Il 3 ottobre 1990 l’Est si ricongiunse ufficialmente all’Ovest. Da allora, nell’ex Repubblica democratica, già satellite di Mosca, la situazione è cambiata. In meglio. Eppure tra le due metà del Paese c’è ancora un divario. Reale e psicologico.
Nel suo godibilissimo e molto contestato libro La più breve storia della Germania che sia mai stata scritta, il romanziere britannico James Hawes sostiene che sin dai tempi di Giulio Cesare le Germanie sono due, una a Est e l’altra a Ovest, e le differenze fra le due metà superano le caratteristiche in comune.
Hawes sottolinea lo strabismo, riconfermato nel corso dei secoli, fra cattolici e protestanti, fra renani imprenditoriali e prussiani militaristi, fra filo occidentali e filo russi. E oggi? Il 3 ottobre cade il 30esimo anniversario della riunificazione della Germania, con la Ddr che si sciolse a favore della Repubblica federale (Rft). L’ultimo cancelliere orientale liberamente eletto in quella «democratica» si chiamava Lothar de Maizière, mentre la sua giovane portavoce era la sconosciuta 36enne Angela Merkel.
Causa coronavirus, le celebrazioni del compleanno a cifra tonda della Germania unita saranno in tono ridotto. Le pubblicazioni e gli studi sul prima e dopo, invece, non mancano. Fra le più chiare c’è quella dell’Istituto di Berlino per la popolazione e lo sviluppo (Bibe). Gli studiosi di questo centro affrontano 30 temi, uno per ogni anno dalla Deutsche Wiedervereinigung, mettendo a confronto dati come sviluppo demografico, reddito pro capite, cure sanitarie e istruzione con parametri quali identità, secolarizzazione, soddisfazione generale, cultura.
Il quadro che ne esce non divide la Germania nettamente in due. Certo, l’Ovest risulta più ricco e sviluppato e i suoi residenti (i «Wessi») guadagnano in media 700 euro di più dei loro concittadini orientali (gli «Ossi»). All’Ovest si comprano più case di proprietà e si vive in media 1,3 anni di più grazie a uno stile di vita più sano. Eppure il grande sviluppo dell’Est negli ultimi 30 anni non va sottovalutato, segnala a Panorama la coautrice dello studio, Susanne Dähner. «Questa parte ha dovuto fare tabula rasa delle strutture economiche preesistenti, incompatibili con l’economia di mercato e poi si è messa a correre per raggiungere l’altra», ossia i poderosi distretti industriali dell’Ovest, trainati da un settore automobilistico e dal suo indotto impegnati a conquistare l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina.
Fra le cause di un Est che però resta indietro Dähner individua proprio la mancanza della grande industria. «Emblematico è il caso dell’ottica di punta Carl Zeiss che nel Dopoguerra lasciò la Turingia per trasferirsi nell’Ovest». Ma se in termini economici le distanze sono commensurabili, il vero disastro a oriente è la questione demografica: oggi in Germania Est restano 13,6 milioni di abitanti, tanti quanti ce n’erano nel 1905. Nello stesso periodo i tedeschi dell’Ovest sono più che raddoppiati, da 32 a 68 milioni.
La riunificazione non ha dunque messo fine all’esodo verso occidente ma l’ha solo reso più facile. A esclusione di Berlino, in costante espansione negli ultimi anni, gli altri cinque Länder orientali si sono spopolati – prima a vantaggio dell’Ovest e poi verso le città dell’Est – obbligando le autorità a tagliare scuole e ospedali rimasti mezzi vuoti e diventati economicamente insostenibili.
I prezzi di case e terreni sono precipitati ma non a vantaggio degli Ossi che, con 88.000 euro di capitale in media per famiglia (la metà di quanto hanno i Wessi), non si possono permettere acquisti immobiliari. Il crollo dei prezzi ha concesso invece a ricchi investitori dell’Ovest di acquisire enormi tenute all’Est. E gli ultimi contadini-imprenditori, sopravvissuti prima alle ristrutturazioni degli anni Novanta e poi alle sanzioni contro la Russia (che penalizzano soprattutto chi intrattiene antichi rapporti economici con Mosca), ci hanno perso in indipendenza.
