- Mai come quest’anno ci mancheranno le vacanze. Problemi economici, ma soprattutto le liti tra governo e Regioni su distanziamento, patentino sanitario e spostamenti rischiano di vanificare il periodo di riposo degli italiani. E sarà il settore trainante del turismo a pagare il prezzo più alto.
- LA SITUAZIONE TURISMO ALL’ESTERO. Siamo il paese messo peggio.
- AL LAGO DI COMO SONO SPARITI I VIP (ma tornati gli italiani)
Insomma, c’eravamo illusi. Pensavamo che, dopo mesi di forzata reclusione, sarebbero almeno arrivate le agognate vacanze. Niente di memorabile, per carità: tutti distanziati, accorti, impauriti. Invece no. Siamo ancora nel bel mezzo della Fase 2: imprese agonizzanti, scuola alle calende greche e rabbia montante. Il governo continua ad approntare «poderose» quanto inefficaci misure per il rilancio. Decreti, decretoni, decretini. E anche il turismo, viste le scarse premure giallorosse, è allo sbando. Alberghi, spiagge e ristoranti annunciano lo sfacelo. Tour operator e agenti di viaggio riempiono le piazze per protestare contro la solita inerzia. Governatori del Sud approntano draconiane quanto improbabili misure per difendersi dagli untori lombardi. Intanto, gli aspiranti villeggianti fremono. Inutilmente. Osservano i figli pallidi e isterici. Tentano audaci prenotazioni, ma non riescono a bloccare nemmeno un lettino. E si preparano al peggio: prezzi esorbitanti, precetti impossibili e caos assicurato. Come cantava Adriano Celentano: «Cerco l’estate tutto l’anno e, all’improvviso, eccola qua». L’estate ai tempi del coronavirus. L’estate del turista zero.
Ombrelloni contingentati. Bagnini in assetto marziale. Ragazzini costretti a comunicare con l’alfabeto Morse. Le confuse e stringenti regole approntate fanno venir voglia di mettere da parte ogni velleità e gonfiare una piscina di plastica in salotto. Mari e monti, addio. Anche perché da Palazzo Chigi si susseguono terrorizzanti fughe di notizie. Come questa, trapelata lo scorso 22 maggio: si potrà uscire dalla propria regione solo per andare in territori con similare indice erre con ti, già erre con zero. Insomma, con un assimilabile numero di infetti. Così, milioni di lombardi si preparano a svernare negli unici luoghi parimenti martoriati: il ridente Molise e la lussureggiante Umbria.
E invece, di fronte al montante sgomento, segue rettifica: si potrà andare ovunque, forse. Sempre che i contagi non aumentino, ovvio. E se crescono? Con usuale fermezza, confortato dell’immancabile parere del Comitato tecnico scientico, il governo azzarda il solito «vedremo». Agli aspiranti villeggianti non resta che seguire, con il fiato sospeso, gli ambigui proclami. Giuseppe Conte, il 10 maggio 2020, rassicura: «Quest’estate non staremo al balcone. La bellezza dell’Italia non rimarrà in quarantena. Potremo andare al mare, in montagna, godere delle nostre città. E sarebbe bello che gli italiani trascorressero le ferie in Italia, anche se lo faremo in modo diverso, con regole e cautele». Sollievo generale. Quindi? «Attendiamo l’evoluzione del quadro epidemiologico per fornire indicazioni precise su date e programmazione» informa il premier.
Ma il quadro, ancora una volta, è rimasto una crosta. Alle parole del capopopolo di Volturara Appula, seguono quelle meno tranquillizzanti del ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia: «Calma e gesso con la caccia al turista». Giusto: il settore vale appena il 13 per cento del Pil nazionale, ovvero 40 miliardi. Impiega solo 2,6 milioni di persone. E stavolta, calcolano gli esperti, si rischia di tornare ai numeri di quarant’anni fa: ricavi dimezzati e un terzo delle presenze in meno. Grazie soprattutto agli stranieri in fuga.
