Per smaltire le tonnellate di immondizie che ricoprono Roma, una soluzione (modello Copenaghen) sarebbe quella di puntare su un termovalorizzatore. Ma per ora il nuovo inquilino della capitale preferisce pagare gli straordinari ai dipendenti Ama o
spedire la spazzatura in altre regioni. Intanto, per le strade, continuano a passeggiare topi e cinghiali.
Piscine giganti, laghi artificiali riscaldati, hammam e saune, impianti sportivi e palestre, magari in un parco tematico dedicato alla ricostruzione del mondo degli antichi romani». Il tutto alimentato da un moderno inceneritore di rifiuti, che sfrutti le migliori tecnologie, cattura dell’anidride carbonica compresa, per produrre calore ed energia. Così, in un articolo pubblicato sul sito lavoce.info, il professor Antonio Massarutto immagina la soluzione dell’emergenza spazzatura di Roma. Una provocazione?
Non proprio: Massarutto, docente di Economia applicata all’Università di Udine e autore di vari libri su rifiuti e gestione dell’acqua, prende ispirazione dal termovalorizzatore di Copenaghen, quello con la pista da sci sul tetto (realizzata da una società italiana), diventato un’attrazione turistica ad appena quattro chilometri dal centro della capitale danese e dai giardini di Tivoli.
«Da quasi duemila anni» argomenta Massarutto «Roma non ha uno stabilimento termale degno di questo nome. Le ultime terme sono state quelle di Caracalla, da tempo in disuso. Se a Copenaghen sull’inceneritore si scia, perché non immaginare a Roma un grande parco acquatico alimentato da un termovalorizzatore?».
Già, perché no? Perché la parola «termovalorizzatore» i politici del Lazio e di gran parte delle regioni del Sud non osano neppure pronunciarla. Nel sito Roma che funziona-Roberto Gualtieri sindaco, dove sono descritti i programmi del nuovo inquilino del Campidoglio, si legge: «La dipendenza di Roma da altri territori per i rifiuti non deve essere l’alibi per non agire. Chi governa la capitale ha il dovere di trovare soluzioni definitive, che permettano di assicurare una gestione di rifiuti che sia non solo definitiva e che rappresenti anche un’opportunità di investimento».
Quante volte viene citato nel testo successivo il termine termovalorizzatore? Nessuna. Eppure questo tipo di impianti, osteggiati dall’opinione pubblica, rappresentano un tassello fondamentale per gestire tutta la spazzatura che produciamo, trasformando in energia ciò che non si riesce a recuperare, riciclare o ridurre in compost.
Invece il neo sindaco targato Pd si barcamena come la predecessora pentastellata Virginia Raggi: paga un straordinario da 200 a 360 euro ai dipendenti dell’Ama, l’azienda che di occupa dei rifiuti urbani della capitale, affinché facciano meno assenze durante le festività natalizie. Spedisce la monnezza in Lombardia, in Toscana e chissà in quali altre località mentre l’impianto di trattamento meccanico-biologico di Rocca Cencia è al collasso. Ed è alla ricerca di una nuova discarica, con la benedizione del presidente della Regione Nicola Zingaretti, dove piazzare, provvisoriamente s’intende, parte delle 4.600 tonnellate di rifiuti giornalieri, di cui 2.600 di indifferenziato, che producono ogni giorno i romani.
Roma con i rifiuti per strada e gli annessi topi e cinghiali è una vergogna nazionale. E i suoi cittadini pagano tra le tariffe più alte d’Italia per la raccolta della spazzatura. Però i politici possono vantarsi di avere un solo termovalorizzatore nella loro regione, quello di San Vittore, in provincia di Frosinone. Chissà cosa pensano i «fortunati» romani dei poveri e sciocchi lombardi che devono sorbirsi ben 13 inceneritori sui 37 presenti in Italia: uno di questi riscalda anche il Duomo di Milano.
