Il 15 gennaio ci saranno le votazioni nella Cdu per il nuovo leader che dovrà succedere alla Merkel. Un ruolo difficilissimo, anche perché la super cancelliera non ha designato il suo «delfino».
Angela Merkel non è più la presidente della Cdu da oltre due anni ma non se n’è accorto quasi nessuno. La cancelliera tedesca ha formalmente lasciato la guida dell’Unione cristiano-democratica a dicembre 2018, favorendo l’elezione della sua allora delfina Annegrett Kramp-Karrenbauer, meglio nota come Akk. Due anni (e una pandemia) dopo, la Germania non è ancora riuscita a liberarsi dalla cancelliera-dipendenza. Anzi. Nella Repubblica federale ci si continua a chiedere se ci sia vita nel dopo-Merkel.
A ottobre 2018, la cancelleria venuta dall’Est informò i tedeschi che si sarebbe occupata solo del governo: la sua popolarità era ai minimi – e parliamo comunque di un abbondante 55% dei consensi. Il 45% dei tedeschi criticava l’accoglienza concessa da Merkel a oltre un milione di profughi mediorientali fra il 2015 e il 2016.
La difficile integrazione e una serie di attentati targati Isis avevano rotto l’incanto della decennale luna di miele fra la leader tedesca e i suoi elettori. Contestata in seno al partito e punita alle elezioni (la Cdu perse 8,6 punti alle legislative di fine 2017 e quasi 12 un anno dopo in Assia), Merkel capì che era tempo di aprire la successione. Il risultato? Un buco nell’acqua: Akk si è rivelata inadatta al ruolo affidatole. Sotto la sua guida il partito ha perso altri consensi sbandando per due volte verso i populisti di Alternative für Deutschland in Turingia e in Sassonia-Anhalt. Alla cancelliera non è rimasto che togliere la fiducia ad Akk, che ci ha anche messo del suo facendo in pochi mesi due gaffe con il mondo Lgbt – errori in cui Merkel non è mai incappata in quattro lustri di politica attiva.
Dieci mesi dopo le dimissioni di Akk, la Cdu è ferma al palo. Per scegliere un successore, i delegati si sarebbero dovuti incontrare lo scorso 25 aprile. Allora però la Germania era nel pieno della prima ondata da coronavirus. Senza consultare un epidemiologo, la dirigenza ha rimandato l’appuntamento all’8 dicembre, data poi coincisa con la seconda ondata. Alla fine i delegati si incontreranno online il 15 gennaio di quest’anno per eleggere un nuovo leader per corrispondenza.
Nel frattempo Merkel è tornata nel cuore dei tedeschi: alla sua resurrezione hanno contribuito l’approccio da scienziata nel gestire la pandemia e le decine di miliardi scuciti per impedire a due lockdown di inceppare l’economia. Un sondaggio fra 9.000 imprese condotto dall’istituto Ifo di Monaco alla vigilia di Natale segnala una ripresa della fiducia a 92,1 punti rispetto a 90,9 a fine novembre 2020. Il peggio è passato? No.
Il 23 dicembre la Germania ha registrato 962 morti per Covid e 5.201 casi in terapia intensiva (contro 1.116 il 23 ottobre e 3.769 il 23 novembre). La speranza è che il picco sia superato per il 10 gennaio, data della fine prevista del secondo lockdown. Quanto all’economia, la contrazione del Pil sarà del 5,1% nel 2020 contro il 7,8% medio nell’eurozona. Anche la Germania rallenta, ma meno degli altri Paesei europei, permettendo alla sua cancelliera di incarnare ancora le virtù di competenza e affidabilità che l’accompagnano da anni.
Il suo consenso però è tutto personale e mette in ombra gli aspiranti leader della Cdu. Al contrario, il 2021 è un anno elettorale e il partito richiede una leadership forte. Da subito. Assia, Baden-Württemberg e Renania-Palatinato votano a marzo, la Turingia ad aprile, la Sassonia-Anhalt a giugno; e poi il 26 settembre si rinnova il Bundestag. Gli ultimi sondaggi assegnano alla Cdu il 36% dei consensi ma c’è il rischio che i voti si disperdano una volta uscita di scena la cancelliera.