Per fortuna, però, c’è il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio: «Girerò l’Unione europea per rilanciare il turismo nel nostro Paese». Del resto, ha passato mesi e mesi a imparare l’inglese. È arrivato il sacrosanto momento di far fruttare le competenze acquisite. Finalmente, grazie al tour estero di Giggino, fioccheranno le prenotazioni. Ma il vero asso l’ha tirato fuori dalla manica un altro campione giallorosso: il ministro della Cultura, con opportuna delega al Turismo, Dario Franceschini. Suo è difatti l’inarrivabile spunto che promette di risollevare il martoriato comparto. L’ennesima oscura selva di norme rinominata bonus vacanza. Prevede un contributo statale da 500 euro per le famiglie di almeno tre persone, 300 per i nuclei da due e 150 per i single. In ossequio all’imperante statalismo al potere, l’esecutivo ha così elaborato per alberghi, agriturismi e bed & breakfast il più farraginoso e penalizzante dei sistemi. Sarebbero loro, infatti, ad anticipare l’80 per cento dello sconto. Il resto sarà detratto dalle tasse. Federalberghi assalta: «Chiedere di anticipare i soldi in un momento di mancanza di liquidità è vera follia». Ma c’è qualcuno cui va persino peggio. Niente bonus, nessun aiuto. Vedi le piattaforme digitali come Booking, che non si danno pace. O le agenzie di viaggi e i tour operator, che manifestano da settimane contro il governo. Sunto della protesta: «Ci prendono in giro».
Nell’attesa, tra crisi economica e regole in perpetuo divenire, un italiano su due ha deciso: per quest’anno, niente vacanze. I rimanenti arditi tenteranno invece il defatigante approdo, tra seconde case e hotel. Per andare incontro all’estate più costosa della storia. Il Codacons calcola gli aumenti: 9 per cento i ristoranti, 15 per cento gli aerei, 12 per cento navi e traghetti. Ma la sorpresona, cari aspiranti villeggianti, la troverete sulla battigia. Prezzi lievitati del 20 per cento. Sdraio, lettini, ombrelloni, parcheggi, cibi, bevande: tutto ritoccato all’insù.
A questo punto, vi verrà in mente il piano alternativo. Basta petulanti vicini, scorbutici indigeni e sterili lotte per la prima fila. Quest’anno si torna alla spiaggia libera. Bell’idea. Basta scaricare l’app e prenotare gli ambitissimi metri quadri. Superata la selezione, muniti di codice e documento d’identità, si raggiungerà dunque l’arenile, presidiato da forze dell’ordine e vigilantes. Solo allora si potrà piantare l’ombrellone. Ma a debita distanza l’uno dall’altro. A Rimini servono sei metri. A Ostia ne bastano cinque. E occhio a non sgarrare: si rischiano multe indimenticabili. Così, quasi quasi, tocca rivalutare gli esosi lidi a pagamento.
Preparandosi alla stangata del secolo. Inevitabile, del resto. I posti in spiaggia saranno distanziati. I bagnini di tutt’Italia, metro alla mano e mani nei capelli, calcolano e ricalcolano: ci saranno anche meno della metà delle sdraio. «Bisogna essere realisti» ammette Antonio Capacchione, presidente del Sindacato italiano balneari della Confcommercio. «Lo scenario è questo: domanda internazionale assente, domanda interna dimezzata, meno lettini, più costi per sanificazione e personale. Risultato: calo verticale degli incassi. Senza una riduzione fiscale, gli aumenti dei prezzi saranno inevitabili». Con differenze che, però, potranno essere notevoli: «Dove ci sono spiagge profonde, come sulla Riviera romagnola o in Veneto, non ci sarà una riduzione significativa degli ombrelloni. Le tariffe lì non dovrebbero crescere. Discorso diverso, per esempio, in Liguria: lì i cali di fatturato si annunciano pesanti».
