È anche dalla Georgia che passano le nuove tensioni tra Washington e Mosca. Un Paese che, in questi giorni, sta attraversando una fase di forte turbolenza politica.
La scorsa settimana, il partito al potere, Sogno Georgiano, ha annunciato come nuovo premier il ministro della Difesa, Irakli Garibashvili. Una scelta, concretizzatasi dopo che, giovedì, il primo ministro, Giorgi Gakharia, aveva rassegnato le proprie dimissioni: una mossa che quest’ultimo, entrato in carica nel 2019, ha motivato a causa di un disaccordo con la sua stessa squadra in riferimento alla detenzione di Nika Melia, presidente del partito d’opposizione Movimento Nazionale Unito. “Credo che lo scontro e la rivalità all’interno del Paese mettano in pericolo il futuro dello sviluppo democratico ed economico della Georgia”, ha scritto Gakharia su Twitter. “Pertanto”, ha aggiunto, “ho annunciato le mie dimissioni nella speranza di ridurre la polarizzazione e allentare la situazione”. Ricordiamo che Melia fosse stato accusato di incitamento alla violenza durante le proteste, tenutesi nel giugno del 2019: in tale contesto, mercoledì una corte di Tbilisi ne aveva decretato l’arresto. Una decisione che aveva finito col determinare una spaccatura nell’entourage dello stesso Gakharia, dettosi contrario alla detenzione.
Questa situazione si inserisce in un più ampio contesto di turbolenze in seno alla Georgia. Dopo le elezioni parlamentari dello scorso ottobre, Sogno Georgiano era stato infatti accusato di brogli dall’opposizione (specialmente dal Movimento Nazionale Unito): ne era quindi scaturita una situazione poco chiara. L’Osce e la Nato – da una parte – avevano dichiarato che le elezioni fossero state “competitive” e che “le libertà fondamentali fossero state rispettate”: tuttavia le due istituzioni avevano anche aggiunto che, nel processo di voto, si fossero registrate delle carenze. D’altronde, questi singoli episodi – per quanto drammatici – restano contingenti e nascono da un contesto di fibrillazione strutturale che chiama in causa i difficili rapporti, intrattenuti da Tbilisi con Mosca. Ricordiamo che, nel 2008, la Georgia abbia perso circa il 20% del proprio territorio a causa di separatisti spalleggiati dalla Russia: un evento traumatico che è esploso come dinamite in seno all’opinione pubblica georgiana, determinando in secondo luogo tensioni tra il Cremlino e la Casa Bianca.
Dissidi che presentano giocoforza un connotato interno ed uno internazionale. Sul piano interno, Sogno Georgiano ha perseguito nel tempo una politica di normalizzazione con Mosca, cercando di realizzare un (non facile) equilibrio tra la Russia e l’Occidente. D’altronde, non va dimenticato che il (parziale) disgelo nei rapporti tra Tbilisi e Mosca sia iniziato nel dicembre del 2012, proprio con l’avvento al potere di Sogno Georgiano. Dall’altra parte, il Movimento Nazionale Unito sposa posizioni più marcatamente filoamericane e filoeuropee: posizioni – neanche a dirlo – particolarmente critiche verso il Cremlino. E veniamo quindi al piano internazionale. Come accennato, la Georgia è destinata a tornare centrale nel duello tra Stati Uniti e Russia, soprattutto dopo che Joe Biden – nel recente discorso tenuto alla conferenza di Monaco – ha pronunciato parole severissime contro Vladimir Putin. Del resto, la questione georgiana è stata anche affrontata nella prima telefonata, intercorsa (a inizio febbraio) tra il neo segretario di Stato americano, Tony Blinken, e il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. Una conversazione in cui Blinken ha parlato di “aggressione” dei russi ai danni di Tbilisi.
In tutto questo, non va infine trascurato che – sempre alla conferenza di Monaco – Biden abbia invocato un rilancio del ruolo della Nato. E proprio la Nato potrebbe incrementare le tensioni tra Mosca e Washington sul dossier georgiano. Non dimentichiamo che da anni l’Alleanza Atlantica di fatto stia corteggiando la Georgia: un fattore che ha fortemente irritato la Russia, che teme di ritrovarsi la Nato alle porte di casa. Non si può in tal senso escludere che uno degli obiettivi dell’intervento russo in Ossezia nel 2008 sia stato proprio quello di complicare un eventuale ingresso georgiano nella Nato (una motivazione, questa, adombrata nel 2011 dall’allora presidente russo, Dmitry Medvedev). La questione è del resto ben lungi dall’essere risolta. Nel 2017 il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha rilanciato l’ingresso della Georgia, mentre nel 2019 Lavrov – pur escludendo una guerra – ha dichiarato che l’eventuale entrata di Tbilisi nell’Alleanza peggiorerebbe i rapporti tra Mosca e la Nato. È altamente probabile che, nella sua linea fortemente antirussa, Biden cercherà di accelerare i tempi di un coinvolgimento di Tbilisi nell’Alleanza. Un coinvolgimento che incrinerà ancor di più i rapporti tra la Casa Bianca e il Cremlino.
