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Matura l’idea di rinunciare al gas russo: l’economia Ue si romperebbe

Matura l’idea di rinunciare al gas russo: l’economia Ue si romperebbe

Un’idea molto discussa in questi giorni è quella della rinuncia totale al gas russo al fine di mettere in ulteriore difficoltà l’economia russa e arrestare l’aggressione verso l’Ucraina. È un’idea nobile, ma i suoi effetti devono essere valutati in modo complessivo anche considerando le ricadute interne oltre che esterne. L’unica strada può essere un accordo con gli Stati Uniti sul gas naturale, ma i primi devono per strategia politica calmierarne il prezzo verso gli europei. Questi ultimi dovranno attrezzarsi con i rigassificatori e in cambio forse possono offrire un trattato di libero scambio.


Un’idea molto discussa in questi giorni è quella della rinuncia totale al gas russo al fine di mettere in ulteriore difficoltà l’economia russa e arrestare l’aggressione verso l’Ucraina. È un’idea nobile, ma i suoi effetti devono essere valutati in modo complessivo anche considerando le ricadute interne oltre che esterne. Prima di tutto, l’economia non è mai una scienza esatta. Qualche settimana fa la gran parte di esperti ed economisti profetizzava un collasso dell’economia russa con conseguente crollo del rublo. Ciò non è avvenuto, ma al contrario la moneta russa è tornata ai livelli pre-guerra. Il default per ora non c’è e non è scritto che l’eventuale ammanco nelle vendite di gas possa determinare la fine della guerra in pochi giorni. Nessuno nega che nel lungo periodo le sanzioni ed una eventuale rinuncia al gas russo possano ridurre di molto la capacità di Vladimir Putin di finanziare la sua offensiva, ma il problema sono proprio i tempi e le conseguenze socio-economiche interne all’Europa. Confindustria ha stimato il costo della crisi energetica per le imprese in 60 miliardi di euro. La rinuncia al gas russo, che per l’Italia consta nel 40% dell’ approvvigionamento totale, potrebbe mandare quei costi ulteriormente alle stelle. Ciò significa moltissime aziende in difficoltà, diverse al collasso, impatti negativi su margini e investimenti per tutti, crescita della disoccupazione e calo della produzione. Un cocktail molto pericoloso per un paese che, nell’uscita dal Covid, ha già mandato il proprio notevole debito pubblico ai massimi storici. Le stime di crescita sono tutte tagliate, nel 2022 non si tornerà ai livelli pre-Covid, ma anzi si rischia una recessione vera e propria. Lo scenario non permette azzardi emozionali dettati dal furore bellico. L’Ucraina va sostenuta con le armi, ma il gas russo può essere dismesso soltanto a diversificazione completata frutto di una strategia internazionale pluriennale. Di chi è la colpa di questa complicata situazione? Di chi in questi anni al potere ha preferito legarsi mani e piedi a Putin e perseguire una ideologica agenda verde invece di puntare su nucleare e diversificazione degli approvvigionamenti. Senza gas russo l’Italia è autosufficiente per dieci settimane poi piomberebbe nel razionamento energetico, i Paesi dell’Est hanno un’autonomia molto limitata (poche settimane), la Germania durerebbe otto settimane prima di trascinare verosimilmente a fondo l’intera economia europea. Gli anni della pandemia hanno frenato, anche grazie al cambio di paradigma economico e politico europeo, l’ascesa di nazionalismi e populismi. Una nuova crisi economica e sociale derivante dalle scelte energetiche per fini bellici è il modo migliore per farli tornare alla ribalta in breve tempo e con maggior recrudescenza. Le classi politiche e dirigenti europee non devono farsi piegare dalle pressioni delle burocrazie e del circuito mediatico, pena la messa in questione della loro stessa sopravvivenza. Già di per se l’inflazione è un pericolo: l’euro è una moneta unica tutta costruita sulla promessa della stabilità dei prezzi, un’inflazione fuori controllo che eroda il potere d’acquisto degli europei può distruggere la fiducia verso di essa e riavviare movimenti di contestazione dell’ordine monetario europeo. Le alternative nel breve periodo sono poche. L’unica strada può essere un accordo con gli Stati Uniti sul gas naturale, ma i primi devono per strategia politica calmierarne il prezzo verso gli europei. Questi ultimi dovranno attrezzarsi con i rigassificatori e in cambio forse possono offrire un trattato di libero scambio. Siamo nel campo delle ipotesi e anche si avverassero serviranno mesi. L’emergenze energetica e inflativa c’è però adesso. I paesi europei non possono barattare, almeno per ora, la stabilità interna con una politica estera più aggressiva.

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