La legislatura è su un binario morto, inutile girarci intorno. Le riforme che potrebbe fare una grande coalizione – anche nella logica di una contrattazione tra forze politiche diverse – non ci saranno. Draghi, pur nel suo grande prestigio internazionale, è concentrato sulla guerra in Ucraina e sui rapporti con le grandi nazioni mentre è chiaro che sul fronte interno le elezioni sono troppo vicine e gli attriti politici troppo forti per andare oltre l’attuazione di quanto c’è già.
Riforma Cartabia, delega fiscale, concessioni balneari sono i compromessi a ribasso degli ultimi mesi. Il salario minimo, battaglia fugacemente imbracciata dal Partito democratico, è sparito dai radar e dall’agenda di governo. Si annuncia, si litiga, ma non si realizza. Perché l’esecutivo e la maggioranza sono immobili? Ci sono una serie di ragioni. La prima è una legislatura stanca, che probabilmente sarebbe dovuta finire prima. Tutti hanno governato con tutti ma nell’inconcludenza generale. Se si guarda la mappa delle politiche pubbliche le due eredità principali, poco positive per l’economia italiana, sono il reddito di cittadinanza e quota 100, varate ad inizio legislatura dal Conte Uno. Due politiche di spesa che non hanno toccato i nodi del lavoro, dell’investimento, della produttività. Poi c’è stata la lunga parentesi della pandemia e di una legislazione tutta concentrata sulla sanità e sul sussidio economico. Infine, il varo del Next Generation EU da parte della Commissione europea.
Con esso è di fatto finito il ruolo di “formulazione politica” dei governi italiani: le priorità e il programma politico dei prossimi anni è stato scritto a Bruxelles. Il governo non deve fare altro che “riempire” là caselle scelte dall’Unione europea. Sfida sicuramente interessante perché richiama una capacità di progettare che non è parte della genetica della politica italiana, ma che di fatto lascia svolgere alla Commissione Europea un ruolo di supplenza di lungo periodo nella politica italiana. Quasi tutto viene consegnato nelle mani delle burocrazie, nazionali e locali. In altre parole, i partiti hanno tirato i remi in barca nascondendosi dietro il Pnrr e contrattando soltanto sulle questioni “micro” dello stesso. In questa situazione, il governo Draghi approfitta del vincolo esterno europeo per andare avanti più che mai a colpi di fiducia ed evitare imboscate parlamentari. Non aiuta nemmeno lo scenario economico: inflazione crescente, tassi in rialzo, crescita in brusca frenata. In pochi mesi si è passati dagli entusiasmi del rilancio post-pandemia ad una situazione da anni Settanta.
Tra pochi mesi ci saranno le elezioni politiche e nessun leader è disposto a rischiare per accordarsi su programmi di riforme e interventi più ampi. Tutti nascosti dietro Draghi e dietro l’Europa. Ma l’Unione europea, che ha risposto alla pandemia col dirigismo economico e con troppa enfasi ambientalista, è lenta nella sua capacità di reazione politica. Lo stesso Draghi appare in difficoltà, quasi in imbarazzo per le scelte della Bce che mettono – in uno scenario di sanzioni, scarsità di materie prime e crisi della logistica – a dura prova la finanza pubblica italiana. I leader europei dovranno trovare una risposta comune, ma come spesso accade a Bruxelles si rischia di farlo troppo poco e troppo tardi sul piano della politica economica. Tutto è rimesso alle magie monetarie della Banca centrale europea ma difficilmente questo basterà a uscire dalla spirale di stagflazione. Di questo il premier è consapevole, ma la sua coalizione appare troppo debole e il suo futuro personale troppo precario per poter avanzare con incisività una proposta di politica economica europea. Da ultimo, una tale paralisi politica è favorita anche dalla scena dei partiti. C’è un solo partito all’opposizione, Fratelli d’Italia, che cresce con costanza nei sondaggi. Per gli altri ciò implica che ogni errore o promessa mancata può tradursi in un vantaggio per Giorgia Meloni, già favorita dal peggioramento dell’economia. Da qui gli atteggiamenti conservativi di tutti i partiti, e in particolare della Lega da cui Fratelli d’Italia continua a drenare voti. Ne consegue un immobilismo generale e l’avanzata di proposte-bandiera con scarsa probabilità di tradursi in provvedimenti concreti. Nel frattempo il Paese si avvia a una nuova fase di sofferenza senza che i salari, il risparmio, gli investimenti, il fisco siano al centro della discussione e della decisione politica. Come sempre la realtà arriverà all’improvviso e con durezza, e porterà con se una nuova instabilità politica e le consuete decisioni prese nell’emergenza, nella deroga e nell’eccezione.
