Home » Attualità » Opinioni » Io non pago

Io non pago

Si moltiplicano le proteste di piazza contro gli aumenti dell’energia e il costo della vita. Una sofferenza sociale sempre più grave che la sinistra cerca di cavalcare, tra manifestazioni sindacali e mobilitazioni per la pace. Così contro il nuovo governo di destra, che deve ancora insediarsi, è già partita «l’opposizione militante».


«La piazza è mia! La piazza è mia!» urlava il matto del paese in «Nuovo Cinema Paradiso». E anche nell’Italia di Giorgia, tutti vogliono riconquistare la piazza con identica e rabbiosa foga. Dopo anni di torpore, ogni pretesto diventa superba occasione per manifestare. Lo scontento per salasso energetico e conflitto in Ucraina è sacrosanto, ci mancherebbe. Come lo era sei mesi fa, del resto. Adesso però il contesto politico rende doveroso, per centrosinistra e affini, urlare contro il governo ladro e bellicista. Prima ancora che si insedi.

Guerra ideologica preventiva. Meloni, superate le estenuanti discussioni con gli alleati, si accinge a varcare la soglia di Palazzo Chigi. L’attende la situazione economica più drammatica di sempre. L’anno prossimo, avverte il Fondo monetario internazionale, l’Italia entrerà ufficialmente in recessione. Secondo Confcommercio, sono a rischio 370 mila lavoratori. E l’insostenibile aumento dei prezzi ha già bruciato 12 miliardi di risparmi. Toccato il fondo, tocca scavare. Peggio della pandemia. Stavolta, anche i «posti fissi» decantati da Checco Zalone vedono scurissimo. Perché l’inflazione è davvero democratica. Tocca chiunque. È la livella. I sondaggisti, deposte le rilevazioni sui partiti, sondano il malcontento. Quasi tutti i cittadini sono stati colpiti dai rincari delle bollette. E pochissimi pensano che si troverà una soluzione. Tanti, almeno il cinque per cento stima Euromedia research, annunciano che smetteranno di pagare in segno di protesta. Centinaia di migliaia di famiglie, dunque. Il numero, già sbalorditivo, è destinato ad aumentare.

I nuovi poveri si organizzano su web, Telegram e Twitter. Il Movimento «Io non pago», nato dal successo dei «Don’t pay» britannici, fa proseliti. Punta a un milione di adesioni. Intanto, il numero degli iscritti raddoppia ogni due giorni. Oltre alla propaganda sui social, si moltiplicano «assemblee, banchetti e iniziative di lotta». Manifestazioni partecipate e molto coreografiche. Vengono bruciate bollette in piazza, denunciando la «speculazione» delle aziende energetiche. La rivolta, più prosaicamente, comincerà però da una revoca: quella dell’addebito automatico sul conto corrente dei costi delle utenze. Se entro il 30 novembre non interverranno sui prezzi, allora scatterà la tagliola. Assieme a non meglio specificate forme di «lotta». Il timore della Digos è che iniziative pacifiche attraggano violenti. Del resto, anarchici e collettivi smaniano per ridiscendere in piazza e contrastare il governo che verrà.

La stessa piega potrebbero prendere anche cortei antifascisti e contestazioni studentesche. E perfino le manifestazioni contro la guerra che la sinistra sta organizzando, proprio in concomitanza con la probabile nomina della nuova premier. Prefetture e questure sono in allerta. Anche in questo caso, si teme l’infiltrazione di gruppi tutt’altro che pacifisti. L’obiettivo, a dispetto delle smentite, è lampante: disturbare il manovratore, anzi l’usurpatore. I servizi segreti hanno già inviato dettagliati rapporti al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza. S’annunciano disordini memorabili. Le bollette diventeranno combustibile ideologico per attaccare l’inaccettabile: il primo governo italiano guidato da una leader di destra. Con l’altro meritorio primato, ovvero una donna a Palazzo Chigi, che invece diventa accessorio.

«Bella ciao», già intonata durante le okkupazioni studentesche settembrine, diventerà l’inno dell’autoproclamata «Resistenza». Il frusto copione sembra scritto. I diritti civili messi in pericolo dai post fascisti. E poi il reddito di cittadinanza smantellato, le leggi sull’immigrazione, l’ingiusta flat tax. Dopo anni di assordante silenzio, coincisi ovviamente con la sinistra al potere, arriva la riscossa. A ogni passo, l’esecutivo rischia nuovi inciampi. Obiettivo dichiarato: far cadere il governo in primavera.

Enrico Letta, nonostante l’inenarrabile scoppola alle politiche, evoca addirittura elezioni anticipate, unica remota opzione che potrebbe evitargli un nuovo esilio a Parigi: «Chi pensa che ci sia un’infinita luna di miele con la destra di Meloni, non ha colto il deterioramento del quadro economico e sociale, le tensioni, le paure e le preoccupazioni». Atrocità che, a occhio e croce, sarebbero eventualmente colpa del governo Draghi, di cui il Pd lettiano è stato il più convinto e incrollabile sostenitore. L’antifona, comunque, è chiarissima. La brancaleonica opposizione è pronta ad addossare ogni nefandezza a chi ha vinto le elezioni. Non sarà, ricorrendo all’abusata metafora, un autunno caldo. Sarà rovente, piuttosto. «È paradossale, ma prevedibile» si sfoga la premier in pectore. «La sinistra al governo manifesta contro il nostro governo, che ancora non c’è. Prepariamoci al peggio. Faranno di tutto per riprendersi il potere».

