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Sinistri presagi

Sinistri presagi

La meteora del pd Elly Schlein appare sempre meno luminosa, ma è in buona compagnia: in mezza Europa, le forze Progressiste collezionano sonore sconfitte, superate dal centrodestra. E anche al vertice dell’unione il vento sta per girare.


Come lei, nessuno mai. Dopo tre mesi di tormenti e inciampi, Elly Schlein sembra già trapassato. Anche i suoi molti predecessori sono arrivati lestamente al capolinea, certo. La durata media dei segretari del Pd, nell’ultima decade, è illuminante: un anno e nove mesi. La Parolaia arcobaleno è però destinata a frantumare ogni primato. L’agonia continuerà fino alle prossime elezioni europee, previste tra poco meno di un anno. Elly pensa di rifarsi, puntando su divisive suffragette. Tutte le capolista saranno donne: Laura Boldrini, l’ex presidente della Camera, non esattamente un’acchiappavoti, sembra la designata vessillifera. Insomma, Elly non pare destinata a mangiare l’anguria la prossima estate. E se anche dovesse riuscirci, a settembre 2024 scatterà la più sanguinosa rappresaglia nella storia dei Dem: la detestatissima, una volta per sempre, sarà costretta a lasciare la guida del Nazareno.

All’inizio i più benevolenti assicuravano: «Si farà». Adesso persino gli adoranti media progressisti, dopo averla vezzeggiata come la Ocasio-Cortez tricolore, sono estenuati dall’inesauribile profluvio di supercazzole. Le priorità schleneiane rimangono lunari: diritti Lgbtqia+, espropri ai privati, sbarchi liberi, eutanasia. Ma tutto il resto, quello che potrebbe importare agli elettori di sinistra? Il lavoro e l’economia? Boh. Per non parlare del ma-anchismo sulla guerra in Ucraina: Elly si professa pacifista, ma alla bisogna non disdegna le armi. Una vaghezza che rende il Pd sempre meno affidabile in Europa.

Con tutta la benevolenza concessa ai neofiti: Elly non ne imbrocca una. Peggio: in soli tre mesi è riuscita a collezionare memorabili abbagli. La prima vera intervista l’ha rilasciata a Vogue, rivelando d’essersi rivolta a un’esosa armocromista. E dopo l’ultima disfatta alle amministrative, sconfessando il patinatissimo esordio, ha promesso: «Il cambiamento non è un pranzo di gala, è scomodo. Abbiamo un lavoro lungo davanti. Mettetevi comodi, siamo qui per restare». Sotteso: noi del «tortello magico». Quelli che hanno sempre avversato il Pd, a partire da lei stessa. Indomiti mai iscritti al partito, come il vice capogruppo alla Camera del Pd, Paolo Ciani, che ha sostituito Piero De Luca, figliolo di Don Vincenzo, il «cacicco» per antonomasia.

La parabola di Elly è la più repentina di sempre. Ma ovunque in Europa la sinistra è in crisi nerissima. Le scoppole si susseguono. Destra e conservatori hanno trovato una chiara identità: a cominciare dalle efferate critiche alla forzosa ecopatrimoniale voluta da Bruxelles, dalle case green alle auto elettriche. Mentre i campioni continentali del progressismo vagano alla ricerca di un centro di gravità permanente. Non si punta più a vincere, ma a non sparire.

Dopo l’ultima sconfitta alle amministrative, il premier spagnolo, Pedro Sánchez, ha deciso di anticipare le elezioni al 23 luglio prossimo. Non per trionfare, ma per evitare l’annichilimento. Quello che, se rimanesse alla Moncloa, considera certo. I popolari, secondo gli ultimi sondaggi, sono destinati a sconfiggere i socialisti e formare un nuovo governo con Vox di Santiago Abascal, storico alleato di Giorgia Meloni.

Lo sbaraglio dell’adorato Pedro sarebbe un ragguardevole scorno per Elly. È il governo a cui la segretaria Dem spudoratamente s’ispira: diritti civili, femminismo, anticapitalismo. Dopo la legge sull’aborto, che permette anche alle sedicenni di interrompere la gravidanza senza l’assenso dei genitori, il governo di Madrid ha approvato la «ley trans», che concede ai minorenni di cambiare genere sessuale a dispetto di un’autorizzazione medica. Non a caso la vice premier spagnola, Yolanda Díaz, è stata l’ospite d’onore nell’ultimo congresso della Cgil. E in prima fila, a spellarsi le mani, c’era Elly.