Non a caso il presidente della Regione, Giovanni Toti, ha già chiamato a raccolta i lombardi nelle striminzite spiagge delle Riviere di Levante e Ponente. Altri, invece, grazie al posticcio federalismo concesso dal coronavirus, vantano approcci cauti e sospettosi. Come l’ormai incontenibile governatore campano, Vincenzo De Luca, ringalluzzito sceriffo del Meridione. O Christian Solinas, presidente della Sardegna. Mentre gli albergatori agonizzano, prima decide la quarantena di due settimane per chi sbarca sulle sue coste. Ideona: giusto la durata della vacanza. Finita la reclusione, gli aspiranti villeggianti tornino filati nei lazzaretti di residenza. A un debito periodo di segregazione pensa anche il valoroso condottiero pugliese, Michele Emiliano, spalleggiato dai consulenti del Tavoliere. Solinas, però, si ravvede. Quindi escogita il fantomatico «patentino di immunità», subito mutuato dall’omologo siciliano Nello Musumeci. I possibili infetti giunti dal continente dovranno esibirlo ai gendarmi isolani. Peccato che fare i tamponi, in tutt’Italia, resti chimerico. Poco importa: la Sardegna, annuncia gongolante il governatore, sarà «Covid-free». Il doge veneto, Luca Zaia, annota: «Mi metto nei panni di un lombardo. Non troverei corretto se qualcuno mi trattasse da agente di contagio».
Così molti eventuali untori di ceppo padano hanno deciso, un po’ per orgoglio ferito e un po’ per quieto vivere, di rifugiarsi in montagna. Le incognite balneari spingono a privilegiare sentieri e rifugi, più prossimi e meno problematici. Impossibile, per esempio, trovare una casa in affitto tra Valtellina e Valchiavenna, in Lombardia. Certo, pure da Bormio a Madesimo le prenotazioni negli alberghi arrancano. Ma, ad alta quota, si respira comunque ottimismo. Regole e imposizioni, rispetto al mare, saranno molte meno. Il Trentino cerca di approfittarne, annunciando una campagna di autopromozione mai vista. Gli albergatori dell’AIto Adige rilanciano: test sierologici gratis per tutti. I vacanzieri vengano a noi.
Insomma, poche ferie. Magari, dietro casa. Ancora meglio, se in vetta. Sarebbe anche l’unica maniera per evitare nuovi laccioli, come appunto i patentini evocati dai governatori del Sud. Estro tramutatosi nell’ennesima intemerata anti lombarda. Tanto che il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, a nome degli indesiderati cittadini, promette vendetta tremenda vendetta: «Ce ne ricorderemo». E, almeno su questo, siamo tutti d’accordo: la folle estate del turista zero sarà impossibile da dimenticare.
LA STAGIONE DEL TURISMO PERDUTO

Veti incrociati tra Amministrazioni e caos politico stanno minando la ripartenza del settore in Italia. Intanto gli altri Paesi nostri concorrenti, come Spagna e Grecia, hanno già fatto il pieno di ospiti.
di Carlo Cambi
L’estate fa rima con mare e per narrare il naufragio del turismo viene buono il gergo dei pescatori. L’Enit, l’ente che del turismo italiano si occupa, stima una perdita di 65 miliardi, di cui 21 dall’estero. Circa il 50 per cento degli alberghi non ha riaperto, un bar e un ristorante su tre è chiuso e si sono già persi 800 mila posti di lavoro.
Il ministro (anche) del Turismo Dario Franceschini ha ottenuto 4 miliardi per il settore di cui 2,4 sono i cosiddetti bonus vacanze. Giusto per fare un paragone, il primo ministro francese Edouard Philippe ha investito 18 miliardi e ha chiesto alle maggiori compagnie finanziarie di ricapitalizzare gli operatori con 10 miliardi, il governo italiano ci ha messo cento milioni.
