Allo strumento simbolo della rivoluzione grillina dovrebbero contribuire tutti i parlamentari. Ma due terzi di loro sono morosi e il conto economico vacilla. Intanto, cresce il malcontento politico verso Davide Casaleggio e i vertici dell’Associazione.
Bisogna esser creduto buon scrittore per improvvisarsi impunemente cattivo copista e non mancare per questo di lavoro». Jean-Jaques Rousseau, quello vero, non la piattaforma, sapeva anche essere pratico. Circa 250 anni dopo questo consiglio, contenuto nelle Rêveries du promeneur solitaire, il cuore tecnologico dei Cinque stelle che porta il nome del filosofo ginevrino è nelle medesime condizioni. Passa ancora per strumento geniale di consenso, potere arcano, bestia tecnologica, fucina del cittadino digitale di domani, ma la piattaforma Rousseau è un gigante dai piedi di argilla, con un equilibrio finanziario assai precario e con i deputati grillini che ormai non nascondono un’insofferenza crescente. Si estende anche il malcontento nei confronti di Davide Casaleggio e di questa sorta di «partito in service», con il suo sistema di votazioni e di controllo interno vissuto ormai come un’imposizione. Del resto, se si vuole capire perché il Movimento, pur di non andare a elezioni anticipate, farebbe il governo anche con i Fratelli Musulmani, basta fare due conti in tasca a Rousseau. Con i sondaggi che danno il Movimento più che dimezzato, ovvero a non più del 15 per cento di consensi, si aprirebbe una voragine nella contribuzione obbligatoria dei deputati da oltre 600 mila euro. Il che sarebbe davvero una sventura, per un bilancio che si regge per l’80 per cento su questa voce e pareggia a un milione e 100 mila euro. Insomma, Rousseau si è trasformato in pochi anni da arma totale a palla al piede della rivoluzione permanente grillina.
Il suo primo vero scricchiolio è un passo falso che Casaleggio senior non avrebbe mai commesso, ovvero il ritiro della copertura legale a Beppe Grillo per «superiori motivi economici», comunicatagli con una certa freddezza poco prima del Natale scorso. Nel 2018, l’Associazione aveva dovuto mettere a bilancio 272.972 euro di spese legali, che sono in gran parte frutto delle decennali battaglie del fondatore.
Questa gaffe di Davide Casaleggio, che in base allo statuto firmato in ospedale l’8 aprile 2016 pochi giorni prima della morte di suo padre è presidente, tesoriere e amministratore dell’Associazione, ha fatto uscire allo scoperto il malcontento che covava da mesi. Sott’accusa quello che in realtà è un semplice sito internet con una parte riservata ed è di proprietà non del Movimento, ma di un’associazione senza scopo di lucro della quale risultano soci Casaleggio e due suoi fedelissimi: Pietro Dettori ed Enrica Sabatini. Ovvero due collaboratori che materialmente spiegano il funzionamento della piattaforma ai vari «portavoce» del Movimento eletti a Roma e in tutt’Italia.
Subito dopo la pausa natalizia, un documento scritto da tre senatori pentastellati non solo ha messo in discussione la leadership di Luigi Di Maio, ma ha anche osato nominare l’innominabile, ovvero Rousseau e le sue anomalie. Al quarto punto, Primo Di Nicola, Emanuele Dessì e Mattia Crucioli chiedono che la piattaforma, oggi «un corpo estraneo», venga posta «sotto controllo del Movimento» e quindi «basta con la gestione di Davide Casaleggio», al quale va sostituito un «comitato di garanzia» nell’ambito dei gruppi del Movimento.
Dalle alture di Genova Sant’Ilario, dove vive, Grillo ha lasciato intendere di essere pienamente d’accordo. E il 14 gennaio scorso Max Bugani, punto di riferimento dei grillini in Emilia Romagna, capo dello staff di Virginia Raggi e socio numero due di Rousseau, si è dimesso dall’Associazione, confermando che la guerra per ridimensionare Casaleggio junior è in pieno svolgimento.

Quello che non è emerso è che già oggi, secondo fonti interne a entrambi i gruppi di Palazzo Madama e Montecitorio, ci sarebbe un’evasione dei due terzi sull’obbligo di ogni deputato di versare 300 euro al mese a Rousseau. Questi soldi vanno pagati con bonifico autonomo da quello per la restituzione dei circa duemila euro al Movimento, con un versamento da effettuare entro il 10 del mese seguente su un conto presso Banca Etica, intestato all’Associazione Rousseau. Al minimo ritardo, arriva una lettera di «richiamo». Anche per questo, un simile fenomeno di morosità colpisce parecchio.
