A pochi giorni dalle elezioni suppletive per il collegio senatoriale di Monza (22 e 23 ottobre), la gara è più accesa che mai: a contendersi l’ex poltrona di Berlusconi, tra il «favorito» Adriano Galliani e il camaleontico Marco Cappato, spuntano anche aspiranti spericolati, come il super siciliano «Scateno» De Luca e il no-vax Daniele Giovanardi.
L’unica stramberia sembrano i venditori di caldarroste in via Italia. Fa ancora un caldo africano, ma a Monza c’è già profumo d’autunno. Non inganni però l’apparente normalità. Le suppletive brianzole sono più scoppiettanti di quelle castagne sulla brace. C’è in palio il seggio che fu di Silvio Berlusconi, con una batteria strepitosa di aspiranti senatori. In giro si vedono pochino. Un peccato. Anche i cronisti dei quotidiani locali, che fiutavano l’epocale evento, malcelano disillusione: «L’affluenza non supererà il 15 per cento…». A meno che gli entusiasti tifosi del Monza calcio non si scapicollino nelle urne per votare in massa l’amato presidente biancorosso, Adriano Galliani, schierato dal centrodestra nel ricordo dell’insostituibile Cavaliere.
Candidato a stravincere, dunque. Ma lo scontato pronostico non può offuscare l’audacia dei rivali, a perfetta esemplificazione della politica nazionale e i suoi derivati. Vedi massimalismo del Pd e camaleontismo dei Cinque stelle, che appoggiano Marco Cappato: tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, vessillifero dell’eutanasia, colui che accompagnò Dj Fabo a morire in Svizzera. A ravvivare l’ambiente è però sbarcato in Brianza il sicilianissimo Cateno De Luca, detto «Scateno». Nel 2009, per protesta, rimase in mutande nel parlamento siciliano. Fu l’inizio di una strabiliante carriera. Il suo pendolarismo è rovesciato come il nome del suo partito: Sud chiama Nord, che alle ultime politiche nazionali ha sfiorato l’1 per cento. Arriva nel weekend, per convincere i siciliani emigrati a votare per lui: «Andate e moltiplicatevi!». Il legame con il territorio, del resto, è datato: «Mio papà nel 1958 ha vissuto a Monza per due anni, con altri tre muratori, in una baracca di 20 metri quadri senza bagni». Chi meglio di lui, dunque? Scalda allora gli originari di Fiumedinisi, il paese che gli diede i natali, in un centro commerciale di Vimercate. Si fionda alla festa patronale di Agrate. S’imbuca a un gemellaggio istituzionale nella berlusconiana Arcore.
«Scateno» parte dall’inviolabile assioma: «La Brianza è una terra con tanti meridionali che hanno scelto di trasferirsi qui, lavorando instancabilmente per contribuire alla crescita di questa provincia e farla diventare una delle più operose d’Italia». De Luca scova sicilianuzzi di successo, per trasformarli in testimonial a favor di post. Quelli partiti con la valigia di cartone, ora rispettati membri della Brianza che produce. Il bar di Villasanta. Il panificio di Triuggio. Il barbiere di Monza. «Tu da dove vieni?». «Da quanti anni è che sei qua?». «Quanti dipendenti hai?». «Ma che meraviglia!». «Certo, che ne hai fatti di sacrifici, eh…». «Scateno», comunque, qualche ideuzza da spendere sul territorio ce l’ha. Ha presentato un decalogo. Punto primo: «Mai più Roma ladrona!». Ci vuole uno stato federale. Qualche mangiapolenta gli fa notare che lo slogan non è freschissimo? Lui esonda: «Io sono più leghista dei leghisti!». E provoca gli avversari, che purtroppo non raccolgono: «Galliani vuole continuare a fare il suo mestiere perché in parlamento si è annoiato. E Cappato un lavoro non ce l’ha». Per lui invece, già sindaco di Messina e onorevolino in Sicilia, quella da senatore sarebbe la terza cadrega.
Comunque, a disdoro dell’epocale e simbolica tornata post Silvio, a Monza non si trova un manifesto, un banchetto, un candidato, un simpatizzante. Solo davanti all’ingresso della stazione c’è un volantino stropicciato. È di Cappato. Campeggia uno slogan: «La Brianza che cambia l’Italia». Ovverosia: si vola altissimo. «Mi batto per la legalità su aborto e fecondazione assistita, autodeterminazione individuale, libertà nella vita sessuale». Insomma, mica penserete che un alfiere del progressismo perda tempo a discettare di sicurezza e metrotranvia? Eppure, Cappato sarebbe pure autoctono: cresciuto a Vedano sul Lambro e diplomato in un liceo di Monza. Con fiducia, leggiamo allora la versione più estesa del suo programma. Le priorità non cambiano. Punto primo: eutanasia legale.
