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Il lavoro è il parametro su cui si misurano i risultati di un esecutivo

Il lavoro è il parametro su cui si misurano i risultati di un esecutivo

Portugal street

Ogni settimana la rubrica Portugal street si occuperà di lavoro. In tutte le sue forme e i suoi numeri. A pubblicare i contenuti si alterneranno firme diverse, con il medesimo obiettivo. Riportare gli argomenti dell’occupazione, della produttività e delle politiche attive dai tavoli di crisi ai tavoli di sviluppo. Ecco il primo appuntamento…


Anche nel 2020 il lavoro rimane la prima esigenza delle famiglie italiane. La creazione di nuovi posti di lavoro è la priorità dell’azione politica. L’impatto che la trasformazione digitale e la transizione ecologica avranno sul mercato del lavoro è la sfida del prossimo decennio. Il lavoro è, dunque, il metro su cui misurare i risultati di un governo ed il parametro su cui valutare la capacità di innovazione o di conservazione di una forza politica. Cosa è successo in Italia negli ultimi venti anni ? I governi del centro destra sono stati caratterizzati dalla legge Biagi che ha permesso aumento di occupazione e crescita salariale. I governi Renzi dal Jobs Act, dalla parziale abolizione dell’art.18, e dal tentativo, abortito, di una stagione di politiche attive “europee” (e ricordiamoci che come Blair si è giovato delle politiche della Thatcher, così Renzi ha approfittato delle scelte di Berlusconi). I “governi” dei 5 Stelle da un progressivo ritorno agli anni ‘Settanta, quelli della scala mobile, dell’art.18 e delle politiche passive. Politiche queste ultime giustificate dalla necessità di dare dignità al lavoratore e reddito alle famiglie colpite da una pesante recessione e crescita delle diseguaglianze. Ma sarà vero? Alcuni dati usciti in queste settimane sembrano dare ragione alle politiche dell’ultimo biennio con la crescita dei contratti a tempo indeterminato, l’innalzamento del tasso di occupazione e un primo leggero aumento del reddito disponibile. Tuttavia, una lettura più attenta evidenzia come il nostro mercato del lavoro rimanga il più arretrato in Europa, quello giovanile resti il terz’ultimo in Europa e le donne siano ancora sottooccupate. In sostanza, quasi due anni di politiche della dignità e nessun miglioramento dei problemi strutturali. Se a questo si aggiunge il caos prodotto dalla pretesa di fare politiche attive solo con il reddito di cittadinanza, si dovrà constatare come in Italia solo abbiamo accumulato un ulteriore ritardo rispetto ai nostri partner o concorrenti. Ora, però, con crisi industriali che non si risolvono, con un’economia che diventa sempre più digitale, con l’impegno alla transizione ecologica per il prossimo decennio sarebbe giunto il momento di tornare a ragionare seriamente sul lavoro, piedi per terra e testa alle esigenze delle imprese e dei lavoratori e lavoratrici. Il che significa investimento sulle competenze, investimento sulle regole, investimento sulle politiche attive, investimento sugli ammortizzatori sociali. Non tanto immettendo risorse finanziarie –sempre utili- ma soprattutto con rivedendo regole e pratiche, adottando norme semplici e ad effetto immediato, e non complessi meccanismi legislativi, promuovendo sussidiarietà sociale e partner pubblico-privato.

E soprattutto guardando avanti. Non all’indietro. È quindi con grande sgomento che si osservano le parole di coloro che vogliono rifondare il grande movimento politico della sinistra su articolo 18 e politiche passive, su sussidi monetari e assistenza, su pervasivo intervento dello Stato e tassazione. Altro che riformismo. Rischia di aprirsi un vecchio incubo per il Paese: quello della nuova disoccupazione e della nuova emarginazione. È questo che vogliamo? Non solo la Manica appare sempre più larga ma l’Oceano Atlantico un fossato invalicabile. Altri i tempi quelli in cui Italia e Gran Bretagna firmavano accordi sulle politiche attive e con gli Stati Unitisi si confrontavano pratiche comuni sulla preminenza del binomio lavoro-persona. L’Internazionale socialista suona ancora ma non quella del riformismo mitterrandiano, craxiano o blairiano, che portò le sinistre al Paese e la crescita economica e sociale, ma quella che di Sanders, Corbyn e di qualche nuovo filosofo della decrescita infelice, che propugna povertà e requisizione dei beni privati, e che fino ad oggi ha conosciuto solo sconfitte. Una triste prospettiva per l’Italia.

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