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Di Maio: «Stiamo con gli Stati Uniti (ma anche con chi ci conviene)

Di Maio: «Stiamo con gli Stati Uniti (ma anche con chi ci conviene)

In pieno scontro tra Washington e Pechino, il ministro degli Esteri parla di alleanze internazionali e conflitti interni nella maggioranza. E sul futuro di Giuseppe Conte: «Per la ricostruzione dopo la pandemia il governo deve durare tre anni».


«L’Italia ha amicizie storiche in tutto il mondo e rivendica la sua funzione tra Oriente e Occidente». Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio spiega a Panorama i nostri legami con Cina e Russia, che sono «di partnership commerciale», cercando di fare chiarezza sul posizionamento strategico del Paese, che in ogni caso «resta l’Alleanza atlantica». Il momento però è delicato, con i rapporti tra Donald Trump e Xi Jinping tanto incandescenti da far parlare di nuova Guerra Fredda. Invece, sul dopo emergenza Covid-19, il numero uno della Farnesina afferma: «Cambieranno le consapevolezze» e l’Europa «si sta giocando la partita della vita». Non sente più Matteo Salvini «da agosto», mentre a Renzi suggerisce di «indossare la maglia della nazionale».

Ministro, come procede la sua Fase 2, quella politica? Da capo del partito del Vaffa a istituzionalissimo responsabile della diplomazia.

Per essere precisi ero diplomatico anche prima di fare il ministro degli Esteri. Ora sento ancora di più la responsabilità. Sono entrato in parlamento a 26 anni, sono stato capo politico del Movimento, ma anche vicepresidente della Camera e del Consiglio, ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico.

Qual è l’immagine dell’Italia all’estero?

Ci sono tre valori che ci riconoscono ma che spesso in Italia sottovalutiamo: l’aiuto che abbiamo dato a molti popoli, a vario titolo. Poi le nostre aziende, il made in Italy, che rappresenta il grande valore aggiunto. Terzo, i nostri soldati, le missioni all’estero, che sono una specificità unica. Noi andiamo negli altri Paesi con i militari, ma in segno di pace, ed esercitiamo un’importante funzione di mediazione sociale.

Si può dire che il nostro ruolo geopolitico sia cambiato?

L’Italia è un solido componente dell’Alleanza atlantica e fondatore dell’Unione europea, un tassello cruciale dell’Alleanza euro-atlantica. E lo è anche per le relazioni che abbiamo creato in tutto il mondo. Manteniamo rapporti commerciali con vari partner, per esempio Russia e Cina, o tanti Paesi del Medioriente, ma questo non significa cambiare la nostra collocazione, significa solo lavorare per la tutela dell’interesse nazionale, in armonia con gli alleati.

Che utilità hanno queste relazioni?

Io le rafforzo sempre di più per le nostre imprese. Invece di esportare le fabbriche, esportiamo un prodotto fabbricato da aziende e operai italiani. Quando mi sono insediato al ministero ho portato tutto il ramo export-made in Italy e ora siamo appunto in dirittura d’arrivo per un grande patto per l’export.

Ministro, l’Italia sta spostando il proprio asse verso la Cina?

Noi non siamo il primo partner commerciale europeo di questo Paese… Ci precedono la Germania e la Francia. Noi abbiamo lavorato, anche con la Via della seta, per riuscire a entrare in un immenso mercato dove prima non riuscivamo a essere così presenti. Nel marzo 2019 c’era lei a firmare il Protocollo d’intesa con la Cina. Il negoziato è stato condotto da chi ci ha preceduto al ministero. Comunque il Memorandum l’ho firmato da ministro dello Sviluppo economico, quindi a favore delle nostre imprese. In ogni caso, quando i nostri alleati ci hanno messo in guardia dai problemi di sicurezza sul 5G, non solo li abbiamo ascoltati, ma abbiamo elaborato la normativa più rigida d’Europa. È un dibattito tutto italiano l’idea che siccome ci viene riconosciuta questa amicizia e questa forza di relazioni – anche con gli aiuti per l’emergenza sanitaria che ci sono arrivati da Cina, Russia e altri Paesi – adesso cambiano le alleanze geostrategiche.

Però agli Usa siamo legati da un debito morale che risale all’ultima guerra mondiale.

Io non parlerei di debito, perché questo non ci pone sulla stessa posizione. Noi siamo convintamente a fianco degli Stati Uniti, ma non perché dobbiamo loro qualcosa, ma semplicemente perché sono i nostri alleati storici e con loro portiamo avanti partnership in tutti i settori strategici del nostro Paese, a tutti i livelli.

«Il coronavirus esce dal laboratorio di Wuhan»: così il segretario di Stato americano. E Pechino ha fatto di tutto per nasconderlo, gli fa eco Trump. Commenti?

Accogliamo le preoccupazioni Usa, abbiamo ascoltato la posizione dei loro esperti e della loro intelligence, ma in questi casi credo che la cosa migliore sia affidarsi alla scienza. Solo un approccio scientifico può darci risposte certe.

