Estromessi dalla rampante neosegretaria, i «vecchi» moderati del Pd sperano in una sua disfatta alle future tornate elettorali per Comuni e Regioni, dal prossimo maggio fino a giugno 2024. Intanto, tramano alleanze e riposizionamenti. In caso di delusioni dalle urne, Schlein punterebbe all’Europa. Ma anche qui il vento sta per cambiare.
Lei li chiama «cacicchi e capibastone». Loro già pregustano la sua disfatta. Non è tempo di guerriglia, però. Meglio seguire il proverbio di Confucio, che suggeriva la più sottile delle vendette. Meglio sedersi lungo il fiume e aspettare che passi il cadavere politico della spietata Elly Schlein. Ne hanno viste tante, i deposti potentoni del Nazareno. Sono gli estromessi. Cattolici, moderati e riformisti. Sostituiti da sconosciuti, riciclati e improbabili. Poco male. Sperano che i lusinghieri sondaggi sul nuovo Pd, estremista e anticlericale, siano l’entusiasmo del momento. E immaginano che il soufflé libertario di Elly si sgonfierà alle prossime tornate. Da oggi a giugno del 2024 voteranno oltre la metà dei Comuni e un terzo delle Regioni. Bisogna stringere alleanze, scegliere i candidati, essere pragmatici. Non sarà più tempo di piantare bandierine. Ma perfino le prossime europee, dove la Parolaia arcobaleno pensa di far sfracelli, potrebbero diventare l’amara e definitiva delusione.
I silenti cacicchi pronosticano una sequela di sonore batoste. Le prime arriveranno tra un mesetto. Le altre tra la primavera e l’estate 2024. «Da qui a un anno o favoriamo un accordo del centrosinistra sul territorio o si perde già adesso a tavolino» ammette platealmente lo sconfitto Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna. «Presto ci saranno momenti di effervescenza» anticipa sornione il collega Vincenzo De Luca, il capobastone più feroce e dunque detestato. I dem convertiti al Confucianesimo prevedono l’implosione nell’autunno 2024, dopo le scoppole elettorali. Seguirà qualche mese di aperte ostilità. Per arrivare alla fine dell’anno prossimo. Termine corsa. Avanti un altro. Anzi un’altra, per carità: in ossequio alla lotta contro l’inumano patriarcato tricolore, una delle epocali battaglie schleineiane. Così, anche la turbo segretaria confermerebbe la maledizione del Nazareno, dove si sono susseguiti otto leader in 14 anni.
Anche Elly sarebbe perfettamente in media: un anno e nove mesi. Prima però, profetizzano i ras, le cose devono andare a catafascio. A partire dalle prossime amministrative. Il primo turno sarà a metà maggio 2023. Quasi 600 Comuni andranno al voto, tra cui 13 capoluoghi di provincia: da Ragusa a Sondrio. Problemino: con chi allearsi? Schlein palpita per gli oltranzisti: Verdi, Sinistra italiana, +Europa. Rispettivamente: Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni e Riccardo Magi. Messi insieme, valgono intorno al 5 per cento. Da sommare al 20 del Pd.
Un fiasco leggendario. Unica e residuale speranza: l’apparentamento con i Cinque stelle di Giuseppe Conte. Sulla carta, niente di più facile. La Ocasio-Cortez del Ticino e il Masaniello di Volturara Appula sembravano destinati a far faville. La rinascita dell’alleanza giallorossa sembrava imminente. Invece si ritrovano costretti ai distinguo, in lotta per l’ultimo decimale. L’alleanza è stata siglata in pochissime città. E solo per accontentare gli smarriti dirigenti locali. Del resto, il nuovo Pd ha soffiato al Movimento parte dei consensi faticosamente raggranellati negli ultimi mesi: sindacati, piazze, terzo settore, giovani, ambientalisti.
Agli ex grillini non rimane adesso che spostarsi al centro: a maggior ragione dopo la prevedibile implosione del Terzo polo, detronizzato dall’egolatria dei due leader, Carlo Calenda e Matteo Renzi. Il Fregoli della politica italiana rindossa così i panni di Giuseppi, l’ex premier. Cerca di parlare al ceto medio. Guarda a piccole imprese, partite Iva, scontenti. Aggiorna il suo repertorio: Pnrr, economia, esteri. Voleva fare il capo dell’opposizione. I sondaggi confortavano. Poi è arrivata la ben più ribalda Elly, venerata dai media progressisti. E ora a Conte, come ai cacicchi democratici, non resta che sperare nel tracollo degli aspiranti sindaci del Pd.
Le premesse sono ottime. Travolta dalle regionali in Friuli-Venezia Giulia, la segretaria dem s’è subito smarcata: implicita colpa del suo predecessore, Enrico Letta. Ma non potrà più fischiettare, mani in tasca. E i prescelti per il prossimo giro non sembrano irresistibili. A Catania il candidato è Maurizio Caserta, docente universitario di Economia: già aspirante primo cittadino dieci anni fa, s’era fermato a un modesto 7,33 per cento. Il capoluogo siciliano, tra l’altro, è uno dei pochi in cui è stato siglato l’accordo con i Cinque stelle.
