Il sindacato di Maurizio Landini è la nuova (e unica, vista l’irrilevanza del Pd ) forza d’opposizione. Mentre i tesserati calano, il segretario generale lancia e benedice proteste e attacchi al governo. Anche grazie ad «alleati» come i 5 Stelle e il Vaticano di Bergoglio. Con la prospettiva di riciclarsi, prima o poi, in politica.
Non faremo da spettatori!» assalta Maurizio Landini, più torvo che mai. Ah, com’erano invece idilliaci i tempi in cui l’arcigno segretario generale della Cgil filava d’amore e d’accordo con il governo. Lo sguardo severo tracimava ammirazione. Con Giuseppe Conte si diceva «d’accordissimo». E Mario Draghi si guadagnò perfino il suo affettuoso abbraccio. Tempi strepitosi, quelli: il Paese avanzava come una locomotiva, i lavoratori erano ebbri di diritti, gli esecutivi non sbagliavano un colpo. Poi, la favolosa luna di miele è terminata. A Palazzo Chigi è arrivata Giorgia Meloni. Dopo il governo giuseppino e quello dei migliori, l’Italia s’è trasformata in un postaccio: salari da fame, libertà a rischio, concertazione bandita, manovra inadeguata, militarismo ottuso, autonomia deleteria, autoritarismo selvaggio.
Landini e la sua Cgil sono ormai la frangia più dura dell’opposizione. Il sindacato rosso è la nuova cosa rossa. Manifestazioni di piazza, scioperi generali, attacchi scomposti: complice lo sfacelo del Pd, il segretario guida la lotta contro l’invasore, con solito piglio antagonista e inedite alleanze trasversali. Il governo, ahilui, s’annuncia duraturo. E Landini ha scelto da che parte stare: alla sinistra di Conte, leader dei Cinque stelle. Altro che Stefano Bonaccini o Elly Schlein. Le primarie del Pd, previste il prossimo 26 gennaio, sono un rumorino di fondo. Che vinca il giurassico governatore o la progressista arcobaleno, il Pd è comunque destinato all’irrilevanza, tra usuali regolamenti di conti e ataviche guerre per bande. La timida opposizione al governo è dunque nelle incerte mani dei Cinque stelle, ormai monolitici dopo la dipartita di Luigino Di Maio e la scomparsa di Beppe Grillo. Robetta, comunque. È soprattutto la Cgil ad aizzare la protesta. Più agguerrita che mai, viene spalleggiata da associazionismo di sinistra assieme a una miscellanea antagonista. E, per la prima volta, da poteri fortissimi.
Citofonare Vaticano. I contatti con la Santa sede si sono intensificati, grazie alle condivise istanze pacifiste. Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, manifesta a fianco di Landini per la fine della guerra in Ucraina. Non sfugge nemmeno la presenza di Andrea Riccardi, ex ministro della Coooperazione nel governo Monti e ambasciatore di Papa Francesco. Ma il leader del sindacato s’era già premurato di sfiorare l’empireo. Lo scorso dicembre aveva incontrato il pontefice. Udienza storica. Per la prima volta, un papa ha ricevuto ufficialmente il leader e una delegazione della Cgil, con notevole entusiasmo tra l’altro: «Non c’è sindacato senza lavoratori e non ci sono lavoratori liberi senza sindacato».
Pane e pace. Mentre le sinistra balbetta, spunta l’alleanza Don Camillo-Peppone. Teoricamente distante dalla politica ufficiale, ma pronta a farne le veci. La classe operaia, più di 50 anni dopo il capolavoro di Elio Petri, «va in Paradiso». Del resto, dietro l’ormai iconico tarantismo di Landini si cela lo scaltro stratega. La Cgil continua a perdere tesserati: almeno mezzo milione nell’ultimo decennio. Tra gli iscritti, il numero dei pensionati supera quello dei lavoratori. I giovani considerano i sindacalisti dei residuati bellici. Mentre il mondo del lavoro veniva stravolto da globalizzazione e smart working, i delegati sono rimasti fermi a volantinaggi e picchetti davanti alle fabbriche. Una conclamata marginalità che ha convinto Landini, visto anche il trionfante centrodestra e il declinante Pd, a politicizzare il sindacato. Sognando le oceaniche folle scese in piazza a Parigi contro il governo, per contestare la riforma delle pensioni.