Pedro Sánchez ha lanciato l’offensiva spagnola: dal 1° luglio è tutto pronto e ha stanziato 15 miliardi; Formentera è già a pieno regime, le Baleari per il 6 luglio hanno gli alberghi pieni e i voli su Madrid e Barcellona sono operativi. In compenso il governo sta trasformando la Lombardia, il Piemonte e probabilmente l’Emilia Romagna in «nasse»: faranno arrivare, ammesso che abbocchino, i turisti, ma poi li confineranno lì. Perché ci sta che apriamo le frontiere, ma teniamo chiusi gli spostamenti tra (alcune) regioni. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha scoperto il gioco delle tre date: giorno vince, giorno perde. Quando temeva che l’Italia fosse esclusa dai corridoi turistici anti-Covid ha annunciato: via all’area Schengen dal 3 giugno. Gli hanno fatto notare che non si sa se le regioni riaprano i confini tra di loro. Allora ha ripiegato sul 15 giugno: «Sarà per l’Europa il D-day del turismo» perché il giorno del via libera annunciato tra Germania e Francia, ma forse non all’Italia.
È vero che il ministro degli Esteri tedesco Heiko Mass ha promesso che non ci saranno accordi bilaterali tra Paesi – la Croazia comunque ha tolto tutte le limitazioni, così come Cipro e la Grecia, che ha dimezzato le tasse sui trasporti e cancellata quella turistica, si prepara dal primo luglio – ma è anche vero che per ora la Germania mantiene la quarantena per chi arriva dall’Italia e intanto preme per ricapitalizzare con 9 miliardi Lufthansa e salva con 2 miliardi la Tui, il suo principale tour operator che scaricherà folle teutoniche tra la Costa Brava e l’arcipelago delle Incoronate.
Zurab Pololikashvili, presidente dell’Organizzazione mondiale del turismo, ha stimato che l’83 per cento delle destinazioni in Europa sono state chiuse e ha fatto un appello perché «il G20 faccia del turismo una priorità per i Paesi che cercano di recuperare dalla crisi».
Per noi resta il problema Austria (e Svizzera) perché Sebastian Kurz, cancelliere viennese, sul Brennero tiene duro. Se vogliono i tedeschi passino pure verso l’Alto Adige, ma l’Austria della situazione sanitaria italiana non si fida e mantiene la quarantena. Idem fa Berna. Come dar loro torto se Lombardia, Veneto e forse Emilia Romagna potrebbero essere bloccate fino al 17 giugno generando un cortocircuito gigantesco perché si può entrare, ma non uscire e arrivare con un volo a Fiumicino e ripartire da Malpensa – perché il governo chiude le regioni, ma riapre gli aeroporti – per ora sembra impossibile. Nel frattempo hanno riaperto le spiagge in ordine sparso: in Abruzzo si può prendere il sole solo su prenotazione, in Liguria è tutto free e in Toscana ci sono regole ferree da rispettare.
Si può passare dalle Marche alla Toscana, ma non dalle Marche alla Lombardia perché il livello di rischio non è omogeneo. Fino a qualche giorno fa anche l’Umbria era «off limits» mandando giustamente su tutte le furie la presidente Donatela Tesei e l’assessore al turismo Paola Agabiti che aveva appena varato una campagna di promozione da 600 mila euro. Sono gli algoritmi che hanno creato un caso statistico-politico. Pur avendo contagi zero da quasi un mese, l’Umbria per il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia – promotore degli assistenti civici, ribattezzato lo «sceriffo di Bisceglie» rigido controllore delle Regioni, in particolare di quelle amministrate dal centrodestra – andava chiusa col lucchetto perché era la patria degli untori. Anche se il decreto Rilancio dice alle Regioni: fate come vi pare. In questo mare d’incertezze è cominciata la pesca a strascico degli speculatori, soprattutto cinesi che pagano cash a prezzi stracciati alberghi, ristoranti e bar in difficoltà.
