In Italia oggi esistono due blocchi sociali che sono connotati in modo netto sul piano politico: i dipendenti pubblici a sinistra e i lavoratori autonomi a destra. Quest’ultima, dunque, ha la propria base in questo gruppo sociale che sin dai tempi della discesa in campo di Silvio Berlusconi crede in una promessa di riduzione delle tasse e liberalizzazione dell’economia. Un dato di fatto che non può essere dimenticato da chi oggi guida il centrodestra, anche se siamo entrati in un ciclo protezionista e di politiche espansive sul piano globale.
In Italia oggi esistono due blocchi sociali che sono connotati in modo netto sul piano politico: i dipendenti pubblici a sinistra e i lavoratori autonomi a destra. Quest’ultima, dunque, ha la propria base in questo gruppo sociale che sin dai tempi della discesa in campo di Silvio Berlusconi crede in una promessa di riduzione delle tasse e liberalizzazione dell’economia. Un dato di fatto che non può essere dimenticato da chi oggi guida il centrodestra, anche se siamo entrati in un ciclo protezionista e di politiche espansive sul piano globale.
Dopo anni di austerità e scarse riforme, dopo la pandemia e con la crisi energetica è bene che i bilanci pubblici siano tornati a respirare e che i cordoni della borsa si siano allentati, ma ciò non può significa rinunciare a quella promessa di libertà. Il programma sulla riduzione del peso fiscale del centrodestra è soddisfacente per le categorie che lo sostengono politicamente, ma deve anche essere reso realizzabile. La coperta dei bilanci futuri sarà corta a causa dell’esplosione dei costi delle materie prime, dunque, accanto ad un fisco più leggero, per i ceti produttivi dovranno esserci anche politiche della concorrenza e riduzione della spesa pubblica. L’aumento sostanziale delle pensioni e la revisione della legge Fornero non sembrano una buona idea visto che l’Italia è già il paese che spende maggiormente in previdenza sociale in rapporto al Pil. Allo stesso modo nel programma e nel messaggio dei leader c’è poco sul piano dei tagli e del miglioramento dell’efficienza che si potrebbero ottenere in settori come la pubblica amministrazione, la scuola, la sanità, le politiche sociali. Abolire o modificare il reddito di cittadinanza è un passo in questa direzione, ma non basta. Gli investimenti pubblici del Pnrr sono una buona opportunità, ma vanno dispiegati in modo da garantire il maggior coinvolgimento possibile dei privati. Gare, appalti, affidamenti devono rompere il monopolio delle burocrazie e delle grandi aziende pubbliche. Territori e Pmi devono essere resi maggiormente protagonisti e beneficiari dei fondi europei. Quando si parla di rinegoziare il Pnrr è a questo che i leader della destra dovrebbero pensare insieme ad un approccio diverso sulle politiche green. Le politiche climatiche hanno ridotto gli investimenti nel fossile, dispiegato miliardi per le rinnovabili, aumentato l’inflazione di materie prime. Oggi mettono a rischio milioni di posti di lavoro in una transizione ecologica fatta in fretta, ideologica e dirigista. È interesse di chi governerà frenare questa dinamica e spingere invece su infrastrutture capaci di recuperare gas e petrolio. Anche su questo punto, a destra, a volte riemerge la sindrome italiana dei no, come nel recente caso di Piombino. Una sindrome da superare al più presto. Da ultimo, si continua a prevedere una estensione della golden power per proteggere le aziende italiane da acquisizioni straniere. Va bene se questo strumento serve a fermare investimenti cinesi in settori strategici, meno se esso diventa un modo per sigillare col protezionismo tante aziende italiane. Queste ultime, infatti, devono continuare a potersi finanziare liberamente sul mercato, a svilupparsi al meglio delle proprie possibilità e a produrre valore per gli azionisti. Le decisioni politiche non posso del tutto minare il funzionamento del mercato, fatto di investimenti, fusioni e acquisizioni. Più in generale, sviluppo infrastrutturale, riduzione del peso fiscale e concorrenza sono i grandi pilastri della ripresa economica e il modo migliore per fronteggiare inflazione e crisi energetica. Perché la destra dovrebbe rinunciarci a favore di uno statalismo dirigista che non le appartiene e che non interessa ai suoi elettori?
