quanto effettivamente di aiuto potrebbe rivelarsi per Biden. In primo luogo, non va trascurato che Kamala Harris non è troppo amata dagli elettori di Bernie Sanders, che non la considerano una figura realmente a sinistra. Del resto, lei stessa – nel corso delle primarie democratiche – ha tenuto spesso delle posizioni mediane (si pensi soltanto alla sanità), scontentando così sia il centro che le frange più radicali. In secondo luogo, proprio i magri risultati ottenuti durante le primarie non depongono granché a suo favore: se tra giugno e luglio del 2019 era in ascesa nei sondaggi, nei mesi successivi ha visto un progressivo crollo. Fattore, quest’ultimo, che l’ha portata al ritiro lo scorso dicembre. In terzo luogo, si scorge anche un problema di coerenza e credibilità. Un anno fa, la Harris disse di credere alle donne che avevano accusato Biden di molestie sessuali, rimproverando tra l’altro platealmente quest’ultimo per trascorse connivenze con alcuni senatori democratici segregazionisti. Attacchi pesanti, che sono adesso tuttavia svaniti completamente nel nulla. Infine, va sottolineato che – in caso fosse lei la candidata vice – porterebbe «in dote» la California: Stato importantissimo ma che – con ogni probabilità – voterà già di per sé a favore di Biden il prossimo novembre.

Stacey Abrams e Gretchen Whitmer

Tra le possibili candidate vice figura anche l’afroamericana Stacey Abrams. La sua scelta potrebbe avere un senso per due ragioni. Non soltanto perché aiuterebbe Biden a serrare i ranghi tra la comunità nera, ma anche perché viene dalla Georgia: uno Stato che nel 2016 votò per Trump e che l’ex vicepresidente punta adesso a conquistare per indebolire la corsa elettorale del suo avversario. Bisognerà tuttavia eventualmente testare l’effettiva forza elettorale di Stacey Abrams sul territorio: una forza al momento non chiarissima, vista la sua sconfitta alle elezioni governatoriali della Georgia nel 2018. Un altro nome rilevante è poi quello di Gretchen Whitmer. Costei è attualmente governatrice di uno Stato – il Michigan – di assoluta importanza in vista delle prossime elezioni: uno Stato che – nel 2016 – votò di misura per Trump e che Biden ha adesso disperata necessità di espugnare per arrivare alla Casa Bianca. Puntare sulla Whitmer potrebbe quindi aiutarlo in tal senso, per quanto si scorgano alcune difficoltà. Innanzitutto la governatrice è bianca e sceglierla frustrerebbe le aspettative di quei settori che – nel Partito Democratico – si attendono una vice afroamericana o comunque appartenente a una minoranza etnica. In secondo luogo, la Whitmer è finita nelle polemiche per le rigide misure imposte a causa del coronavirus: misure da lei stessa violate quando, lo scorso 4 giugno, si recò a una manifestazione di Black Lives Matter a Detroit, non rispettando il distanziamento sociale. Elementi che, in campagna elettorale, potrebbero essere rispolverati dai suoi avversari.


Tammy Duckworth e Keisha Lance Bottoms

Senatrice democratica dell’Illinois, il nome di Tammy Duckworth sta circolando nelle ultime settimane. Veterana del conflitto in Iraq e invalida di guerra, è la prima donna disabile a essere stata eletta al Congresso. Sconta tuttavia al momento una scarsissima notorietà a livello nazionale. Un’altra figura che sta emergendo è poi quella del sindaco di Atlanta, Keisha Lance Bottoms. Afroamericana, ha tenuto una posizione ambivalente in merito alle proteste, seguite alla morte di Floyd. Pur prendendo parte ad alcune manifestazioni, ha denunciato gli atti di vandalismo verificatisi nelle ultime settimane e ha usato parole molto dure quando – pochi giorni fa – una bambina è rimasta uccisa nei pressi di un’area occupata della città. Non è al momento chiaro se questo atteggiamento possa presentarla come eccessivamente ambigua oppure se possa consentirle – in caso – di attrarre il sostegno delle frange più moderate della protesta. Elemento, quest’ultimo, che si rivelerebbe di grande aiuto per il ticket democratico a novembre.