Solo nel Nord hanno già acquistato cento alberghi e a Roma le segnalazioni di tentativi di sciacallaggio sono decine al giorno. Ma per il governo sembra andare bene così. L’Enit si barcamena a raccontare che «la prospettiva è recuperare in parte con il turismo domestico il calo delle prenotazioni estere» che da noi sono crollate più che per i maggiori competitor diretti quali Spagna e Francia: meno 81,4 per cento, rispetto al meno 80,1 della Francia e al meno 77,5 della Spagna. La speranza risiede nel bonus vacanze che ci manderà al mare. Sono 500 euro di sconto fiscale per una famiglia da tre persone o più, 300 per due e 150 per una persona. Bisogna mettersi d’accordo con l’albergatore e avere un Isee sotto i 40 mila euro. L’80 per cento di quella cifra l’albergatore lo sconta dalle sue tasse e il 20 lo sconta il turista dall’Irpef. Una cuccagna. Soprattutto per chi le ferie se l’è mangiate durante il lockdown. A dire che non basta sono proprio gli albergatori.
Paola Batani, una delle più importanti imprenditrici alberghiere della Riviera romagnola (11 alberghi tra 4 e 5 stelle compreso il Grand Hotel di Rimini, reso leggendario da Federico Fellini) nelle scorse settimane ha lanciato un appello: «Il governo ci dia tutela legale e regole certe; noi accogliamo i clienti nella massima sicurezza e nel massimo confort, ma non possiamo essere lasciati soli».
Un richiamo fortissimo all’esecutivo perché ascolti le categorie e cominci dare capitali a fondo perduto lo fa Gian Marco Centinaio, senatore della Lega, ed ex ministro con delega al Turismo. «Il settore è schiacciato dalla crisi: Conte si metta in ascolto delle categorie, non servono slogan e sceriffi a piede libero». È con queste prospettive che si apre la stagione turistica e i rincari stimati – tra ombrelloni, ristoranti e camere – sono del 20 per cento in conseguenza delle sanificazioni e dei distanziamenti. Sarà un turismo di prossimità: si pensa che riprenderanno un po’ gli agriturismi (hanno perduto tutto il mercato che vale 1,7 miliardi), i parchi naturali, le spiagge meno à la page.
C’è invece molta preoccupazione per le città d’arte. A Firenze il sindaco Dario Nardella ha chiesto lo «stato di calamità turistica» e invoca «mecenati stranieri» per far fronte a mancati incassi per 200 milioni di euro. Senza tasse di soggiorno molti servizi sono a rischio e Luigi Brugnaro da Venezia richiama: «Abbiamo perso i clienti di 30 anni, i servizi di mobilità sono a rischio, abbiamo bisogno di riaprire e di regole certe». Ma almeno per ora si procede col gioco delle tre date.
LAGO DI COMO: ITALIANI ALLA RISCOSSA

È stato colpito dalla pandemia ma il turismo non si arrende in questa meta-icona degli stranieri, star di Hollywood comprese. Così, nonostante l’accoglienza contingentata per decreto in alberghi e ristoranti, stanno tornando gli italiani. George Clooney può mettersi in coda.
di Giorgio Gandola
L’ultimo a partire è stato Dan Brown. Ha soggiornato per un mese, voleva ambientare il prossimo bestseller nei giardini settecenteschi sospesi sull’acqua. E ha costretto il personale a firmare patti di segretezza per non essere infastidito. Poi il lungo inverno del coronavirus ha steso un velo nero su Villa Balbianello (il gioiello del Fai più visitato) e sul lago di Como, ormai Lariowood, meta italiana top dopo Roma e Venezia.
Tutto immobile per tre mesi, quasi a decretare l’annus horribilis del turismo azzerato dalla pandemia e poco supportato dal decreto Rilancio. Su quel ramo del lago di Clooney gli alberghi riaprono con tre macigni: le regole sanitarie impongono il 50 per cento dei posti letto e il 30 per cento dei coperti nei ristoranti, il fatturato crolla del 70 per cento, il bonus vacanze sarà anticipato dagli stessi albergatori (con detrazione fiscale a babbo morto). Un paradiso con problemi enormi.
