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Decreto flussi: pericolo bluff

Decreto flussi: pericolo bluff

La normativa 2021 che regola quanti cittadini non europei giungeranno in Italia per trovare impiego solleva dubbi nelle stesse associazioni di categoria. Molti utilizzano questa misura per far arrivare in Italia amici o parenti.


«Finalmente si punta su canali legali». L’annuncio del nuovo «decreto flussi», che dovrebbe portare in Italia gli ingressi di cittadini non europei per motivi di lavoro da 30.850 a 70.000 secondo le ultime stime, ha riscosso il plauso del mondo dell’associazionismo entusiasta per il ritorno ai numeri del 2010, quando si sfioravano i 100.000 permessi. Più che per un improvviso desiderio del governo di mettere mano alle politiche migratorie, a dare il via all’iniziativa sarebbe stata l’esigenza di rispondere alle richiesta di manodopera che arriva dalle organizzazioni di categoria.

Da Confimi ad Ance, da Coldiretti a Confcommercio, la dichiarazione è univoca: «Mancano lavoratori». Cinquantamila servirebbero a Coldiretti, preoccupata per la salvaguardia della produzione agricola che molto dipende dagli stagionali, oltre da una quota di lavoro sommerso non scalfita dalle sanatorie; 98.000 sono invece i lavoratori richiesti dalla Confimi (Confederazione industria Manufatturiera) mentre l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) parla di addirittura 260.000 lavoratori mancanti. La fiducia nella manovra, però, è tutt’altro che granitica.

«Dopo aver perso 600.000 addetti negli ultimi 10 anni, ora grazie a bonus e progetti in vista del Recovery plan, l’edilizia è tornata a crescere. Mancano però i lavoratori» dice a Panorama Gabriele Buia, presidente di Ance, che ha chiesto al ministro del Lavoro di attivarsi con i centri per l’impiego per individuare soggetti disponibili anche sul suolo nazionale e tra gli stessi percettori del Reddito di cittadinanza.

Secondo Buia la risposta andrebbe cercata innanzitutto nella manodopera che già lavora sul territorio e può essere rapidamente integrata perché «assumere a scatola chiusa un operaio che si trova in un altro Paese è sempre rischioso, specie per le piccole e medie imprese che però rappresentano il 98% del totale». Per non dire della difficoltà di formare lavoratori che non parlano italiano o del fattore tempo, visto che gli operai che servono adesso, con il Decreto flussi rischiano di non arrivare prima di cinque o sei mesi se va bene, quando le esigenze del mercato saranno già mutate.

Lentezze della burocrazia che, in assenza di un meccanismo di controllo sui lavoratori, rischiano di amplificare il pericolo che le quote previste non si traducono in veri contratti. Mentre al ministero del Lavoro ci comunicano che i dati in materia non sono immediatamente disponibili, gli addetti del settore sanno bene che, una volta ottenuto il permesso di soggiorno per entrare in Italia, non tutti gli stranieri poi si presentano dove sono attesi.

«Molte comunità di stranieri utilizzano il decreto flussi per far arrivare parenti e amici e solo il 20% di chi fa domanda svolge il lavoro per cui è stato chiamato» spiega Natale Forlani, direttore generale per l’Immigrazione presso il ministero del Lavoro proprio negli anni cruciali del 2010. Fu lui, una volta scoperto come i numeri spesso fossero gonfiati, a operare un taglio drastico delle quote non stagionali.

Criticità che ora si scontrano anche con uno scenario di sottoutilizzo della manodopera a dir poco endemico. Perché cercare lavoratori all’estero quando ci sono 2,3 milioni di disoccupati di cui 500.000 stranieri regolari, nonché 3 milioni di percettori di reddito di cittadinanza?

Diversi i motivi secondo le associazioni di categoria, dagli operai che hanno cambiato mestiere a quelli che sono andati in pensione o rientrati nei Paesi d’origine. Ma soprattutto l’effetto sussidi. «Nonostante offriamo impieghi con regolare contratto collettivo nazionale, trovare persone che abbiano voglia di lavorare è sempre più difficile» lamenta Paolo Agnelli, presidente di Confimi. «Del resto perché cambiare regione magari per venire in una delle nostre imprese quando si può percepire un assegno senza allontanarsi da casa?».

Un problema eminentemente politico per Forlani, che fa notare come l’aumento dei sostegni al reddito e alla disoccupazione sia teorizzato dagli stessi che vedono la necessità di aumentare le quote di lavoratori immigrati. «Anziché su provvedimenti amministrativi quali il decreto flussi, bisognerebbe partire dalle liste di disponibilità per questi lavoratori, che ancora non ci sono».

Dopo l’approvazione del Decreto e in attesa dei suoi atti amministrativi collegati, resta da capire perché il governo non attinga ai circa 200.000 potenziali lavoratori che avevano fatto domanda di regolarizzazione attraverso la sanatoria dell’ex ministro Teresa Bellanova. Provvedimento che – dato il suo flop – ha sfornato soprattutto permessi di soggiorno. Poiché si tratta di soggetti non ufficialmente impiegati, è presumibile che lavorino in nero quando invece potrebbero essere messi in contatto con le aziende che cercano personale. Sempre che ai ministeri del Lavoro e dell’Interno sappiano dove sono finiti.

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