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Quel che resta di Conte

Quel che resta di Conte

L’ex governo non ha portato cambiamenti epocali, in compenso lascia in eredità un ottimo numero di incarichi, retribuiti con generosità, a consulenti e collaboratori: 277 secondo l’ultimo aggiornamento. Tutte nomine «di fiducia» che non saranno azzerate dalla crisi. Almeno fino a che non ci sarà un nuovo esecutivo…


Uno degli ultimi a essere assunto è stato Claudio Moscardelli. A molti probabilmente il suo nome non dirà nulla, ma Moscardelli è stato per due volte consigliere regionale nel Lazio (dal 2005 al 2013) e poi senatore nella scorsa legislatura (2013-2018). Il 10 settembre 2020 ha ricevuto un incarico ad hoc dal ministro della Difesa uscente Lorenzo Guerini per «supportare gli uffici di diretta collaborazione nei rapporti istituzionali con i diversi organi parlamentari preposti alla funzione di controllo sull’attività di governo». Costo dell’operazione: 36 mila euro lordi annui. Questo è solo l’ultimo di una trafila di esempi di fedelissimi, ex onorevoli, amici di partito che nel corso del governo Conte 2 hanno trovato un posto da collaboratore o consulente.

Per carità: nulla che non sia accaduto anche con altri esecutivi (e che probabilmente accadrà anche con quello «nascente» di Mario Draghi), ma è altrettanto vero che forse da chi ha annunciato svolte epocali nel modo di intendere la politica ci si sarebbe aspettati qualcosa in più. E invece il lascito del Conte 2 è (anche) una marea di nomine che ora, essendo per la maggior parte fiduciarie, col cambio di esecutivo rischiano tutte di crollare. A cominciare proprio da Palazzo Chigi: tra presidente del Consiglio, sottosegretari e ministri senza portafoglio l’ultimo aggiornamento conta un numero di 277 consulenti e collaboratori.

Uno di questi è Filippo Nogarin: dopo essere stato sindaco di Livorno, candidato alle Europee nel 2019 e aver mancato l’elezione per una manciata di voti, ha ricevuto un incarico da «consigliere» (a 40 mila euro annui) dal ministro per i Rapporti col Parlamento Federico D’Incà. Di «ripescati» come questo il governo è ricco. Prendiamo le già dimissionarie Elena Bonetti, ex ministra per le Pari opportunità, e Teresa Bellanova, ex titolare del dicastero delle Politiche agricole. Il leader di Italia viva Matteo Renzi ha elogiato fino allo sfinimento il loro coraggio di aver mollato posizioni così prestigiose. Forse però qualcuno avrebbe dovuto ricordargli che di incarichi le sue ministre ne hanno dispensati diversi. La Bonetti, per esempio, ha nominato capo della segreteria tecnica Ileana Cathia Piazzoni, deputata dem nella scorsa legislatura (2013-2018): dopo essersi ricandidata senza successo alle Politiche del 2018, nel settembre scorso ha deciso di traslocare sotto le insegne di Italia viva, esattamente come la renziana Bonetti.

Tra gli altri spicca il nome di Nicolae Galea. Assunto come «esperto», ha sposato un altro uomo molto vicino a Renzi, Alessio De Giorgi: secondo quanto risulta dal suo curriculum, in passato è stato social media manager proprio del leader Iv e prima ancora ha curato la campagna referendaria «Basta un sì», il comitato pro-riforma costituzionale, firmata Maria Elena Boschi. Ebbene, durante il Conte 2 se Galea lavorava con la Bonetti, De Giorgi ha lavorato con l’altra renziana, Teresa Bellanova, come consulente comunicativo della ministra (per 80 mila euro annui).

Ma alle Politiche agricole ha trovato posto anche Antonella Manzione, nominata nuovo consigliere giuridico della ministra. Manzione, che oggi assolve all’importante incarico in forma gratuita, era stata già protagonista nel governo Renzi: suscitò molte polemiche la scelta dell’ex premier nel 2014 di nominarla capo del dipartimento degli affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio, facendola traslocare da Firenze dove dirigeva, invece, i vigili urbani. Anche in questo caso non mancano gli ex onorevoli come Salvatore Capone: eletto nella circoscrizione di Lecce nel 2013, è stato deputato del Pd fino a fine mandato nel 2018, per poi essere nominato dalla sua conterranea Bellanova come consulente.

Non che agli altri dicasteri o dipartimenti la musica sia diversa. Per dire: il ministro Francesco Boccia ha nominato come suo consigliere addirittura un parlamentare in carica come il dem Enrico Borghi (il cui stipendio, ovviamente, è pagato solo da Montecitorio). Esattamente come ha deciso di fare la ministra Paola Pisano, nominando il deputato pentastellato (ed ex sottosegretario con il Conte 1) Mattia Fantinati. Il capo politico del Movimento (e viceministro dell’Interno) Vito Crimi, invece, sin da subito ha affidato l’incarico di suo consigliere all’ex senatore pentastellato Bruno Marton.