Il capo della rivolta transalpina è Jean-Luc Mélenchon, al grido di: «Che Macron sia maledetto!». L’ascesa del suo partito, La France insoumise, ha dato il colpo di grazia ai già morenti socialisti. Conte tenta di seguirne le orme. Ha schierato il Movimento a fianco del sindacato, a sua volta interessato a intercettare le simpatie dell’elettorato grillino, spesso giovane e assistenzialista. Reciproci vantaggi. Così, i due leader non perdono occasione per ostentare comunanza di idee e simpatia reciproca. Nella sede nazionale del sindacato, in corso Italia a Roma, riferiscono però di mire ben più ambiziose del segretario: capeggiare un grande movimento di sinistra, la nuova cosa rossa appunto. Landini sarebbe dunque il federatore di un variegato arcipelago, pacifista e labourista, benedetto dal Vaticano. Potrebbe aggregarsi anche Schlein: da capo partito, nel caso di una sua vittoria alle primarie, o da capo corrente, qualora dovesse soccombere a Bonaccini. Del resto, tra Maurizio ed Elly ci sono ampie convergenze, dai ritriti diritti all’accoglienza a tutti i costi. Mentre con il «Bruce Willis di Campogalliano», come lo chiama Matteo Renzi, cinto dai dinosauri del partito e ostile all’alleanza con i grillini, le affinità si limitano alle comuni origini emiliane.
Landini a capo dei rivoltosi, insomma. Malignità, replicano i fedelissimi. Lo sfrenato attivismo, comunque, è funzionale a un obiettivo più prossimo: venir riconfermato alla guida della Cgil. Il congresso nazionale è imminente: a metà marzo, a Rimini, sarà eletto il nuovo segretario generale. Ovvero Landini, che difatti s’è premurato di annunciare la sua ricandidatura. Un secondo mandato, ovviamente, non preclude futuri approdi politici. Anzi. La Cgil consoliderà lo sfegatato antimelonismo, che rischia persino di sfaldare la triplice, vista la posizione più dialogante della Cisl. Già, «la politica di destra cerca di uccidere la rappresentanza sindacale» attacca adesso Landini, dopo aver fatto l’occhiolino ai precedenti governi. In particolare il secondo esecutivo guidato da Conte, non a caso rimasto suo fedele alleato all’opposizione.
Gli amorosi sensi tra Maurizio e l’allora Giuseppi deflagrano platealmente a settembre 2019, durante un congresso della Cgil a Lecce. L’abbraccio tra il sindacalista rosso e il premier giallorosso è appassionato. Si confrontano su tutto, e su tutto concordano: «Sono d’accordissimo», «molto d’accordo», «apprezzo», «condivido». C’è intesa perfino sul fantomatico e vago taglio al cuneo fiscale, quello poi introdotto da Draghi e rafforzato da Meloni nell’ultima finanziaria. Anche l’aumento dei salari, promesso anni fa, è partito adesso dalla scuola. Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, propone pure di adeguare gli stipendi degli insegnanti al costo della vita nelle città in cui vivono: perché a Valguarnera Caropepe, Sicilia, bisogna guadagnare quanto a Milano? Landini, però, alza barricate: «Questo governo sta spaccando l’Italia». Conte lo segue, moschetto in spalla: «È contro il merito». Per non parlare dell’assonante autonomia differenziata alle regioni. Che ingiustizia. Quale sacrilegio. «Va contro il Paese» esplode il segretario della Cgil. «Svendono l’unità d’Italia» concorda il capo dei pentastallati.
Come un sol uomo. Eppure, non possono essere più diversi quei due. L’ex avvocato d’affari: poteri forti, pochette nel taschino, fidanzata upper class. L’ex capo dei metalmeccanici: popolo, grisaglia da grande magazzino, moglie impiegata al comune. Poco importa: Cgil e Movimento, come recita il vecchio adagio militare, marciano divisi per colpire uniti. Intanto, i rapporti tra il Pd e il sindacato sono ai minimi storici. Altra svolta epocale. Erano inseparabili. Tanto che i predecessori di Landini sono sempre stati accolti a braccia spalancate tra i dem: da Sergio Cofferati, già sindaco di Bologna ed europarlamentare, a Susanna Camusso, eletta alle ultime politiche. Alle recentissime regionali invece Tina Balì, membro della segreteria nazionale della Flai Cgil, è stata la capolista di Coordinamento 2050, la lista di sinistra che in Lazio ha affiancato i Cinque stelle contro il Pd. E pensare che, fino a qualche anno fa, Beppe Grillo svillaneggiava il sindacato: «Struttura vecchia come i partiti politici». Mentre Landini, sul Blog delle stelle, era l’emblema di quell’«élite di privilegiati» che «guadagnano migliaia di euro al mese» senza fare «l’interesse dei lavoratori».
Adesso invece l’intesa, testimoniata da continui ammiccamenti e apparizioni pubbliche, è saldissima. A differenza dei suoi antesignani, a meno che il partito della Cgil non finisca per fagocitare la sinistra, Landini potrà sempre riciclarsi tra le file pentastellate. A quel punto, il Movimento avrà finalmente trovato il suo Mélenchon, evitando l’impomatato Conte. Niente hotel a cinque stelle a Cortina e completi sartoriali. Il predestinato va in vacanza a Gabicce mare e indossa la maglietta della salute pure d’estate.