In ogni caso, se nel 2018 il pagamento dei servizi da parte dei deputati ha toccato quota 1.119.000 euro, a fronte di spese per 1.123.000 euro ed entrate totali per 1.254.000 euro, è logico che con un dimezzamento della rappresentanza grillina, come suggeriscono i sondaggi, Rousseau vedrebbe sfumare 600 mila euro di introiti. E sarebbe difficile pagare lo stipendio ai collaboratori e all’attuale decina di dipendenti, per un costo del lavoro che è arrivato a 335.800 euro l’anno.
Ma che servizi vende Rousseau? Innanzitutto offre una banca dati completa per scrivere interrogazioni parlamentari e proposte di legge. Poi, consente di vedere tutto quello che fanno i compagni di partito nelle varie amministrazioni locali e di mantenere un collegamento stretto con il proprio collegio elettorale. Si tratta di contributi importanti e che legittimano la spesa. Per altro, l’impegno a utilizzare Rousseau, a pagamento, è stato firmato da tutti i futuri deputati al momento della presentazione delle candidature.
Se però andiamo a completare l’elenco delle mansioni di Rousseau, come da statuto, si pone un problema di natura non solo esclusivamente finanziaria. L’associazione mette a disposizione ben 408 avvocati al personale politico grillino, gestisce il blog delle Stelle, accoglie e organizza la rendicontazione dei deputati e le candidature. In più, «promuove il tema della cittadinanza digitale», che era uno dei chiodi fissi di Casaleggio padre e di Grillo.
Senza entrare nel tema della trasparenza delle votazioni gestite con Rousseau, di cui si è discusso fino alla noia e comunque preoccupa gli stessi deputati pentastellati, che cos’è davvero questa sedicente piattaforma? Se gestisce la parte amministrativa e burocratica del Movimento, se spende soldi per le querele per diffamazione dei suoi esponenti, se copre le spese di propaganda (90 mila euro nel 2018, quando il Movimento nel biennio 2015-2016 ha dichiarato spese per 3.500 euro in tutto), se il recupero di una spina nel fianco come Alessandro Di Battista passa per un fantomatico incarico come «referente del portale eventi» di Rousseau, la vera ossatura di M5s da chi è costituita? Dall’Associazione o dal Movimento?
Salvatore Curreri, costituzionalista dell’Università Kore di Enna, è tra coloro che hanno meglio studiato il rapporto tra Cinque stelle e Rousseau, e a Panorama risponde con una provocazione: la ripartizione delle competenze tra le due entità fa concludere che «i portavoce sono i portavoce della piattaforma». E spiega che «c’è un’evidente ambiguità, con i deputati che al momento della candidatura devono legarsi mani e piedi a Rousseau, che a sua volta, presentata come strumento, diventa una sede decisionale».
Già, ma i «portavoce» li ha eletti il popolo, che sulle schede elettorali ha trovato un partito. E la Costituzione, solo per fare un esempio, quando afferma che ogni parlamentare rappresenta la nazione «senza vincolo di mandato» (art. 67) fa la predica alle segreterie dei partiti o alla Onlus di Casaleggio? E a proposito di lucro o meno, pochi sanno che l’Agenzia delle entrate ha in sostanza cambiato la natura di Rousseau, perché i servizi «offerti» ai parlamentari per 300 euro al mese non potevano essere esenti dall’Iva e non potevano che essere fatturati.
Nella nota integrativa all’ultimo bilancio (2018), Rousseau spiega che si tratta di una mera valutazione ai fini fiscali e che l’associazione resta senza scopo di lucro. Certo, il fatturato con tanto di Iva copre oltre l’80 per cento delle entrate, ma la legge non fissa un tetto massimo oltre il quale una Onlus diventa una società commerciale. Tuttavia, come spiega un noto fiscalista milanese, «il problema della vera natura di Rousseau si porrà quando non dovesse pagare un creditore».
Se un creditore dell’Associazione andasse dal giudice, questo guarderebbe alla sostanza di Rousseau e non alla fuffa della propaganda. E quasi certamente la definirebbe un’impresa come tutte le altre. Ovvero un’attività economica soggetta alla legge fallimentare e addirittura con gli obblighi di segnalazione alla Camera di commercio (cosiddetta disciplina Ocri) di qualunque tensione finanziaria possa mettere a rischio i creditori. Per ora, senza dubbio, siamo solo alla tensione politica, ma tra Cinque stelle e Rousseau il groviglio è tale che se i deputati tolgono la benzina finanziaria all’Associazione, questa si sgonfia come un pallone. E il buon scrittore diventato cattivo copista avrebbe seri problemi.