Elizabeth Warren

Che Elizabeth Warren punti alla vicepresidenza non è un mistero. Era già stata in forse nel 2016. E anche in questo 2020 continua a nutrire questa ambizione. Tanto che, a pensar male, si potrebbe ritenere che il mancato endorsement a Sanders, dopo il suo ritiro lo scorso marzo, sia stato dettato da considerazioni di avvicinamento strategico a Biden. Tuttavia, se c’è stato un momento in cui la senatrice del Massachusetts sembrava essere seriamente vicina al traguardo, la situazione oggi appare abbastanza cambiata. Pur non essendo ancora fuori dai giochi, il caso Floyd potrebbe aver indirettamente azzoppato l’ascesa della Warren (che è bianca). Tuttavia la questione etnica non risulta l’unico punto problematico. Sulla carta, la senatrice dovrebbe garantire a Biden l’appoggio della sinistra del partito. Resta però il fatto che ampi ambienti di quella stessa sinistra non la vedono di buon occhio. Molti elettori di Sanders non le hanno mai perdonato di non aver dato il suo endorsement al loro beniamino. Senza trascurare che il messaggio della Warren si è rivelato storicamente attrattivo per le classi progressiste bianche abbienti e non altrettanto invece per le minoranze etniche e le fasce sociali più povere (a partire dai colletti blu). Infine, tralasciando i magri risultati ottenuti alle primarie di quest’anno, la senatrice non può neanche far troppo leva sullo Stato che rappresenta: è infatti quasi scontato che il Massachusetts voterà per Biden a novembre (Hillary Clinton vi vinse nel 2016 con il 60% dei consensi). Secondo il New York Times, la Warren gode al momento del più alto livello di gradimento a livello nazionale (45%) ma anche del maggior grado di disapprovazione (42%).


Michelle Obama

La grande incognita continua tuttavia a restare Michelle Obama. Nonostante l’ex first lady non sia ufficialmente tra i nomi vagliati da Biden, è da alcuni mesi che circola l’ipotesi di una sua candidatura alla vicepresidenza. È pur vero che la diretta interessata ha smentito queste speculazioni. Ma è altrettanto vero che, a maggio, è uscito il suo documentario per Netflix: un elemento che, secondo i malpensanti, sarebbe da intendersi come una sorta di campagna elettorale sotterranea. Tutto questo, senza trascurare che vari settori vicini al Partito democratico hanno invocato una discesa in campo dell’ex first lady (si pensi soltanto al reverendo Al Sharpton). Attenzione, questo non vuol dire che un’eventuale candidatura di Michelle renderebbe il ticket democratico pressoché invincibile: molte aree vicine a Bernie Sanders non nutrono grande simpatia per la famiglia Obama, che considerano ormai troppo vicina all’establishment di Washington. Detto questo, è chiaro che – tra i nomi in circolazione per la vicepresidenza – quello dell’ex first lady è l’unico effettivamente carismatico e che può contare su un’autentica notorietà a livello nazionale. Indubbi punti di forza, che potrebbero tuttavia indurre l’ex first lady a correre direttamente in proprio alle primarie democratiche del 2024, evitando così il rischio di bruciarsi politicamente a causa delle faide intestine che si verificano al momento in seno all’asinello. È in tal senso che il comportamento di Michelle potrà essere rivelativo di quanto i democratici effettivamente sperino di conquistare la Casa Bianca quest’anno: se l’ex first lady scenderà in campo, è possibile che l’asinello creda effettivamente nella possibilità di una vittoria. Dovesse di contro essere scelto un nome meno eclatante al fianco di Biden, vorrebbe probabilmente dire che – per il prossimo novembre – i dem coltivino più dubbi di quanto sembri.

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