Paradossalmente, il primo a riconoscere che la Cdu farà più fatica a correre senza la spinta di un cancelliere in cerca di riconferme è stato Friedrich Merz, meglio noto come «l’anti-Merkel». Candidato della destra interna della Cdu, al congresso di gennaio Merz troverà schierate le truppe centriste dei delegati vicini alla cancelliera. Fra i due corre pessimo sangue: lei lo esautorò nel 2002, sfilandogli la poltrona di capogruppo della Cdu al Bundestag.
Quando nel 2018 Merz è tornato alla carica, Merkel gli ha sbarrato la strada con Akk. Al prossimo congresso lo scontro è assicurato. Gli altri due candidati sono l’esperto di politica estera del partito, Norbert Rottgen e il primo ministro del Nord Reno-Vestfalia, Armin Laschet. I tre condividono l’origine renana e una discreta impopolarità. Nell’ultimo sondaggio Ard-DeutschlandTrend, Laschet è il settimo politico più popolare di Germania, gradito al 36% degli intervistati. Gli altri due non sono nemmeno fra i primi dieci. Poco per guidare la «balena bianca tedesca».
Meglio farebbe il giovane ministro della Salute Jens Spahn: gradito dal 64% degli elettori (Merkel è al 71), gay e e cattolico, corre in ticket con il poco convincente Laschet e molti dicono che farebbe meglio da solo. Il terzo più amato (57%) è il governatore della Baviera Markus Söder che potrebbe reclamare l’investitura a candidato cancelliere di tutto il fronte moderato.
La partita resta aperta. Alle paturnie neo-adolescenziali della Cdu si aggiungono quelle del sistema elettorale tedesco: il proporzionale obbliga chi vince a governi di coalizione. Ma con i socialdemocratici che hanno promesso di guardare solo a sinistra e i Liberali in calo di consensi, l’unico partner possibile per i cristiano democratici sono i Verdi, su posizioni ben diverse da Merz.
Durante la pandemia, Merkel e i socialdemocratici hanno scelto la via dei finanziamenti a pioggia per aiutare le imprese, mentre Merz avrebbe aiutato solo quelle in grado di dimostrare lo stato di necessità. E che ne sarà dell’automotive, già pilastro dell’industria tedesca? La Cdu ha cercato di tutelare i fabbricanti di auto travolti prima dal Dieselgate (da loro stesso fabbricato) e poi dal vistoso rallentamento dell’export verso la Cina. I Verdi invece hanno pochissima simpatia per le quattro ruote. Ci sarebbe poi accordo sulle partecipazioni statali?
Gli elettori della Cdu hanno ingoiato per anni politiche centriste solo perché a proporle c’era l’amata Mutti («mammina», in tedesco), ma in molti non apprezzano che il governo controlli il 15% di una Commerzbank incapace di uscire dalla propria crisi. E cosa sarà del Nord Stream 2, il mastodontico gasdotto per importare gas in Germania direttamente dalla Russia? Donald Trump ha fatto di tutto per fermare il progetto voluto dai socialdemocratici e sdoganato dalla Cdu ma neppure Joe Biden vede l’opera di buon occhio. La transizione merkeliana verso le energie rinnovabili ha reso la bolletta tedesca fra le più care d’Europa: in quale direzione procederà il governo? A nove mesi dalle elezioni nessuno conosce le intenzioni del partito più forte nei sondaggi. L’unica certezza, al momento, appare solo l’Europa.
Lenta ma inesorabile, nel corso degli ultimi dieci anni Merkel ha sconfitto i falchi del rigore della Cdu come l’ex ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble che avrebbe lasciato la Grecia sprofondare verso la dracma. Merkel gli ha fatto capire che far uscire Atene dall’euro avrebbe provocato un precedente pericoloso. E che è meglio indebitarsi piuttosto che far crollare la casa dove si abita. Un esercizio ripetuto lo scorso maggio con Next Generation Ue, lo strumento comunitario da 750 miliardi per sostenere gli Stati colpiti dalla pandemia, sostenuto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ministra merkeliana dal 2005 al 2019. L’eredità più chiara della cancelliera è a Bruxelles. A Berlino, invece, la politica brancola ancora nel buio.
