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Ecco cosa fa adesso Antonio Ingroia: prova a candidarsi sindaco a Campobello di Mazara

Ecco cosa fa adesso Antonio Ingroia: prova a candidarsi sindaco a Campobello di Mazara

L’ex magistrato è il lizza per diventare il primo cittadino di un piccolo comune siciliano. Ma con grandi ambizioni sostiene: «L’antimafia non è solo manette, ma serve al riscatto del territorio».


Aspirante sindaco di Campobello di Mazara: buche da sistemare, cittadini alle calcagna e improbabili consiglieri comunali. Avvocato Antonio Ingroia, chi gliel’ha fatto fare?

Bah… è una bella domanda. La stessa che, da qualche giorno, mi fa mia moglie. E, a dire il vero, mi faccio pure io.

Ha trovato la risposta?

Mah… la convinzione che la Sicilia, anche nei territori più difficili, non sia condannata a convivere con la mafia, il malcostume e la scarsa educazione civica di chi butta l’immondizia per strada. Voglio provare a smentire Leonardo Sciascia, che parlava di una Sicilia irredimibile.

Lui rilancerebbe: la sua candidatura è professionismo dell’antimafia al cubo.

Certo, la mia storia è la mia storia. Però questa sfida serve a dire che l’antimafia non è soltanto manette e giustizialismo, ma può diventare un meccanismo virtuoso di promozione e riscatto del territorio.

L’intento è nobile.

La proposta mi è stata fatta da un gruppo di cittadini, comitati civici e associazioni locali a fronte della triste storia dell’amministrazione comunale, sciolta due volte per le infiltrazioni di Cosa nostra. Questa è la terra del boss Matteo Messina Denaro, nato nella vicina Castelvetrano.

Eppure i suoi ingenerosi critici sono tornati all’attacco. Nel 2013, con Rivoluzione civile, voleva guidare l’Italia. Adesso s’accontenta di un paesino di 11 mila anime nel Trapanese.

Allora nessuno si volle alleare con il pm della trattativa che s’era impegnato in politica: né il Pd né i Cinque stelle. Comunque, all’epoca, sapevo di non aver alcuna speranza di diventare premier. Ora ci sono concrete possibilità di venire eletto. E poi, mi permetta di dissentire…

Su cosa?

Non è un paesino, ma una cittadina con tantissime frazioni. Certo si percepisce il sottosviluppo, frutto della mafia e dell’incapacità degli amministratori. C’è una spiaggia lunga 15 chilometri, incantevole e incontaminata, senza nemmeno un albergo. Ci sono le bellezze archeologiche delle Cave di Cusa,

che non conosce nessuno…

Bello sentire tanto entusiasmo. Proprio adesso sto passando in macchina da Torretta Granitola. Dovrebbe vedere questo posto… È un diamante ormai invisibile, incastrato nella roccia sempre più stratificata.

Come l’hanno convinta ad accettare?

Quando mi è stata proposta la candidatura, ho detto subito: «Voi siete matti!». Pensavo alla criminalità di cui m’ero occupato all’inizio della carriera, quando ero sostituto procuratore di Paolo Borsellino a Mazara del Vallo.

E poi?

M’hanno invitato in Sicilia, per conoscere il buono di Campobello. Sono andato i primi dello scorso luglio. E dopo, quasi settimanalmente. Alla fine mi ha conquistato. Ma pure l’opportunità di vincere, chiaramente, ha avuto un peso importante.

Nel caso, si trasferirebbe in loco?

Se si amministra, bisogna essere sul posto. Certo, escludo di esserci 24 ore su 24 e sette giorni a settimana. Anche perché ho uno studio legale a Roma, con sedi a Palermo e Milano. Però avrò una bella squadra di consiglieri comunali e assessori. Ingroia non sarà lo sceriffo nel deserto.

Facciamo due volte al mese?

All’inizio, per dare la svolta, magari in pianta stabile. Poi, se la macchina cammina bene, metto il pilota automatico.

Ha spiegato: Campobello può diventare un «laboratorio nazionale».

Dal 2013 cerco di portare avanti un civismo militante, che faccia riappassionare la gente alla politica. Questa è un’occasione per vincere la gattopardesca rassegnazione del siciliano. Ma anche dell’italiano, alla fine.

È ancora un estimatore dei Cinque stelle come il suo amico Marco Travaglio, già convinto supporter di Rivoluzione civile?

Bah… Travaglio li appoggia sempre e comunque, con pochi accenti critici. Io talvolta sono stato polemico, soprattutto sulla giustizia. E ritengo che il Pd sia un partito conservatore. Quest’alleanza strategica è sbagliata. Mi auguro che il Movimento si sciolga dall’abbraccio mortale, per fare un terzo polo e tornare alle origini. Non è un caso che a Campobello il mio avversario, il sindaco uscente, sia del Pd.

