«Non credo che le partite Iva stiano peggio degli altri…». Tanto, anzi poco, basta al vice ministro dell’economia, Antonio Misiani (del Pd) per annunciare la mancata proroga per le p. iva delle tasse che si sarebbero dovute versare il 30 giugno. «Bisogna ad un certo punto cominciare a pagarle perché le tasse servono per finanziare i bisogni essenziali».
Un ragionamento che se dal punto di vista di “cassa” non sembra fare una piega dal punto di vista politico, sociologico e storico è quantomeno fuori luogo.
Il primo perché Misiani forse non ha capito bene cosa sia successo durante la quarantena soprattutto alle partite Iva; di fatto la fascia che più delle altre ha visto azzerarsi (non abbiamo detto ridursi, ma proprio azzerarsi) i guadagni e che è rimasta già vittima del flop sul famoso bonus da 600 euro che per i primi due mesi in massa hanno ricevuto più facilmente dai nonni e dai genitori piuttosto che dallo Stato.
Ma il passato è passato, avrà pensato, e così è ora di tornare a tartassare i già tartassati, come si fa da decenni con prelievi da primato europeo.
Verrebbe da chiedere al vice ministro dove pensa che questa gente riesca a trovare i soldi delle gabelle (basta richiedere a genitori, nonni o banche…) ma il vero punto della situazione non è nemmeno questo.
E’ il fatto che il governo di cui Misiani è autorevole esponente sta di fatto spaccando il paese in due. Da una parte gli statali, i dipendenti pubblici, certi fino alla fine della loro vita lavorativa di avere il posto e lo stipendio fisso. Dall’altra l’Italia che produce: aziende, commercianti e partite Iva quelle che più hanno pagato il dramma della pandemia, quelle abbandonate dai decreti fallimentari di Conte, quelle che a migliaia chiuderanno (se non lo hanno già fatto) creando un numero di disoccupati devastante per il tessuto sociale.
Un paese di figli e figliastri dove chi è sotto l’ala protettrice dello Stato è salvo, gli altri invece sono colpevoli di chissà quale reato o tentativo di ribellione al potere centrale e quindi vanno colpiti, almeno nel portafoglio. Una sorta di comunismo 2.0 che arriva nei giorni in cui lo Stato si ricompra Autostrade (a proposito, a quale prezzo?) dopo Mps ed il pozzo senza fine di Alitalia.
Ragionamenti che forse potevano andare bene negli anni ’20. Si, ma in Russia, un secolo fa.
Ps. Nota finale. Finché continuerà questa caccia all’imprenditore scordiamoci gli investimenti esteri dal nostro paese. Soldi, posti di lavoro, crescita che stiamo regalando agli altri, che sono più furbi e avanti di noi
