La saga di Elon Musk ha un nuovo, cruciale capitolo. Il tycoon di Space X e Tesla, quasi proprietario di Twitter, si riposiziona: dall’appoggio ai democratici a quello dei repubblicani, con dichiarazioni shock su temi sensibili come armi, lavoro, denatalità e aborto. Una mossa molto interessata per l’uomo da 235 miliardi di dollari.
Preparatevi, perché Elon Musk forse sta per gettare la maschera. Negli Stati Uniti quasi due elettori su tre ne sono certi: Elon scenderà in politica. E sono convinti che l’uomo più ricco del mondo stia progettando per sé un lancio infinitamente più spettacolare di quelli fin qui realizzati con i missili della sua SpaceX, la società texana con cui vuole surclassare la Nasa, o con gli ultimi modelli di Tesla, le auto elettriche che nel 2021 hanno raggiunto il record di un milione di vendite e una quota del 20 per cento del mercato globale.
Tutto è cominciato in gennaio, quando Musk ha attaccato Joe Biden. Il presidente democratico aveva chiamato alla Casa Bianca gli amministratori di General Motors e Ford, e si era congratulato con loro perché «stanno costruendo più veicoli elettrici in patria che mai». L’esclusione della Tesla dall’invito nella Sala ovale, in effetti sorprendente, ha indotto Musk a una reazione brutale: «Biden è un noioso burattino» ha dichiarato «e tratta gli americani da idioti».
Fino a quel momento, forse anche per banali motivi commerciali, in politica l’imprenditore aveva sempre preferito indossare un’aria ecumenica. Infatti, ogni volta che era stato sollecitato a dichiarare la sua fede, Musk si era collocato con estrema prudenza «a metà strada tra i democratici e i repubblicani». Negli ultimi vent’anni anche i contributi elettorali delle sue imprese si sono divisi equanimemente tra i due schieramenti. Sarà stato Biden o qualcos’altro, sta di fatto che da fine marzo, e cioè nello stesso momento in cui ha deciso di destinare 44 miliardi di dollari alla clamorosa conquista di Twitter – non per nulla il più «politico» tra i social network esistenti – Musk ha abbandonato ogni neutralità e ha iniziato a usare come una mitragliatrice il suo profilo Twitter.
Ai suoi 100 milioni di follower (ma il numero è in continua crescita), prima ha regalato un disegnino di sorridente critica nei confronti dello spostamento a sinistra del Partito democratico. Poi la critica si è fatta sempre meno ilare, e Musk è passato- da sparare a raffica contro l’abbraccio dei democratici alle ideologie estremiste, all’antirazzismo del movimento «Black lives matter» dalla dilagante teoria gender fino alla deriva ipercensoria della «cancel culture», che in America fa disastri. Quindi Elon ha scritto che i democratici e l’amministrazione Biden sono «controllati dai sindacati» e ha specificato che «in generale, se in un Paese c’è qualcosa che non va, è proprio grazie ai sindacati». In questa presa di posizione giocano di certo le difficoltà di Tesla, che in Europa non riesce ad assumere addetti per colpa dei salari offerti, più bassi rispetto alle aziende concorrenti, e in America è stata trascinata in tribunale dal sindacato di categoria con l’accusa di avere effettuato «licenziamenti di massa» (500 operai) violando una serie di leggi federali.
Comunque sia, a metà maggio Musk ha dichiarato esplicitamente il suo cambio di schieramento: «In passato ho quasi sempre votato per i democratici, perché erano il partito della gentilezza» ha scritto ancora una volta sul suo profilo Twitter «ma oggi sono diventati il partito della divisione e dell’odio. Quindi io non posso più sostenerli e voterò repubblicano». Detto, fatto: il 15 giugno, alle elezioni di mid-term, ha annunciato di aver contribuito con il suo voto alla clamorosa elezione di Mayra Flores, candidata trumpiana in Texas. Considerata vicina a «The Donald», nonostante le origini messicane la Flores è da tempo in prima fila contro l’immigrazione clandestina. Nel Grand Old Party non soltanto incarna le posizioni più radicali sul «no» all’aborto e sul «sì» alla libera vendita di armi, ma strizza addirittura l’occhio alla parte più estremista della base elettorale pubblicando sui social media messaggi a sostegno della teoria cospirativa QAnon, la corrente di destra estrema convinta che Trump sia stato spodestato dai poteri occulti di un misterioso «Deep State» che punta al dominio del mondo.