Stranamente, però, i milanesi non camminano tra i sacchi di monnezza, pagano la Tari circa il 15% in meno rispetto ai romani e sono al top nella differenziata, che al Nord viaggia sul 70%. Invece al Sud è ferma al 51%. Sarà un caso, ma nel Mezzogiorno ci sono solo sei termovalorizzatori di cui uno, quello di Acerra in Campania, costruito tra violente contestazioni e con la protezione dell’esercito. In Sicilia finisce in discarica il 58% dei rifiuti urbani, nel Lazio il 27% mentre in Lombardia solo il 6 e in Campania, grazie ad Acerra, il 4.
In Italia si producono all’anno 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e vengono conferite in discarica ben 6,3 milioni di tonnellate, quanto fanno la Germania e altri 15 Paesi europei messi insieme, come ricorda uno studio Ambrosetti. E le discariche sono in fase di esaurimento, soprattutto quelle al Sud. I nemici degli inceneritori sono convinti che siano pericolosi e inutili.
Per quanto riguarda la pericolosità, uno studio dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) mostra che nel trentennio 1990-2019 a fronte di una quantità di rifiuti inceneriti triplicata, si è avuto un calo del totale delle emissioni. E alcuni inquinanti come le diossine sono praticamente scomparsi. Che poi siano poco utili lo nega Massarutto con questo argomento: «L’Europa ci dice che dovremmo arrivare a riciclare il 65% dei rifiuti. Ammettendo di riuscire a raggiungere un obiettivo così impegnativo, resterebbe un 35% di cui solo il 10 potrà finire in discarica. Quindi almeno il 25% della spazzatura urbana dovrà essere bruciata, a cui andranno aggiunti i rifiuti speciali non riciclabili».
Anche una voce indipendente come quella dell’Antitrust invoca più impianti: in un documento inviato al governo in vista del varo della legge sulla concorrenza, l’autorità sostiene che «complessivamente i dati disponibili fotografano una situazione in Italia, ancora oggi, di rilevante gap impiantistico, soprattutto nelle aree del Centro e del Sud del Paese, che non riescono a trattare tutto il rifiuto urbano residuo raccolto, che viene quindi in parte destinato a impianti localizzati al Nord o all’estero».
Di conseguenza, «anche tenuto conto dei rinnovati obiettivi ambientali che il settore dovrà perseguire alla luce del nuovo pacchetto di direttive sull’economia circolare, l’Autorità auspica, previa una valutazione aggiornata del fabbisogno impiantistico, l’adozione di politiche volte a incentivare un celere sviluppo infrastrutturale nelle aree geografiche a oggi sottodotate, per una distribuzione più equilibrata della capacità di termovalorizzazione sul territorio nazionale». A seconda delle fonti, si sostiene che occorre costruire da 5 a 7 nuovi impianti di taglia medio-grande.
Sorprendentemente, una tesi sposata anche da un manager al di sopra di ogni sospetto: Stefano Zaghis, l’ex amministratore unico dell’Ama scelto dalla Raggi e dimessosi in novembre. Già nel 2019 il manager grillino affermava che nel Lazio «per chiudere il ciclo dei rifiuti ci vuole il termovalorizzatore. Lo dicono la Comunità europea e lo Sblocca Italia del 2014». E aggiungeva: «È chiaro che se il Campidoglio rifiuta il termovalorizzatore, aumenterà la Tari perché noi continueremo a spendere un sacco di soldi per mandare altrove i rifiuti».
«Roma capitale e, più in generale, il Lazio» aggiunge Chicco Testa, presidente di Fise Assoambiente, associazione che rappresenta le imprese di gestione rifiuti, «ha bisogno soprattutto di diversi impianti, in particolare per due frazioni di rifiuti: l’umido che necessita di impianti di recupero energetico e compostaggio e poi la parte non riciclabile, almeno un 25% che non può più essere inviata fuori regione con i costi connessi. Non sono un sostenitore degli inceneritori a tutti i costi, ma non capisco nemmeno obiezioni a una tecnologia ampiamente sperimentata e che fa per esempio della Lombardia e di Milano realtà virtuose.
Fra l’altro buona parte dei rifiuti romani dopo un primo trattamento finisce negli inceneritori di altre regioni». Ora tocca a Gualtieri. È all’inizio del suo mandato e potrebbe provare a rompere il tabù, raccontare la verità ai suoi concittadini e pronunciare la parola maledetta. Dai Roberto, ce la puoi fare, di’ «termovalorizzatore».
