La narrazione della leadership istituzionale di Giorgia Meloni, messa in campo dal giorno dopo l’arrivo a Palazzo Chigi, si è alimentata anche e soprattutto di un album sempre più vasto di foto – opportunity, immagini che la ritraggono in pose confidenziali con alcuni dei leader europei e mondiali e che sono portatrici di un meta messaggio politico.
Non ultima in questa strategia arriva la foto postata oggi per lanciare l’articolo sul tema complesso della gestione dei flussi migratori e vergato a doppia firma con il premier britannico Rishi Sunak.
Ancora una volta, come già era successo in precedenza proprio con il primo ministro del Regno Unito, o con altri leader tra cui il presidente statunitense Joe Biden, con la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente ucraino Zelensky e, non ultimo, anche con Emanuel Macron, con il quale inizialmente c’era stata qualche incomprensione nei rapporti tra Italia e Francia, lo scatto che la ritrae ci racconta al tempo stesso almeno tre dimensione della leadership interazionale di Meloni. Innanzi tutto, quello della familiarità. Giorgia Meloni scegliendo delle pose che rompono volutamente con l’etichetta del cerimoniale, che frantumano la prossemica istituzionale, trasferisce al pubblico la sua capacità di dialogare alla pari con ogni altro leader mondiale. La seconda dimensione, non meno importante e connessa alla prima della familiarità, è quella della legittimazione. La riduzione delle distanze è possibile sempre che l’altro ce lo permetta e quando ciò avviene significa che il nostro interlocutore ci sta riconoscendo come un valido e qualificato partner.
Infine, familiarità e legittimazione schiudono inevitabilmente alla terza dimensione, forse quella più importante per qualsiasi leader che vuole contare in uno scacchiere sovranazionale, che è quella della competenza.
Nella foto con Sunak, ma anche in altre passate postate sui social dallo staff di Meloni, c’è plasticamente questa qualità, almeno percettivamente è quello che passa. Una competenza rispetto alla gestione delle relazioni internazionali, frutto anche della conoscenza delle lingue straniere vantata dal premier, e nella soluzione condivisa di vicende complesse, dalla crisi dell’Ucraina a quella dei flussi migratori.