Mentre la leader si accapigliava con gli alleati sul «Lodo Ronzulli», in attesa di ricevere l’incarico dal Quirinale, gli «Studenti antifascisti» bruciavano la sua foto a Milano. Ma è stato solo il primo buffetto. Dopo il giuramento e i pieni poteri, le piazze si scateneranno, confondendo buoni propositi con preconcette ostilità. Ha già aperto le danze la manifestazione generale della Cgil a Roma lo scorso 8 ottobre, primo anniversario dell’assalto degli estremisti di destra alla sede nazionale della confederazione. In Piazza del Popolo il più ammirato è stato Giuseppe Conte. «La nostra gente ha molti temi in comune con quelli della Cgil» arringa il capo dei Cinque stelle. «Quando si tratta di condurre battaglie per le busta paga da fame, il precariato selvaggio, restituire dignità al lavoro noi siamo in prima fila». Eccolo, dunque: sobrio, severo, plaudente. Maurizio Landini, segretario del sindacato, gli è corso incontro: «Grazie, carissimo». Carlo Calenda, demiurgo del Terzo polo, rintuzza: «Non devono esserci commistioni tra politica e sindacato».

Già, ma come dirlo a Giuseppón, emulo italiano del francese Jean-Luc Mélenchon, che adesso vuole guidare la riscossa del centro sinistra? Anche SottiLetta, comunque, s’è scapicollato. In cambio, ha ricevuto il tiepido abbraccio da Landini. Nel nome del catartico antifascismo, ovviamente. In piazza, accanto al sindacato, non mancava nessuno. Leaderini d’assalto. Masanielli in cerca d’autore. Consunte glorie. Occasione storica. Solo la cieca avversione al governo di destra potrà rilanciarli sul proscenio. C’erano proprio tutti, eh. A partire da Robertino Speranza, l’ex ministro della Salute, segretario del morente Articolo uno, rientrato in parlamento solo grazie alla misericordia lettiana. Tra le bandiere della Cgil ha sfilato anche Nicola Fratoianni, del duo sinistro-ambientalista Bonelli&Fratoianni. Poi Stefano Fassina, ex deputato del Pd, che ha però votato per Conte. Non poteva mancare nemmeno l’inarrivabile Laura Boldrini: s’è tagliata perfino una ciocca di capelli, a sostegno delle donne iraniane. C’era pure Susanna Camusso, già segretario della Cgil: difatti è stata eletta nel Pd, in spregio al teorema calendiano. E il vicesegretario dem, a capo dell’ala laburista, Peppe Provenzano. Assente ingiustificata, invece, la dem più glam del momento: arcobaleno, ideologica, estremista. Insomma, la fresca parlamentare Elly Schlein. Che comunque, preannuncia: «L’opposizione la faremo soprattutto fuori dal parlamento».

Appunto. Si comincerà quindi con le manifestazioni contro il conflitto in Ucraina organizzate in varie città dalla «Rete italiana pace e disarmo», dal 21 al 23 ottobre 2022. L’intento è meritorio. Eppure, resta il dilemma: perché la sinistra antimilitarista scende in piazza solo a otto mesi dall’inizio della guerra? Forse perché il Pd, fino a oggi, faceva parte di un governo che non ha mai fatto mancare il suo appoggio militare all’Ucraina? Senza considerare che il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, è uno dei leader del partito. Poco importa. Adesso, invece, il momento è più propizio che mai. Ogni malefatta potrà essere imputata a Giorgia la guerrafondaia. In spregio a ogni evidenza.

Già, occasione imperdibile. Perfino Don Vincenzo De Luca, di cui non si ricordano intemerate antiputiniane, prepara una marcia a Napoli, il 28 ottobre 2022. Per il governatore campano «bisogna svegliare i governi dal sonno della ragione, il cessate il fuoco è prioritario, si rischia l’olocausto». Tra i primi ad aderire, c’è la solita Cgil. Segue poi, a fine ottobre, il corteo dell’Anpi «per la memoria antifascista», nel centenario della marcia su Roma. L’associazione, del resto, scrive che il nostro Paese «si avvia in una fase politica e sociale sconosciuta e piena di pericoli». E quali, di grazia? Chissà. I partigiani rossi sanno solo che la mattina del 26 settembre 2022 si son svegliati e, dopo aver dato una sbirciatina ai dati del Viminale, han trovato «l’invasor».

Un altro indifferibile appuntamento da appuntare nell’agenda dei neo contestatori è il 5 novembre prossimo. A Roma oltre 500 sigle e associazioni di sinistra si riuniranno per predicare la pace. Ma sarà anche l’occasione per volare altissimo: disuguaglianze, giustizia sociale, emergenza ambientale. Iniziativa apolitica, giurano gli schieratissimi organizzatori: Acli e Arci. Difatti Giuseppón ha già annunciato la sua, ormai pregiatissima, presenza: per contestare una linea «totalmente appiattita sulla strategia angloamericana». E perfino Avvenire, il quotidiano della Cei, ha dato la sua benedizione, elevandola a «piazza di Pace». A metà novembre, infine, è prevista un’altra oceanica prova. Sempre contro la guerra. Sempre di sinistrissima. Sempre a Roma, per far meglio riecheggiare gli slogan nei corridoi di Palazzo Chigi. Data da definire, appunto: 12 o 19 novembre. Il calendario delle proteste è in continuo aggiornamento, ovvio. La Brigata anti-Meloni resti comunque in allerta. Nei prossimi mesi, meglio non prendere impegni. La «Resistenza» è appena cominciata.

© Riproduzione Riservata