A prediligere gli «ex» è stato pure il ministro uscente dell’Economia Roberto Gualtieri: durante il Conte 2 ha lavorato in qualità di consigliere del ministro Enrico Gasbarra, ex golden boy del centrosinistra romano e nominato a inizio 2020. La sua carriera è lunga: prima vicesindaco a Roma, poi presidente della Provincia, quindi deputato del Pd, infine dal 2014 al 2019 europarlamentare dem, proprio insieme a Gualtieri, il suo «datore di lavoro». Ma Gualtieri aveva tra i suoi collaboratori anche un altro pezzo da novanta come Franco Bassanini: parlamentare dal 1979 al 2006, è stato ministro dei governi Prodi 1, D’Alema 2, Amato 2, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con il D’Alema 1, oltreché presidente della Cassa depositi e prestiti dal 2008 al 2015.

Non si sottrae alla rigorosa regola di circondarsi di fedelissimi anche il titolare dei Beni culturali, Dario Franceschini: nonostante il ministro avesse già un portavoce e un capo ufficio stampa, nell’ottobre 2019 ha affidato un incarico di consulente per la comunicazione a Pierdomenico Martino, prima deputato Pd e poi, candidato al Senato nelle liste di Leu alle Politiche del 2018, che ha mancato l’elezione… Martino ora è però emigrato: adesso cura la comunicazione del commissario governativo per l’emergenza Domenico Arcuri, col quale lavora anche un altro ex‚ come Massimo Paolucci, europarlamentare fino al 2019. A sedere in Parlamento sempre col Pd fino al 2018, invece, era anche Celeste Costantino: fino a oggi, invece, è stata «consigliere per la mediazione culturale» di Franceschini (40 mila euro annui).

Spuntano fuori curiose nomine anche al ministero della Salute. Tra i tanti prescelti da Roberto Speranza c’è, per esempio, Nerina Dirindin, ex senatrice e ora esperta di politica sanitaria, seppure a titolo gratuito. Carlo Roccio, invece, consiglia il ministro sui temi biotecnologici: è tornato al suo lavoro dopo essersi candidato nel 2014 alle europee. A 36 mila euro lordi annui, c’è poi Alfredo D’Attorre: ex parlamentare nella scorsa legislatura, oggi ricopre il ruolo di consigliere «per le questioni relative all’etica e alla bioetica».

Tutte queste nomine ora rischiano, come detto, di saltare, avendo tutte come scadenza la «fine del mandato governativo». Resteranno, invece, quelle in società ed enti che ricadono sotto l’egida dei vari dicasteri. E anche qui ci sono fedelissimi ed ex della politica. Il caso che più ha fatto discutere, probabilmente, è quello dell’ex compagno di scuola di Luigi Di Maio, Carmine America: prima collaboratore di Di Maio al ministero dello Sviluppo economico, poi agli Esteri perché «esperto di questioni internazionali, sicurezza e difesa», infine nominato membro del cda di Leonardo.

Non è l’unico caso, ovviamente. A fine anno a diventare amministratore delegato di Sin spa, l’ente a capo del Sistema informativo agricolo nazionale che consente all’Agea (l’Agenzia del ministero delle Politiche agricole) di gestire i fondi, è stato Edoardo Fanucci. Sarà soltanto una coincidenza ma parliamo di un deputato Pd nella scorsa legislatura e oggi tesserato con Italia viva di Matteo Renzi, con il quale condivide le origini toscane (Fanucci è di Pescia, provincia di Pistoia). Dunque, lo stesso partito del ministro della Bellanova, sotto la cui egida si muove l’Agea.

Discorso simile alla Difesa dove, sempre a fine 2020, il governo – su proposta del ministro Guerini – ha nominato per il prossimo triennio l’ex senatore e dalemiano di ferro Nicola Latorre, direttore generale dell’Agenzia industrie difesa, l’ente che gestisce le molteplici unità industriali di palazzo Baracchini e ne cura l’ammodernamento.

La nomina, peraltro, pareva a un certo punto potesse saltare visti i rilievi posti dalla Corte dei conti, che aveva richiesto «di voler esplicitare con maggior chiarezza e dettaglio l’esperienza manageriale posseduta dall’interessato», che «non sembra emergere dal curriculum vitae allegato agli atti». Alla fine, però, tutto è stato chiarito e felicemente risolto. I tre anni da direttore generale possono partire, con annesso trattamento economico che, fino all’anno scorso, era pari a 181 mila euro lordi più 24 mila di retribuzione di risultato.

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