La mascherina sul volto e i voli internazionali bloccati hanno depresso il sistema, ma non lo hanno sconfitto. Due segnali di vitalità. Il primo arriva dal più classico dei grand hotel, il Villa d’Este di Cernobbio amato da Angelina Jolie e Bruce Springsteen, dove il general manager Danilo Zucchetti spiega: «Affezionati clienti stranieri hanno posticipato le vacanze in autunno pur di venire da noi. Una fedeltà incredibile, il virus non ha cancellato la voglia di sognare». Il secondo – meno felpato, più di pancia – deriva dai numeri delle auto di domenica scorsa sulla statale Regina (Teodolinda, immaginabili ampiezza e comodità): 18 mila transiti, 4 ore di coda per percorrere 50 chilometri, il trionfo del mordi e fuggi, voglia di libertà dopo una lunga prigionia.
«Settecento visitatori in un weekend, tutti italiani» sottolinea Giuliano Galli, general manager del Fai, custode dell’anima di Villa Balbianello in Tremezzina, location di Guerre Stellari e film con Uma Thurman. «Speriamo di salvare il 50 per cento della stagione. La perdita economica sarà elevata. L’anno scorso abbiamo avuto 135 mila visitatori, sarà un successo arrivare a coprirne la metà. Ma i segnali di fedeltà sono incoraggianti: avevamo 60 matrimoni vip prenotati, solo il 5 per cento è stato cancellato. C’è chi ha spostato la data a luglio, americani e inglesi al 2021 pur di sposarsi qui». A tutti i costi. L’anno scorso arrivò una giovane coppia dalla Lituania, solo in due per questioni di budget: gli sposi circondati da mille rose.
Nel centrolago dove Winston Churchill dipingeva acquerelli cercando i diari di Mussolini, il Grand Hotel Tremezzo è una perla a 5 stelle da oltre un secolo. Meno 70 per cento. «Una stagione nera, imprevedibile» riflette il proprietario Paolo De Santis. «Ma abbiamo il dovere di tenere alta la bandiera perché questo è un problema congiunturale, non strutturale. Dobbiamo resistere, offrire qualità e garantire la base occupazionale. In questi mesi abbiamo visto il lago deserto e immobile – c’erano i cigni, la natura, l’architettura – con gli stessi occhi di chi lo guardava nell’Ottocento. In tre anni torneremo ai livelli di prima perché i nostri valori sono solidi, non effimeri». La settimana scorsa il Daily Telegraph ha elencato 20 buoni motivi per tornare in Italia: al secondo posto c’è il Como Lake.
Villa Carlotta, dove Napoleone alloggiava e Canova modellava, si prepara alla stagione più corta con un’idea originale. Per rilanciare sui social il sontuoso parco botanico (233 mila visitatori lo scorso anno), il vicepresidente Giuseppe Elias ha inventato il progetto «Adotta una pianta, salva la bellezza». Trecento esemplari classificati aspettano la targa con il nome di chi aiuterà a curarli (donazioni da 100 a 5 mila euro). «Dopo tre mesi di isolamento», spiega Elias «vogliamo essere il giardino di chi non ce l’ha. Contiamo sul turismo di prossimità per chi non vuole allontanarsi».
È anche l’obiettivo della Casa Brenna-Tosatto a Campo, esempio di accoglienza di alto livello per il turismo culturale, luogo dello spirito di Roberta Bernasconi. «Senza stranieri sarà dura ma dobbiamo andare oltre, pensare che questo potrebbe essere il paradiso dello smart working. Lavoro, passeggiata, lago con tutta la tecnologia possibile a disposizione».
Se il lago più hollywoodiano del pianeta cerca nuovi orizzonti, c’è chi li ha trovati. È Giuseppe Guin, che a Faggeto ha trasformato quello che definisce «un rudere a pelo d’acqua» nel Nido dello Scrittore, rifugio magico e solitario. «Ho prenotazioni da luglio. Questo è un lockdown spontaneo, con un binocolo per osservare le mosse del mio dirimpettaio». Che sarebbe Clooney. Quando si aprono le imposte di Villa Oleandra il cinema ricomincia.