La nuova segretaria del Partito democratico è dipinta come spavalda e risoluta, ma negli anni si è dimostrata furbescamente prudente e brillantemente incostante. Entrando e uscendo dal Pd, cambiando padrini e partiti. Ritratto di una riformista trasformista.
«L’altro giorno è uscito il nuovo album dei Mumford & Sons. E in molti, me compresa, sono rimasti un po’ delusi, perché è senz’altro un buon disco, ma non è il loro sound. Non si riconoscono quasi». Nemmeno la giovane Elly, in quel mesto 8 maggio del 2015, si riconosceva più nel Pd. Tanto da arrivare «a una scelta soffertissima»: lasciare il partito. Ma certi amori, cantava quel boomer di Venditti, «fanno dei giri immensi e poi ritornano».
La futura segretaria dem, all’epoca, trasmigra verso Possibile di Pippo Civati. Poi Schlein fonda Emilia-Romagna Coraggiosa. Entra in parlamento, lo scorso ottobre, come indipendente. Prende l’esecrata tessera piddina. Vince la primarie. La prima dichiarazione, a dispetto dei sofisticati gusti folk-rock, sembra mutuata da Mille, hit nazional-popolare di Fedez e Orietta Berti: «Saremo un bel problema per il governo Meloni».
Giuseppe Conte si prepari. La trentasettenne Elly Schlein è più camaleontica del maturo leader pentastellato. In quella lettera d’addio al Pd, denunciava «trasformismi di ogni tipo». Tipo il suo: uscita dalla finestra e rientrata dal portone, una giravolta dopo l’altra. L’enfant prodige della gauche caviar ha sfoggiato negli anni più partiti che improbabili giacche colorate. Nonostante il professato nuovismo, ha ottenuto lo sperticato appoggio dei volponi: come l’imperituro capocorrente Dario Franceschini e l’eterno riallineato Francesco Boccia. Due potentoni dem che, presa dalle fregole antagoniste, non mancava di insolentire con sgrammaticati tweet. Franceschini era accomunato ai compagni più deleteri e giurassici, della «vecchia dirigenza». Adesso è il riverito padrino. Boccia faceva parte della «gentaglia». Potrebbe diventare il fido capogruppo al Senato.
Spavalda, incendiaria, risoluta. E insieme incoerente, tartufesca, voltafrittate. La leader piddina è una Fregoli in gonnella, anzi in panta largo. Come Fatima Miris, la più grande trasformista di sempre: anch’essa emiliana d’adozione, benestante e versatile. Per anni, mentre siede all’europarlamento da ex piddina rivoltosa, Schlein denuncia il supposto assenteismo e menefreghismo della Lega. In particolare, quello del segretario: Matteo Salvini. Eppure Schlein non brilla certo per senso del dovere, quello che avrebbero dovuto inculcarle nelle scuole svizzere frequentate in gioventù. È entrata sei mesi fa a Montecitorio, sempre coltivando il dubbio per la preposta autorità democratica, come solo i grandi pensatori possono. Ma sugli scranni, presa dall’epica battaglia per le primarie, la segretaria s’è vista pochino. Gli ultimi dati pubblicati dal Parlamento ne accertano l’idiosincrasia: Elly ha saltato 268 votazioni su 818, il 33 per cento del totale. Pregevole percentuale che la piazza a un soffio dal podio degli assenteisti nel suo gruppo: quarta su 69 per assenze.
Nemmeno la sparuta attività parlamentare rende giustizia alle sue velleità riformatrici. Un discorsetto sul femminicidio, esteso al mondo transgender: «La violenza patriarcale non colpisce solo le donne, ma pure le persone Lgbtqi+». L’introduzione di un’equa remunerazione dell’intera filiera nel riordino ministeriale, qualunque cosa voglia dire. Poi, soliti riferimenti alle solite ossessioni: ong, razzismo, antifascismo. Per il resto, Schlein s’è limitata ad aggiungere la sua pregevole firma in calce ad altrui proposte di legge. Come quelle presentate da Michela Di Biase, moglie di Franceschini e sua sfegatata estimatrice.
I puristi dem eccepiranno. Il lavoro sporco si fa in commissione. La ribalda Elly, che è componente di quella dedita agli Affari istituzionali, lo sa bene: «In queste occasioni si capisce il tempo che si dedica al lavoro per cui si è stati eletti» tuonava da eurodeputata contro Salvini. Eppure da novembre a gennaio, nei lavori della sua commissione, si è distinta per un solo intervento, definito tra l’altro «telegrafico». L’occasione sembrava imperdibile: l’audizione dell’ex ministro Roberto Calderoli, leghista ovviamente.
