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Di padri, patrie e altri valori non conformisti

Di padri, patrie e altri valori non conformisti

Oggi gli ideali di Dio, patria e famiglia sono considerati nemici da combattere. Un’irrazionale furia relativista li ha spazzati via. Conta solo l’individuo con le sue pulsioni. E una volta sparite le identità forti, emergono, a miriadi, comunità minoritarie e agguerrite che impongono i loro slogan. Piccole caricature che tentano – paradossalmente – di recuperare ciò che è stato distrutto.


Stiamo vivendo nell’era della caricatura. Per anni ha imperversato la furia decostruttivista, una brama di devastazione ha innervato la cultura europea e occidentale. Bisognava abbattere ogni valore fondante, distruggere ogni identità forte, sbriciolare ogni limite e confine. Il sogno della globalizzazione si è rivelato una feroce tendenza alla desertificazione. Ciò che è stato svilito e massacrato, tuttavia, oggi ritorna. In forma di caricatura, appunto, come farsa o simulacro. È un dramma di enormi proporzioni, certo. Ma forse, nell’oscurità, possiamo rintracciare ancora qualche piccola luce, qualche oasi rigogliosa nel pieno del deserto. Per capire come, però, bisogna addentrarsi per un attimo nelle terre più impervie.

Negli ultimi decenni, un vento freddo si è abbattuto soprattutto sulla trinità che rende l’essere umano quello che è. Una trinità cui diede forma letteraria Giuseppe Mazzini: Dio, Patria, Famiglia. Ecco i tre concetti da abbattere, i tre valori da combattere, i tre grandi nemici contro cui scagliarsi. L’attacco, va riconosciuto, ha avuto successo. Oggi chiunque parli di Dio, della Patria e della Famiglia viene trattato come un pericoloso bigotto, un fanatico, un «medievale», un fascista o peggio un nazista.

Il messaggio che giunge a reti unificate è chiaro: le nazioni non esistono, non ha alcun senso fare riferimento alla patria. I confini non valgono più, e si possono tranquillamente superare: gli uomini debbono circolare in fretta e senza intoppi proprio come circolano le merci. Per diventare cittadino – per diventare italiano, per esempio – basta volerlo: il desiderio regna sovrano. Le comunità, in particolare quelle nazionali, non contano più: conta l’individuo con le sue pulsioni che vanno immediatamente soddisfatte.

Quanto a Dio, non scherziamo: oggi il culto dominante è quello della Scienza, che è poi un nome fittizio dietro cui nascondere il progresso. Richiamarsi a qualcosa di soprannaturale è ritenuto assurdo, ridicolo. La Chiesa va trasformandosi in una gigantesca Ong. L’Islam viene accettato soltanto se si presenta come «religione degli oppressi», ma appena rivendica uno spazio morale, viene rifiutato. I fedeli sono derisi, emarginati al limite della persecuzione.

Poi c’è la famiglia, forse il nemico principale del nuovo sistema. Come sostengo nel mio nuovo libro, Conservare l’anima. Manuale per aspiranti patrioti, (edito da Lindau), essa infastidisce il sistema dominante principalmente per tre motivi. Primo: la famiglia è (o dovrebbe essere) il luogo della gratuità, dell’amore senza secondi fini. È ovvio, dunque, che l’attuale regime – interamente basato sulla legge del profitto – la consideri fumo negli occhi. Tutto deve essere misurabile, tutto deve essere commerciabile: anche la vita.

Persino la nascita non è più gratuita: la pratica dell’utero in affitto permette di acquistare bambini dietro pagamento e senza troppa fatica. Secondo motivo: la famiglia è il luogo della differenza. Si fonda sulla differenza tra i sessi, senza non può esistere. In famiglia facciamo la prima esperienza dell’altro: persone diverse da noi (genitori, fratelli, sorelle, parenti) cui però siamo legati, nel bene e nel male. Infine, la famiglia è il luogo in cui avviene il passaggio di consegne tra generazioni, il luogo in cui passato e presente convivono, il luogo in cui si concretizza la tradizione. Lo ha mostrato molto bene Marcello Veneziani in un saggio divenuto un classico: Di padre in figlio. Elogio della tradizione (Laterza).

Per queste tre ragioni, la famiglia è la prima cellula della comunità. La prima e indispensabile particella da cui poi si sviluppa tutto il corpo sociale. Colpire la famiglia significa distruggere la nazione intera, e con essa la cultura e l’identità dei popoli.
Dio, Patria e Famiglia sono stati presi d’assalto, e l’assalto è riuscito. Tutti, del resto, ricordano Monica Cirinnà del partito democratico scendere in piazza con l’odioso cartello: «Dio, patria, famiglia=vita di merda».

Ma ecco, all’orizzonte, il bagliore di speranza. L’opera di distruzione, infatti, non si è conclusa, è stata efficace ma non ha avuto pieno successo. La trinità di cui stiamo parlando non è stata completamente cancellata (oggi va di moda la cancellazione, appunto). No: è stata sostituita. Tolte le patrie e le identità forti, sono emerse miriadi di identità piccole e aggressive. L’orgoglio di essere italiani viene combattuto (si può esibire solo in occasione delle competizioni sportive), in compenso è esploso l’orgoglio nero, quello gay, quello vegano…

La comunità nazionale e le culture tradizionali sono osteggiate, le minuscole comunità proliferano. Dio spaventa, ma la «spiritualità» è ovunque diffusa, persino la Scienza assume connotati magici. Quanto alla famiglia, viene considerata un luogo di violenza e oppressione, ma chissà come mai anche i movimenti arcobaleno cercano di ricrearla proprio a partire dall’odiato modello «eteropatriarcale».

Che cosa significa tutto ciò? Che senza Dio, Patria e Famiglia non si può vivere, o si vive male. Acquisirne la consapevolezza è il primo passo per iniziare la ricostruzione di ciò che è stato distrutto. E che tuttavia, dentro i nostri cuori, sopravvive.

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