Solo l’anno scorso il gruppo Aldi (famoso per i discount) ha acquisito 2.000 ettari in Sassonia-Anhalt e 1.500 in Turingia. Secondo uno studio di fine 2019 dell’Istituto federale Thünen per le aree rurali, a inizio 2007 il 22% delle 853 aziende agricole in Germania Est apparteneva a grandi investitori non residenti: 10 anni dopo erano il 38%. Fra chi ha perso il lavoro ieri e chi viene «comprato» oggi, la riunificazione ha significato una rottura radicale con il passato. Se ieri gli abitanti della Ddr erano i cittadini dello Stato fra i più solidi del Patto di Varsavia, oggi gli Ossi non sono neppure più una comunità: il 61% vive da solo o al massimo con un’altra persona contro il 53% dei Wessi.
All’Est insomma va tutto male? No, risponde Dähner, e spiega: oggi qui la disoccupazione è al 7%, di poco più alta che all’Ovest, i giovani ottengono titoli di studio superiori rispetto ai ricchi tedeschi del Sud, le donne lavorano in media di più che in Occidente e non guadagnano di meno dei loro colleghi uomini come accade invece alle Wessi. Grazie a servizi per l’infanzia più diffusi e capillari, la donna all’Est è più indipendente di quella occidentale, che molto spesso ha solo un impiego part-time.
D’altronde nella Ddr non lavorare era considerato un comportamento antisociale, mentre nella Rdf ha sempre prevalso il modello del marito-capofamiglia. Non è forse un caso che oggi in Germania sopravviva lo stereotipo secondo cui le donne orientali sono più protagoniste di quelle occidentali sul lavoro e persino sotto le lenzuola… Al netto dei cliché, oggi l’indice di soddisfazione generale registrato fra gli elettori orientali sfiora quello medio all’Ovest e l’emigrazione interna è ferma dal 2014. E se le campagne si svuotano, città dell’Est come Dresda, Lipsia, Jena e Potsdam pulsano di opportunità di istruzione, lavoro, cultura.
Il divario è in continuo calo: perché dunque gli Ossi vivono male la loro condizione? Da un lato, spiega lo studio dell’Istituto Bebi, perché dall’inizio del nuovo millennio l’Est cresce piano e il fossato con l’Ovest si riempie troppo lentamente. Poi c’è la solitudine degli anziani nelle campagne ad alimentare nel cuore di tanti elettori la sensazione di essere cittadini di serie B. Cittadini che protestano come possono, aderendo per esempio in massa ai partiti anti-sistema.
Nell’orientale Turingia, la somma dei voti per i populisti di AfD e i socialcomunisti della Linke (un partito, questo, ormai di governo in tre Länder all’Est) ha raggiunto il 54,4% alle Regionali un anno fa. L’economia non sembra dunque capace di spiegare il malessere dell’ex Ddr tanto più che, osservano numerosi analisti, ci sono intere regioni occidentali come il bacino della Ruhr o la piccola Saarland strutturalmente più povere dei nuovi Länder orientali.
Proviamo allora a girare la domanda alla cultura. «Ritengo che i cittadini dell’Est siano meno fieri della loro rivoluzione di quanto lo siamo noi all’Ovest» spiega a Panorama Korbinian Frenzel. È il conduttore di un programma di approfondimento sul canale radiofonico pubblico Deutschlandfunk Kultur. Visti da Ovest, i progressi dell’Est sono poderosi e innegabili. Resta dunque da capire perché il malessere diffuso in quei distretti.
È più diffuso fra gli «over 50», che hanno vissuto in prima persona il passaggio da un sistema socialista all’economia mercato: persone cresciute con la propaganda comunista nelle orecchie e finite a lavorare per un gruppo occidentale. Frenzel ipotizza una mancata identificazione fra elettori ed élite. «Eppure fra il 2012 e il 2017 questo Paese aveva un presidente, Joachim Gauck, e un capo del governo, Angela Merkel, entrambi tedeschi orientali».
Due leader apprezzati ma che non sono riusciti a sanare la ferita, lo strappo vissuto da chi era un adulto all’Est. Nel frattempo Merkel è rimasta: «Ma lei, conclude Frenzel «ha sempre tenuto un basso profilo sulla sua origine». La ragazza cresciuta in Brandeburgo, laureatasi a Berlino Est e sempre rieletta nell’orientale Meclemburgo, ha conquistato la Germania Ovest. Ma lo ha fatto a spese della sua identità di tedesca dell’Est.
