La «decrescita felice» vagheggiata dai movimenti ecologisti radicali è un’ideologia irrealizzabile e disastrosa. Parola di chi ne ha analizzato le follie in un libro.
Ultima chiamata per il pianeta Terra. Ma non per salvarlo, casomai per tentare di farci ritorno. La chiamata urgente infatti è rivolta a quell’ampia fetta di ambientalisti che hanno perso il contatto con la realtà. Parlo dell’ambientalismo che ritiene doveroso salvare il mondo anche a discapito dell’umanità, l’ambientalismo che si prefigge di bloccare lo sviluppo economico o ritiene che farlo sia un male necessario. E questo non è purtroppo solo l’ambientalismo invasato che abbiamo visto all’opera in questi giorni a imbrattare le opere d’arte nei musei o a manifestare in tangenziale. I ragazzi di Ultima Generazione suscitano solo compatimento.
A spaventare dovrebbe essere l’ambientalismo «mainstream» entrato negli organismi internazionali, nelle istituzioni europee e in gran parte della intellighenzia, anche italiana. Tra un po’ di vernice scagliata sulla statua di Cattelan e una direttiva che vuole imporci di ristrutturare forsennatamente le nostre case, sarà soprattutto quest’ultima a portarci alla rovina. La pericolosità di questa ideologia green risiede nel fatto che, sotto sotto, essa non ha mai ripudiato l’aspirazione aberrante alla cosiddetta «decrescita felice». La decrescita non è mai felice. È anzi molto spesso rabbiosa e anche pericolosa per i nostri sistemi democratici.
Gli ambientalisti più folli la invocano, parlando di drastica riduzione dei consumi, di immoralità nelle scelte alimentari, di contenimento demografico per gli esseri umani. Ma anche quelli che non esplicitano propositi così rovinosi spesso li propugnano per il semplice fatto di rifiutare un vero confronto con i numeri. Chi oggi insiste con l’idea che l’Italia possa essere alimentata da energia solare ed eolica, lo sa quanto consuma un Paese manifatturiero come il nostro? Lo sa che al momento – e nonostante i ricchi incentivi elargiti in questi anni – solare ed eolico non forniscono neppure il 4 per cento di tutta l’energia di cui abbiamo bisogno?
Chi oggi immagina possibile che il 75 per cento delle case degli italiani venga ristrutturato entro 10 anni, ha la minima idea di quanto tempo, quanto materiale e quanti soldi occorrano? E ancora, chi si è scatenato con l’agricoltura bio, si rende conto che se tutti mangiassimo «bio» non basterebbe il pianeta a sfamarci? Messi all’angolo dalla verità dei numeri, alla fine anche questo secondo tipo di ambientalisti cederà e pronuncerà la fatidica frase: «Infatti dobbiamo consumare meno!». Un segno negativo che non può che voler dire una cosa: impoverimento. Ma la tutela dell’ambiente non può passare da questo, per una ragione molto semplice: non sarà l’impoverimento a tutelarlo. Produrrà anzi l’effetto opposto.
Il capolavoro di questo tipo d’ambientalismo è che non solo tende a condurre una battaglia morale invece che scientifica, ma alla fine ottiene risultati opposti a quelli che si prefigge. Gli ambientalisti che lottano contro il termovalorizzatore di Roma difendono un ecosistema che intanto diventa tossico, tra spazzatura e animali selvatici. Gli ambientalisti che ci hanno fatto chiudere i giacimenti di metano nell’Adriatico hanno ottenuto che finissimo per comprare il gas da Putin. Gli ambientalisti che ora si eccitano per l’auto elettrica non hanno una risposta su che cosa accadrà, il 15 agosto in un Paese come il nostro, quando saremo tutti fermi in autostrada a ricaricare le nostre vetture.
L’ultima chiamata è infatti quella ad aprire gli occhi. Non credo che la maggior parte degli ecologisti voglia davvero provocare un disastro economico e sociale. Molte delle istanze che animano l’ideologia «green» sono apprezzabili; ma se si riesce a spiegare, per esempio, che una nave cargo alimentata con motore elettrico sarebbe costretta a trasportare una batteria da 100 mila tonnellate, cioè metà del suo peso, penso che, invasati a parte, chiunque si renderebbe conto che no, il motore elettrico per il settore delle merci non è una soluzione applicabile.
Allo stesso modo ritengo che ogni ambientalista dotato di buon senso dovrebbe guardare con speranza al nucleare di quarta generazione. Davanti all’enorme rischio che i cambiamenti climatici comportano, perché opporsi a una tecnologia che promette (è sulla buona strada per riuscirci) energia pulita, economicamente sostenibile e disponibile in grandi quantità? Se l’ambientalismo alla moda storce il naso anche di fronte all’evidenza che in molti campi tutela dell’ambiente e sviluppo economico possono coesistere, significa che il vero obiettivo di questa ideologia non è la tutela della natura ma la battaglia allo sviluppo economico e alla libertà d’impresa. E tutto ciò non è altro che la riedizione di vecchie pulsioni: la lotta di classe «formato green».