Incensurato?

Per il momento, sì.

E i grillini la sostengono?

Mi appoggiano in Meetup locale.

Quindi, tornando nella capitale, lei non è tra gli estimatori di Giuseppe Conte?

Per niente. Preferisco Alessandro Di Battista.

Perché?

Preferirei non sbilanciarmi. Un candidato sindaco non può mettere le dita negli occhi al presidente del Consiglio.

Disse il neodemocristiano…

Ah, ah, ah. Sa, l’età rende prudenti…

E se, nonostante l’acquisita saggezza, non dovesse farcela?

Non prendo in considerazione l’ipotesi. Ci sono tutte le condizioni per vincere.

Tornerebbe a fare l’avvocato a tempo pieno?

La politica è una passione, non un mestiere.

Chi sono i suoi clienti più noti?

Tante parti civili. I carabinieri uccisi nel 1994 a Scilla. Le vittime del boss Giuseppe Graviano. I fratelli dell’ex sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, assassinato dieci anni fa. E poi, ovviamente, difendo tanti imputati. Spesso sono imprenditori accusati di svariati reati: dalle truffe ai riciclaggi.

Qualche nome?

Non mi sembra il caso di fare cattiva pubblicità agli assistiti.

Ha nostalgia della magistratura?

No, altrimenti quando il Csm ritenne di spedirmi alla Procura di Aosta, dando luogo a barzellette e ironie, avrei fatto un po’ di purgatorio per poi tornare nel circuito. Invece ho deciso di vedere l’altra faccia della giustizia.

Le imprese dell’ex presidente dell’Anm, Luca Palamara, avranno rafforzato la sua scelta…

Assolutamente. L’immagine della magistratura, già precaria, è in caduta libera. Colpa pure della politica che l’ha politicizzata.

Ma è stato lei l’indiscusso leader del «partito dei pm».

Invece la vera politicizzazione è stata la contiguità con il carrierismo. I magistrati conglobati in cricche, conventicole e combriccole. Le riunioni negli hotel per fare carriera.

Ingroia era un uomo da prima pagina, un mastino in procura, un inquirente temuto da tutti.

La visibilità, per carità, era importante. Ma se non serve a realizzare gli obiettivi serve a poco. E il mio scopo era portare avanti l’indagine sulla trattativa tra Stato e mafia. Ma, tanto per fare nome e cognome, l’oggi emerito presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha usato ogni suo potere per fermare quell’inchiesta. Allora, se la politica blocca la magistratura, devi provare a cambiare la politica. Nel 2013 io c’ho provato.

Invano.

Rimanere e subire quest’interferenza pesantissima sarebbe stata comunque una presa in giro della mia storia. Dovevo continuare a fare la figurina? Non sarebbe servito a nulla. Niente giornalisti inginocchiati per ottenere un verbale, niente più imitazioni di Maurizio Crozza, niente nemici di fama planetaria alla Silvio Berlusconi. Si vive meglio così.

Proprio l’ex premier è stato ricoverato per il Covid.

Gli auguro una pronta guarigione. Tanti l’hanno usato e ora l’hanno messo da parte. È una persona umanamente simpatica. La prima volta in cui l’ho interrogato s’è avvalso della facoltà di non rispondere. Ma l’ultima volta, prima che lasciassi la magistratura, è stato un incontro persino cordiale. E poi, visto che sono uno scettico, ho grande simpatia per il professor Zarrillo.

Il medico personale del Cavaliere?

Sì.

Alberto Zangrillo intende dire?

Ehm, sì lui. Ha preso una posizione coraggiosa in un momento difficile. È necessario andare sempre oltre le verità ufficiali.

La sua ultima creatura politica si chiamava «La mossa del cavallo». È arrivato il momento di dar seguito al proposito.

Questa è l’idea. Ma con maggiori chance di successo. Allora non riuscimmo ad avere nemmeno le firme necessarie per partecipare alle elezioni. Ora le abbiamo raccolte tutte.

La rinascita comincia a Campobello.

L’origine del nome è latina: significa campo di battaglia.

Ingroia è l’uomo giusto.

Qui Segesta vinse la battaglia contro Selinunte. E io sono di origine segestana. Mentre Matteo Messina Denaro è selinuntino.

Certo.

È solo una battuta…

Chiaro.

Diranno: «Le solite manie di grandezza di Ingroia». Ma, bene o male, l’importante è che se ne parli.

Sarà un duello epico.

È finita l’intervista?

Sì.

Mettete una bella foto, eh.

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