Eppure, tra i rivali ci potrebbe essere addirittura Giancarlo Cancellieri, ex viceré grillino nell’isola. Capito l’ambientino? E a Imperia chi sfiderà l’inaffossabile pluriministro forzista, Claudio Scajola? Impresa improba. Ideona: schierare il rivale più manettaro e romanzesco di tutto il Ponente ligure. Ovvero, Ivan Bracco: il temerario poliziotto della Postale che per anni ha macinato maldestre inchieste sul sindaco. Altro candidato notevole a Treviso. Pure qui, sfilare la riconferma al popolarissimo leghista Mario Conte non sarà facile. Ci proverà l’agguerrito imprenditore Giorgio De Nardi. Indomito innovatore: propone, per esempio, l’assessorato con delega alla felicità. A Vicenza si spera invece in Giacomo Possamai, capogruppo del Pd in regione, che già perse alle primarie del 2018.
All’arrembante Nord-est, del resto, le priorità di Elly sembrano lunari: diritti Lgbtq+, espropri ai privati, sbarchi liberi, eutanasia. E le imprese? Boh. Il presidente di Confindustria Veneto, Enrico Carraro, ammette laconico: «La sua politica economica ancora non l’abbiamo capita. Prima o poi dovrà comprendere che le nostre esigenze sono quelle del Paese». Inguaribile ottimista. Poco rosee pure le prospettive in Molise. Non c’è ancora il candidato. Scenario fosco pure per le successive Regionali dei primi mesi del 2024 in Abruzzo, Sardegna, Basilicata e Piemonte. Tutte amministrate dal centrodestra, con governatori al primo mandato e la ricandidatura in tasca. Altre inevitabili scoppole, profetizzano i cacicchi nazareni.
Si sa, però. La vera forza del Pd sono i sindaci, specie nelle grandi città. A maggio 2024 si voterà anche per migliaia di Comuni e 28 capoluoghi. Peccato che tanti, dopo dieci anni, siano al capolinea. La legge esclude il terzo mandato. Così Antonio Decaro non potrà ripresentarsi a Bari, Dario Nardella a Firenze, Giorgio Gori a Bergamo, Matteo Ricci a Pesaro, Luca Vecchi a Reggio Emilia, Gian Carlo Muzzarelli a Modena. Tra di loro, l’unico che ha già annunciato di non essere interessato è Gori. Gli altri, invece, sperano di potersi asserragliare negli ultimi fortini democratici. L’alfiere dell’interessata mozione è proprio Decaro, presidente dell’Anci, l’associazione dei comuni: «Limitare a due mandati l’impegno di un sindaco significa limitare la possibilità di programmare: prima di mettere in cantiere e realizzare interventi ci vogliono sette anni». Dunque, urge innalzare la durata ad almeno tre lustri. Vista pure l’epocale abbuffata del Pnrr.
Il gattopardesco argomentare non collima con le intenzioni della freschissima Elly, che vuole annientare i maleodoranti potentati. Cinta di fedelissimi, annuncia che la sua segreteria sarà un «problema» per il governo Meloni. Al momento, però, le rogne sono interne. Meglio concedere il tris o perdere gli ultimi avamposti? Dilemma acuito dalle identiche brame dei rari governatori piddini. Come Michele Emiliano, che vorrebbe correre per la terza volta in Puglia nel 2025. O l’avversatissimo De Luca in Campania, dove la leader ha perfino commissariato il partito. Insomma, dilemma amletico: innovare o perire?
Schlein spera almeno di rifarsi alle elezioni europee, previste tra un anno. Lo sfacelo sui territori sarà compensato dal trionfo continentale? Già europarlamentare, Elly è pronta a rinverdire l’abusato repertorio: sovranisti liberticidi, transizione ecologica, eurofuffa progressista. Peccato che l’Europa si prepari al ribaltone di centro destra. I segnali sono inequivocabili. Dopo Magdalena Andersson in Svezia, è stata sconfitta in Finlandia persino la mitologica Sanna Marin. E la stessa fine, tra novembre e dicembre 2023, potrebbe capitare a Pedro Sánchez in Spagna, a capo del governo a cui il nuovo Pd spudoratamente s’ispira: diritti civili, femminismo, anticapitalismo.
Anche a Bruxelles, sondaggi alla mano, la storica alleanza tra socialdemocratici e popolari sembra destinata a essere soppiantata da un patto con i conservatori dell’Ecr, guidati da Meloni. Il voto europeo sancirebbe la fine della «maggioranza Ursula», dal nome della presidente della Commissione, la baronessa Von der Leyen. Tra le vittime illustri ci sarebbe il suo alfiere al Clima, Frans Timmermans: detestato padre delle case green e delle auto elettriche: le ecopatrimoniali destinate a falcidiare le finanze degli italiani. Ma per Elly il politico olandese con la barba da sciamano è un profeta. Nella prima visita a Bruxelles al vertice dei socialisti, è corsa a baciare la sua pantofola biodegradabile. Lui ha ricambiato: «Ci conosciamo da tanto tempo. Ha parlato benissimo, come sempre». Praticamente, il bacio della morte. Ai cacicchi, diventati pazienti monaci tibetani, non resta che attendere sulle sponde del Tevere.
