Le prime anticipazioni delle linee guida destano qualche perplessità. È come se non ci si accorgesse che ci troviamo in una situazione di emergenza.
A situazioni di emergenza si risponde con provvedimenti di emergenza e con misure shock. L’Italia, come tutti i Paesi del mondo, da sette mesi ormai è vittima del peggiore evento economico e sociale mai registratosi dalla crisi del 1929 e dalla Seconda guerra mondiale.
I dati economici evidenziano una profonda recessione economica, con interi settori produttivi in crisi strutturale, deficit pubblici che crescono a dismisura, Stato che interviene in ogni «angolo» dell’attività economica, bonus e sussidi a pioggia per tenere in vita attività che altrimenti sarebbero destinate a scomparire.
Gli effetti sul mercato del lavoro sono drammatici con pesanti perdite in termini di occupazione, caduta dei contratti a tempo indeterminato, emersione di improprie forme di lavoro. Ci si interroga al momento se la pandemia ha sviluppato tutti suoi effetti oppure se una seconda ondata arriverà e quale potrà essere l’impatto su una struttura economica e sociale già fortemente debilitata.
Alcuni indicatori suggeriscono che siamo fuori dal periodo più difficile ma quale sarà la forma della curva di ripresa: a V? a U? a L rovesciata? Nel frattempo l’Unione Europea ha predisposto una manovra da 750 miliardi con mutualizzazione del debito e aiuti a fondo perduto, il cui pieno dispiegarsi avverrà però nel 2021, lasciando quindi una parte di anno ancora scoperta e con il solo sostegno della Bce.
In questo quadro, l’Italia in sette mesi avrà varato misure per circa 100 miliardi a sostegno della sua economia. Si potrà discutere se questo ammontare non sarebbe stato meglio predisporlo in una manovra sola piuttosto che attraverso una serie di scostamenti ma è indubbio che l’effetto di non fare precipitare economia e società in un abisso della recessione e della disperazione vi è stato, pure se permangono dubbi sulla reale efficacia di alcune misure.
Nell’attesa dei progetti del Recovery Fund, la domanda si sposta su come gestire i mesi finali del 2020 e proiettarci nel 2021. Le prime anticipazioni delle linee guida del cosiddetto decreto agosto destano qualche perplessità. È come se non ci si accorgesse che ci troviamo in una situazione di emergenza a cui si deve rispondere con misure semplici, ad alto impatto e senza che vi siano pregiudizi ideologici.
Si dovrebbe sfruttare questo provvedimento per qualche prima misura di innovazione e di riforma strutturale. Invece, sembra che nel governo prevalga ancora la logica dei bonus. Se il mix fosse così sbilanciato sarebbe un errore. Qualche sostegno ai consumi può essere previsto, ma non sarebbe meglio aumentare i sostegni a fondo perduto agli imprenditori? Il primo avrebbe un effetto solo temporaneo mentre i secondi contribuiscono a tenere in vita le attività produttive e sarebbe quindi di lungo periodo.
Ugualmente, sarebbe più utile procedere finalmente alla detassazione degli aumenti contrattuali, questo sì un incentivo strutturale ai consumi, al recupero di produttività, alla riduzione del costo del lavoro per le imprese. Lungo questa direttiva altrettanto importante è un incentivo alla contrattazione decentrata nel Mezzogiorno, che potrebbe spingere al recupero di occupazione e produttività «sana», come dimostrano recenti studi in proposito. Se dobbiamo stanziare dai 2 ai 3 miliardi di euro forse varrebbe la pena pensare strutturalmente.
Al tempo stesso, bloccare in maniera indiscriminata i licenziamenti significa ingessare le aziende e anche non conoscere le dinamiche del mercato del lavoro (oltre che essere sempre preda di un pregiudizio negativo sulle imprese). Il mercato deve essere libero di riallocare le sue risorse, compreso il capitale umano, in maniera efficiente e lo Stato deve aiutare questi processi con orientamento (altro che navigator alla ricerca di evasori o furbetti, piuttosto che aiutino alla ricerca di nuovi lavori), formazione (giusto il rafforzamento del Fondo competenze ma in un’ottica di strategia per la formazione e riqualificazione), ricollocamento (politiche attive e nuovo assegno di ricollocazione).
Le assunzioni devono essere incentivate per farle ripartire, ma pensare solo ai contratti a tempo indeterminato significa non leggere le dinamiche del mercato del lavoro nei prossimi mesi ed essere sempre «costretti» da visioni ideologiche. Gli incentivi possono essere selettivi (giovani e donne) ma per tutte le categorie di contratto (indeterminato, determinato, apprendistato), eventualmente con qualche graduazione, ed indipendentemente dal fatto che sia o meno occupazione aggiuntiva.
Siamo in una situazione di emergenza, occorre un provvedimento di emergenza semplice che abbia effetto e impatto «forte». E infine una domanda: ma se invece di tutti questi meccanismi non facessimo un provvedimento di riduzione della pressione fiscale e contributiva? Sarebbe un forte segnale per le imprese, al pari delle semplificazioni. Immaginiamo: l’Italia si proietta nel 2021 con meno tasse e meno burocrazia. Se fossero questi gli obiettivi del Paese, allora anche il Parlamento dovrebbe rinunciare a fermarsi e approvare subito i provvedimenti. A situazioni di emergenza risposte di emergenza. Purtroppo sembra che al di là delle parole i fatti indichino altre strade. A dispetto anche del Presidente della Repubblica.