Elly è così. Sfida i ricconi a colpi di fendenti neomarxisti, omettendo di essere nelle grazie di George Soros, il multimiliardario che fece caracollare la lira con un leggendario attacco speculativo. Anche lei veniva annoverata tra gli amici della fondazione Open society, controllata dal magnate americano. E nella lista, intitolata «Alleati affidabili nel parlamento europeo», c’era pure Antonio Panzeri, protagonista assoluto del Qatargate, inchiesta della procura di Bruxelles su favori in cambio di mazzette. A onor del vero: Elly non trafigge solo gli avversari, ma anche i sodali. A Pippo Civati, il «Kennedy della Brianza», s’è già accennato. Mentre lei dice addio al Pd, lui è «l’amico e il maestro che ha avuto lo straordinario merito di riavvicinare alla politica tantissimi ragazzi come me». Qualche dissidio più tardi, Schlein ricambia partito. L’evoluzione si coglie già dal nome della formazione: da Possibile a Coraggiosa, con cui si candida per le regionali in Emilia-Romagna nel 2020. Una lista civica a sostegno di Stefano Bonaccini, che la sceglierà come vicepresidente, nonostante le magre percentuali raccolte. Capito? Bonaccini. Lo stesso contro cui si candiderà alle primarie. Il Bruce Willis di Campogalliano che, con ferocia, ha trasformato nel Mister Bean della Secchia. A dimostrazione della spietatezza della neo-segretaria, seppur mascherata da un perenne sorrisone a 32 denti.
Vicegovernatrice con delega alla transizione ecologica, dunque: da febbraio 2020 a ottobre 2022, quando è costretta alle dimissioni dopo l’elezione in parlamento. Anni e mesi in cui, oltre a preparare la prodigiosa scalata, dimostra la sua versatilità. Coraggiosa è una lista inzuppata dell’ambientalismo più ideologico. Durante la campagna elettorale, da Piacenza a Rimini, Elly fa risuonare inderogabili promesse: «Serve una nuova legge sul consumo di suolo zero. Bisogna dirottare gli investimenti della mobilità su treni e bus, non sulle autostrade. Se il green new deal non parte dall’Emilia-Romagna, da dove deve partire?». Beh, ovvio. Qualche mese fa l’Ispra, ente ministeriale di ricerca ambientale, certifica gli strepitosi progressi della giunta Bonaccini-Schlein. La regione è sul podio per incremento di suolo consumato tra il 2020 e 2021: 658 ettari. E nella classifica nazionale delle città più cementificate, c’è Ravenna al secondo posto.
A proposito di Ravenna: dopo aver esecrato tali scelleratezze, Elly svicola sul salvifico rigassificatore posizionato di fronte alla città, con la benedizione di Bonaccini: «Le considero soluzioni transitorie che riguardano la diversificazione dell’approvvigionamento attuale. Come Paese siamo già in ritardo nello stabilire delle strategie adeguate a emanciparci dalle fonti fossili, che per definizione finiscono». Favorevole o contraria, quindi? Boh. E per quanto può essere tollerata questa «fase transitiva»? Si vedrà. Per non parlare del demoniaco passante di Bologna. Nel 2017 Elly offre «pieno sostegno» ai comitati contrari all’opera: «Questo progetto desta moltissime preoccupazioni da tanti punti di vista e non risolverebbe nemmeno il tema della congestione del traffico in tangenziale». L’alternativa, informa l’allora europarlamentare con una fumisteria delle sue, c’è già. È «l’opzione zero». Traduzione per boomer: rimettere il progetto nei cassetto. Scusi Elly, che si fa dunque? «Le autorità raccolgano più compiutamente i dati sull’inquinamento». E poi? «Le alternative ci sono». Quali? «È la volontà politica di considerarle che manca. Credo sia tempo di fare scelte coraggiose verso un modello di mobilità sostenibile».
«A preside’ s’accorge che nun sta dicendo niente?» chiese una volta un cronista impertinente a uno dei padri della diccì, Arnaldo Forlani. Lui gli sorrise: «Ah, sapessi carissimo: potrei andare avanti così per ore». Elly non pratica l’autoironia, ma è la parolaia arcobaleno. Campionessa fluo nel triplo salto carpiato con doppio avvitamento. Sul passante bolognese, mentre lei è in giunta, il suo partito reclama «un’indagine epidemiologica sugli effetti dello smog». Il Comune sostiene che provoca il 40 per cento delle emissioni nell’area urbana? Fandonie. Servono nuovi studi, ricerche, comparazioni. Quelli che nell’estate 2021 chiede, con una risoluzione, il consigliere regionale leghista, Michele Facci. Coraggiosa, però, si astiene. E cosa fa, qualche mese dopo, la formazione schleineiana quando si vota l’approvazione al piano dei trasporti, tangenziale compresa? Continua ad astenersi. E la roboante Elly, sperticata fautrice dell’«opzione zero»? D’un tratto smarrisce la loquacità. Mentre Bonaccini rivendica, lei si eclissa. Coraggiosa, ma sempre fino a un certo punto.