Nel frattempo, anche la partita finanziaria per l’acquisizione di Twitter ha assunto coloriture politiche. Musk ha detto di voler trasformare profondamente il social network, restituendo ai suoi 330 milioni di utenti quella piena libertà di parola che negli ultimi anni è stata «fin troppo compressa» dalle faticose regole del politically correct. Quindi ha annunciato che, quando diverrà il proprietario del social network, revocherà il divieto imposto a Trump dopo l’assalto dei suoi sostenitori a Capitol Hill nel gennaio 2020, e gli permetterà di tornare a scrivere.
Infine, il tycoon ha ingaggiato con il consiglio d’amministrazione di Twitter un braccio di ferro sui falsi profili, che a suo dire «fin qui sono stati troppo tollerati». E anche questa è una questione rilevante, dal punto di vista politico. In America, infatti, la destra accusa Twitter di manipolare l’opinione pubblica attraverso un numero imprecisato di profili «fake» gestiti da sistemi informatici teleguidati dal Partito democratico, e in molti casi perfino dalla propaganda cinese. Il governo di Pechino, in effetti, dal 2009 ha bandito Twitter, ma sulla piattaforma dispone di molti falsi profili, che usa come strumento di condizionamento internazionale. È stato così, per esempio, quando nel 2019 il regime ha condotto una martellante campagna di disinformazione contro le proteste studentesche che a Hong Kong cercavano d’impedire la soppressione delle libertà civili.
A completare il nuovo armamentario ideologico di Musk sono infine altre prese di posizione, ben lontane dalle tradizioni della sinistra. L’imprenditore continua a criticare il calo della natalità. Sostiene che l’Occidente stia perdendo colpi anche per «il disastro demografico» che l’affligge e parla esplicitamente di «civilizzazione sterilizzata». Questo negli Stati Uniti, dove «il tasso di natalità è al di sotto dei livelli minimi sostenibili da 50 anni», ma anche in Italia, che definisce «un Paese che rischia di non avere più abitanti».
Tanto attivismo ha convinto la maggioranza degli americani che si stia preparando qualcosa d’importante, e che questo qualcosa avverrà prima delle elezioni americane di mid-term, in novembre. Di certo c’è che Musk, almeno in base alle leggi attuali, non potrà candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti, in quanto nato in Sudafrica da madre canadese ed è soltanto cittadino naturalizzato americano. Resta il fatto che l’imprenditore ha un potere smisurato. Non solo per il patrimonio personale, che Forbes è arrivato a stimare intorno ai 235 miliardi di dollari, più o meno il Prodotto interno lordo del Portogallo. Elon, ormai, è ben più potente di tanti Stati.
Mette in orbita più missili della Nasa, per esempio. E con i suoi 2 mila satelliti (ma presto saranno 13 mila), fornisce all’esercito dell’Ucraina le coordinate per colpire l’invasore russo con precisione, garantendo inoltre comunicazioni criptate, impenetrabili ai servizi segreti di Mosca. Sarà per tutta questa influenza se, dopo aver rivelato le sue ambizioni politiche, Musk ha subito annunciato di temere di essere controllato dalla Cia. Se alla fine deciderà per una vera discesa in campo, è certo che si creerà nemici e probabilmente subirà contraccolpi negativi. Il primo, a dire il vero, è già emerso in famiglia: uno dei sette figli di Musk, il diciottenne Xavier, ha appena annunciato di voler cambiare genere per diventare donna con il nome di Vivian Jenna Wilson. La motivazione? L’odio per il padre. Un bel contrappasso, per Elon, che critica gli eccessi della teoria gender.