Se Trump ci chiedesse di scegliere da che parte stare, lei nel futuro dell’Italia vede più America o più Cina?

Io credo che la definizione «alleati degli Stati Uniti» risponda a tutte le domande sulla questione. Poi che ci siano accordi commerciali o amicizie con altri Paesi fuori da questa alleanza è normale. Per noi stare nella Nato è strategico. Noi facciamo parte di un progetto atlantico che si evolve, che si sviluppa e di un progetto europeo che – speriamo – faccia altrettanto.

Quello di Xi Jinping però è un regime autocratico.

Al di là della Cina, quando si stipulano accordi con altri Paesi si tiene in considerazione l’interesse nazionale e per le proprie imprese. Quando ho sottoscritto il Memorandum per la Via della seta ho chiesto che tutti gli accordi commerciali al suo interno rispettassero gli standard europei. È chiaro che poi ogni Stato ha proprie condizioni interne e quando noi ci confrontiamo con un altro Paese, lo facciamo seguendo i nostri standard e la nostra convenienza. È ciò che d’altra parte fanno Germania e Francia.

Accogliendo gli aiuti russi, lei ha detto che «coltivare certe amicizie paga». Che tipo di rapporto abbiamo con Mosca?

Un rapporto franco, che si basa sul principio stabilito a livello europeo, una sorta di «double track»: se ci sono questioni su cui non concordiamo ce lo diciamo. Le polemiche sulle relazioni tra Italia e Russia, al di là di tutte le limitazioni che possono esserci, sono insensate, visto che in Europa ci sono Paesi che parlano meno di noi, ma fanno più scambi commerciali con la Russia.

Quanti erano gli italiani all’estero quando è scoppiata l’emergenza coronavirus?

Avevamo un potenziale di 5 milioni di passaporti italiani iscritti all’Aire, poi altri connazionali fuori dal Paese per studio, per turismo, per lavoro. Di questi, ne sono rientrati 70 mila e hanno brillato per responsabilità. Poi c’è chi è partito il 12 marzo per un safari e ha preteso in piena emergenza di dover rientrare e gli avremmo dovuto pure riportare indietro la moto. E questo non à accettabile.

Lei quanto si sente europeista in una scala di valori da 1 a 10?

Dipende che cosa intendiamo per «europeista». Se significa essere solidali e aiutare anche i Paesi che hanno più difficoltà, allora sono a 10. Se significa che si mettono insieme le risorse ma poi ognuno pensa per sé, allora dico zero. L’Europa si salverà se aiuta gli Stati maggiormente colpiti dall’emergenza sanitaria, che tra l’altro non è una responsabilità di chi la subisce. Noi all’Europa non stiamo chiedendo di pagare i nostri debiti; solo di creare condizioni di mercato utili all’obiettivo finale: poter spendere tutti i soldi che servono per imprese, artigiani e partite Iva, disoccupati, giovani e meno giovani.

Qual è il suo giudizio sulle accuse rivolte dal magistrato Nino Di Matteo al ministro della Giustizia, per non averlo nominato alla guida delle carceri dopo le proteste dei boss?

Il ministro Bonafede ha sempre dimostrato di avere la schiena dritta e di non fermarsi davanti a nessuno, mettendo al primo posto solo gli interessi dei cittadini. Mai un passo indietro davanti ai mafiosi e ai corrotti.

Sulle tasse. Vede una patrimoniale nel futuro dei cittadini?

Nessuna. Io ho una cultura liberale, non ho una visione legata all’idea che bisogna aggredire il patrimonio di qualcuno.

Liberale sì, ma ha promulgato il reddito di cittadinanza.

Il welfare è uno strumento essenziale per uno Stato liberale. Il reddito di cittadinanza l’ho firmato perché penso che le aziende debbano avere l’agilità di potersi muovere sul mercato. Quando qualcuno viene espulso dal mondo del lavoro, non può essere lasciato indietro dallo Stato.

Un giudizio su Giuseppe Conte?

Si ha l’impressione che molte decisioni del governo prese per quest’emergenza siano dominate dal caos. Non esisteva in tutto il mondo un «manuale di lockdown» e ogni Paese ha dovuto creare regole su misura per la propria comunità e per la propria realtà economica e sociale. Noi, nel bene e nel male, ci assumiamo la responsabilità come squadra. Conte ha fatto un ottimo lavoro.

Lei ha detto: «La politica non può perdersi in litigi». Significa che il governo durerà «sine die»?

Dobbiamo dividere la pandemia in emergenza e ricostruzione, come si fa per le calamità. Ora entriamo nella ricostruzione: se vogliamo rilanciare questo Paese abbiamo bisogno dell’orizzonte della legislatura, quindi ancora tre anni.

Lei dice che non sente più Salvini, ma ci ha fatto un governo insieme.

Non è importante con chi si governa, ma per chi e per che cosa. Io lo faccio per gli italiani.

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