Capirete adesso perché la segretaria del Pd, Elly Schlein, s’è lanciata nello sperticato appoggio al radicale. Viste le ridefinite urgenze dei dem, sembra più piddino lui di mezzo partito. Anche i Cinque stelle, che alle ultime politiche hanno preso in zona il 7 per cento, si sono dovuti accodare. Mentre, fin da subito, è stato entusiastico il sostegno di +Europa e l’alleanza Verdi-Sinistra. Insomma, Cappato è la perfetta scelta in tempi di antimelonismo imperante. Difatti è stato accolto dal Pd monzese come una sciagura: «I territori devono potere esprimere e scegliere i candidati, a maggior ragione nel caso di un collegio uninominale». E giù una valanga di firme: dal segretario provinciale, Pietro Virtuani, al sindaco di Monza, Paolo Pilotto.
C’è stato poco da obiettare, comunque. La Ocasio-Cortez del Ticino, come sempre, non ha sentito ragioni. A perfetta esemplificazione dell’ormai siderale distanza che la separa da cattolici e riformisti piddini. Il pennellone radicale! In Brianza! Dove le campane rintoccano all’alba, i bambini fanno la cresima, le sciure si sfidano nelle raccolte fondi, le chiese sono più affollate dei palazzetti. Comunque sia: del Pd non s’è ancora visto nessuno. E Cappato, quando ha scorto i supposti sostenitori a braccetto con i manifesti avversari, non c’ha visto più: «Eccoli lì: il presidente del Monza calcio e candidato alle suppletive di ottobre, Adriano Galliani, e il sindaco di Monza, Paolo Pilotto, che insieme distribuiscono astucci a scuola».
Già, eccolo lì: l’erede designato del Cavaliere. Non s’è candidato. È sceso in campo. Berlusconiano in purezza. Su indicazione dell’amico Silvio, ha portato la squadra dalla C alla A in quattro anni. Adesso tornerà a Palazzo Madama per conto della real casa di Arcore. «Come Garibaldi, se me lo chiede la famiglia, obbedisco». A potenziali elettori e sicuri tifosi assicura: «Non avrei mai accettato di correre in nessun altro collegio: sono nato a Monza e cresciuto in Brianza, conosco questo territorio e credo di rappresentarne i valori». A partire da quelli culinari: «I miei piatti preferiti sono la casoeula e la torta paesana». C’è di più: «Uno dei titoli onorifici di cui mi vanto è far parte dell’ordine della luganega», ovvero la salsiccia adorata dai brianzoli. «Non è il sovrano ordine di Malta, però…».
Però, rimanendo nel campo dell’autodeterminazione, Democrazia sovrana e popolare di Marco Rizzo, ex leader rifondarolo, candida Daniele Giovanardi. «Ministro…» lo riconoscono per strada. Lui, bonario, chiarisce: «Fratello gemello». Carlo, l’omozigote più celebre, è stato parlamentare Udc e ministro berlusconiano. Ma anche Daniele ha goduto di una certa notorietà: primario in pensione, è stato sospeso dall’ordine dei medici per essersi rifiutato di vaccinarsi contro il Covid. Dunque, la conseguente candidatura a Monza: «Racconteremo un’altra verità su pandemia, guerra e riscaldamento globale». Carlo è afflitto: «È come se in una famiglia cattolica, all’improvviso, uno fosse diventato musulmano». Dallo scudo crociato alla falce e martello. Che poi, in occasione della pirotecnica tornata monzese, il Pci è rinato davvero. Candida il compagno Mimmo Di Modugno. Dovrà vedersela con un altro sovranista: l’avvocato Lillo Massimiliano Musso, segretario nazionale di Forza del popolo. Come «Scateno», pure lui è siciliano: di Ravanusa, profondo Agrigentino. A ennesima riprova dell’irrefrenabile fascino che la Brianza sa esercitare sugli isolani.
A Monza è pomeriggio inoltrato. L’odore di caldarroste si fa intenso. Le campane riprendono a suonare. Qualche turista inquadra con il cellulare il Duomo monzese, miniatura di quello milanese. Come queste suppletive, riproduzione delle beghe romane. Apprendiamo allora che «Scateno» è ancora in Sicilia. Galliani, forse, al Monzello, il centro sportivo intitolato a Luigi Berlusconi, il padre di Silvio. E Cappato? A Cesano Maderno, paesone dei dintorni. C’è un incontro con gli elettori. Ci fiondiamo, fiduciosi. Seduti attorno ai tavolini di un bar, lo ascoltano in 22: compresi staff e consiglieri comunali civici.
«Perché mi sono candidato?» si domanda il radicale. «Per portare in parlamento le mie battaglie». Segue solito elenco ed estenuante argomentare: fine vita, disobbedienza, depenalizzazione, aborto, fecondazione assistita. E la Brianza? Nemmeno un accenno. Mezz’ora dopo, una signora di mezza età prende coraggio: «Manterrà un rapporto con il territorio? Uno vi manda a Roma e poi non vi vede più…». Cappato, dopo un sorso di birra, annuisce. Lui, invece, tornerà. «C’è un rifiuto ormai drastico della politica. Stiamo andando verso il punto di non ritorno». Chissà come mai. «Altre domande?». I 22 non infieriscono. Nessuno osa rivelare la voce che, nei bar di via Italia, è ormai un coro da stadio: il Pd, piuttosto che appoggiarlo, contribuirà alla goleada del presidentissimo biancorosso.
