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Il duello Lotito-Carbone domina il girone dei responsabili

Il duello Lotito-Carbone domina il girone dei responsabili

La storia del sen. Vincenzo Carbone, che non dovrebbe stare a Palazzo Madama, stando al ricorso presentato (e vinto in giunta) da Lotito, cui spetterebbe il posto. Ecco uno dei «responsabili» cui si aggrappa Conte per restare a Palazzo Chigi in queste ore di compravendita.


In queste ore in cui continua, frenetica, la caccia alla compravendita dei «costruttori» indispensabili per la salvezza di Conte abbiamo finalmente capito cosa intendevano davvero i grillini quando spiegavano che «uno vale uno».

La battaglia per la sopravvivenza dell’esecutivo si gioca infatti sul filo del singolo voto ed ecco che ogni singolo senatore ripescato da partiti fuori dalla maggioranza attuale diventa decisivo. Così vale la pena di capire di chi stiamo parlando, scoprendo storie curiose.

Come quella di Vincenzo Carbone, eletto nel 2018 sotto la bandiera di Forza Italia. Inutile dire che il senatore è poi trasvolato verso la neonata Italia Viva di Renzi. Ma non è questo tradimento la cosa principale. Quello che conta è che Vincenzo Carbone in Senato non dovrebbe starci. Almeno stando alla decisione della Giunta delle Elezioni del senato che mesi fa aveva accolto l’appello di Claudio Lotito (il presidente della Lazio) anche lui candidato nello stesso collegio di Carbone, anche lui in Forza Italia e di Peppe De Cristofaro (Leu, attuale sottosegretario all’Istruzione).Lotito, fin dopo lo spoglio elettorale aveva denunciato una serie di stranezze, difformità, errori nei calcoli di voti e resti che avevano portato all’assegnazione di quel seggio a Carbone invece che a lui. E la conferma era arrivata dal riconteggio delle schede delle sezioni interessate che non erano state distrutte: Carbone in Senato non ci doveva stare.Il ricorso era così arrivato alla Giunta delle elezioni di Palazzo Madama che, udite udite, ha dato ragione a Lotito. Manca quindi solo un ultimo passaggio, quello del voto in aula che dovrebbe ratificare la decisione della giunta e così portare al cambio: Carbone fuori dal Senato, al suo posto Lotito. Ecco.

In questa fase di trattativa in molti raccontano che la maggioranza avrebbe garantito al «costruttore» un voto a suo favore, la salvezza. In pratica un «Se passi con noi resti al Senato, altrimenti, tanti saluti». Carbone al momento si dichiara fedele a Renzi, ma i sospetti nei corridoi di Palazzo Madama, sono fortissimi. Come sono forti per una sua collega, Donatella Conzatti, anche lei passata da eletta in un collegio maggioritario del Senato per il centrodestra (precisamente Forza Italia) e traslocata in Italia Viva. Una quindi che al salto mortale in politica ci è già passata e anche se la diretta interessata giura fedeltà a Renzi, vatti a fidare…

Certo il voto favorevole del Socialista Riccardo mancini, come quello di Clemente Mastella che non è direttamente in Senato ma ha già dettato la linea della moglie, Sandra Leonardo, eletta grazie a Forza Italia ma da tempo al gruppo misto. «Il sostegno a Conte è una vittoria per l’Italia» ha detto Mastella (per la gioia di Beppe Grillo che in uno spettacolo dei suoi del 2006 e diventato attuale e virale in questi giorni diceva di Clemente: “Come abbiamo fatto a ridurci così? Dovrebbe lasciare la politica e invece ha festeggiato 30 anni in Parlamento, Mastella. Questo qua festeggia perché è 30 anni lì a non fare un caz***o, pagato da noi”).


Beppe Grillo – Mastella www.youtube.com


Un sostegno che, ovviamente, ha un prezzo. Non è un caso che si parli in queste ore addirittura per il Ministero dell’Agricoltura per Lady Mastella.

C’è poi anche un’altra difficoltà in questa sessione di «calciomercato del senatore». Che alcuni grillini duri e puri della prima ora sarebbero pronti a passare alla Lega. Per questo Conte sta pensando ad una contromossa: dare un ministero addirittura ad Alessandro Di Battista. Cosa non si fa per di restare in sella…

Fine pena mai con Conte vs bene

Il duello Lotito-Carbone domina il girone dei responsabili
Fine pena mai con Conte vs bene

“Fine pena mai”. Può essere il titolo di un film distopico, ambientato tra qualche decennio, ai tempi non del Conte-ter, ma del Conte-sedecim, dove al posto della Costituzione c’è un Dpcm, al posto di Palazzo Chigi c’è il palazzo papale, e a guidare la maggioranza ci sono i pronipoti di Mastella e Scilipoti: i figli dei figli dei figli dei costruttori. Un infinito ribaltone, con maggioranze rutilanti, che cambiano dalla sera alla mattina, pur mantenendo lo stesso premier. Un cane che si morde la coda, mentre gli italiani si mordono la lingua per non proferire ciò che vorrebbero.

Perché se ogni mezzo è buono per tenere in piedi un governo, se anche il trasformismo anziché virus democratico viene promosso a vaccino, allora non c’è scampo. Non esiste più una logica, un senso, e in questi tempi tristi la parola data vale il tempo di un pomeriggio. Fino a qualche giorno fa solo l’evocazione dei responsabili suscitava orrore: “Mai maggioranze raccogliticce!” era il ritornello intonato nei quartier generali dei partiti di governo e persino nelle sacre stanze del Quirinale. Quelli che ieri erano frettolosamente giudicati come squallidi trasformisti, oggi sono già diventati “costruttori”, eroi della patria, degni di un monumento equestre in ogni piazza, accanto a Garibaldi.

Prendiamo una dichiarazione a caso, tra le tante. “Che io possa andare in parlamento a cercare maggioranze alternative o dare vita a un mio partito è pura fantasia…restituiamo alla politica la sua nobiltà”. A scriverlo, poco più di 12 mesi fa, era lo stesso Giuseppe Conte che oggi sta per l’appunto cercando maggioranze alternative e si appresta a fondare un suo partito. Quanto alla nobiltà della politica: stendiamo un velo pietoso. Cambiano i colori governativi, gialloverde, giallorosso, e adesso giallomulticolor, cambiano i programmi, ammesso che ce ne siano, ma la guida politica resta la stessa, come nulla fosse.

Vale tutto e il contrario di tutto, e per tutti. Lo sanno i Cinque Stelle, che una volta si battevano per il vincolo di mandato, e oggi sono pronti ad accettare qualsiasi governo che non li scolli dalla poltrona. Lo sa Gigi Di Maio, che ieri sfilava con i gilet gialli e oggi evoca la “maggioranza Von Der Leyen” con Mastella. Lo sa bene il Partito Democratico, che tiene in piedi la baracca pur avendo promesso di rifiutare soluzioni improvvisate. E lo sa bene anche Matteo Renzi, che pur nella sua spinta distruttiva non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo: da un lato definisce il metodo Conte-Casalino un “vulnus democratico”, dall’altro non stacca davvero la spina, anzi è pronto a tornare sedersi al tavolo con il suo arcinemico.

E ricominciamo da capo. I nemici di oggi saranno gli amici di domani, e viceversa. Fine pena mai: nei peggiori cinema. Quando arriveranno, per carità, i titoli di coda?

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