Anche in Grecia si voterà il prossimo luglio. Il primo ministro uscente, Kyriakos Mitsotakis, ha già vinto. Ma vuole stravincere, con la maggioranza assoluta dei seggi nel parlamento, per governare da solo. Il suo partito ha già doppiato la sinistra radicale dell’ex premier, Alexis Tsipras, un altro che ovviamente gode dell’infinita stima della nostra Parolaia arcobaleno. A seguire, in autunno, ci saranno le elezioni in Polonia. Piattaforma civica, partito dell’ex presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, rivaleggia contro il Pis, strettissimo alleato di Fratelli d’Italia, guidato dal premier Mateusz Morawiecki.

Insomma: nei prossimi mesi si voterà in Spagna, Grecia e Polonia. E il centrodestra sembra destinato a trionfare ovunque. Vittorie che si aggiungerebbero a quelle già incassate nei Paesi nordici. Dopo Magdalena Andersson in Svezia, è stata sconfitta in patria persino un’altra celebrata icona schleineiana: l’ex premier finlandese, Sanna Marin. E pure il governo socialista di Olaf Scholz in Germania, minato da perdurante crisi economica, non avrebbe più la maggioranza se si votasse oggi. Spd continua a subire la rimonta della destra di Alternative für Deutschland, visti i troppi ingressi di clandestini nei Land. Pure a Bruxelles la storica alleanza tra socialdemocratici e popolari sembra destinata a essere soppiantata da un patto con i conservatori dell’Ecr, presieduti da Meloni. Il voto europeo sancirebbe la fine della turboambientalista e arciprogressista «maggioranza Ursula», dal nome della presidente della Commissione, la baronessa Von der Leyen. Così come quella del suo alfiere al Clima. Un altro nume venerato da Elly: Frans Timmermans, detestato padre delle case green e della dittatura delle auto elettriche. Ossia, le ecopatrimoniali destinate a falcidiare i già esangui conti degli italiani.

Intanto, nella capitale dell’Unione si testa la nuova intesa sul Green deal: in Parlamento gran parte dei popolari continua a votare contro le ecofollie della sinistra. Dalla «maggioranza Ursula» alla «maggioranza Roberta». Sul nome dell’eventuale nuovo presidente della Commissione, c’è sintonia. Sarebbe Metsola, eletta presidente del Parlamento europeo a gennaio 2022: grazie all’accordo tra popolari e conservatori. E i conservatori riusciranno a invertire la deriva centralista dell’Ue? Intanto, promettono di sfruttare le finestre temporali già fissate. Nel 2026, per esempio, scatterà la clausola di revisione sulle elettriche. Si potrebbero cambiare soglie, scadenze e paradigmi. Sulla casa green verrebbe dato più potere ai singoli stati. E comunque servirà un mastodontico piano di aiuti, già promesso da Metsola.

Sarebbe la fine dei socialdemocratici al potere. Quell’epocale momento sembra arrivato: sondaggi alla mano, la storica alleanza con i popolari pare destinata a venire soppiantata da un patto con i conservatori e la destra di Identità e democrazia, a cui aderisce la Lega. Manfred Weber, presidente e capogruppo del Ppe, da mesi si batte per sostenere il governo Meloni, a partire dall’immigrazione. Continua a costruire la nuova eurocoalizione. Un’attivismo che celerebbe pure le mire per sostituire Ursula, qualora non andasse in porto l’«operazione Roberta». I socialdemocratici, nella prossima tornata continentale, sembrano comunque destinati a far da spettatori. La traballante Elly sarà allora costretta a lasciare tra il giubilo di riformisti, cattolici e moderati. Estromessi ed umiliati prevedono l’implosione dopo l’estate. A conferma della maledizione del Nazareno: otto segretari in 14 anni.

Elly assomiglia già al Kunt di Ennio Flaiano, che atterra con la sua astronave a Villa Borghese, tra incontenibili entusiasmi. Ma poi diventa uno qualunque. I fotografi, che prima si accalcavano per immortalarlo, passano dall’adorazione al dileggio. Iniziano a sbeffeggiarlo: «A marzia’, te scansi?». Mentre lui, senza capire bene, continua ad agitare la testa e salutare.

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