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Passa da Cuba la nuova frontiera di Pechino

Passa da Cuba la nuova frontiera di Pechino

La futura Via della seta si allunga nei Caraibi e utilizza L’Avana come centro di espansione per l’intera area. Secondo «il patto comunista globale» siglato, la Cina investirà in infrastrutture e attività produttive sull’isola. Così il regime guidato da Miguel Díaz-Canel cerca di alleviare gli effetti della profonda crisi economica interna, aggravata dal Covid. Ma l’accordo ha anche un’altra conseguenza strategica: gli Stati Uniti si ritroveranno un presidio della superpotenza rivale a 90 miglia dalle proprie coste.


Di tutti quelli che c’erano prima della rivoluzione ne saranno rimasti forse 150…» dice una cameriera del ristorante della Scuola cubana di wushu, nobile arte marziale cinese. I nomi dei vicoli di quest’area dell’Avana sono scritti in spagnolo e mandarino; ma, appunto, gli unici cinesi in giro qui sono i turisti che hanno nostalgia di quella che era una delle più grandi Chinatown dell’America Latina, prima dell’avvento del castrismo.

«Cinesi pochi e molto anziani, ma in compenso tanti cubani che prendono lezioni di mandarino ogni sera» racconta una guida della Casa dell’Amicizia con la superpotenza asiatica. Eppure, alla vigilia dello scorso Natale, la Cina ha fatto ritorno in grande stile. Il 24 dicembre scorso mentre la stampa mondiale era concentrata sulla variante Omicron, He Lifeng, direttore della Commissione di sviluppo e riforma, il principale organo di pianificazione economica cinese, e Ricardo Cabrisas, vicepremier cubano, stringevano un «patto comunista globale».

Nel silenzio dei media statunitensi – forse perché Pechino che «sbarca» ad appena 90 miglia marine dalla Florida è una pessima notizia da dare a Washington durante le feste – le due dittature hanno firmato un accordo dettagliato (e segreto nelle cifre) per una cooperazione bilaterale. Obiettivo: promuovere la Nuova Via della seta. Settori chiave le infrastrutture, la tecnologia, la cultura, l’educazione, il turismo, l’energia, le comunicazioni e la biotecnologia. Per L’Avana, alle prese con la peggiore crisi economica e sociale dai tempi della Revolución – il 2021 si è chiuso con un crollo del Pil dell’11% e un record di oltre 700 prigionieri politici – è una provvidenziale boccata d’ossigeno. Anche perché – persecuzione dell’etnia degli uiguri docet – nessuno meglio di Pechino sa reprimere la dissidenza.

Non è un caso che alla vigilia dello storico accordo, il 23 dicembre scorso, il presidente cubano Miguel Díaz-Canel abbia visitato tre luoghi di investimento del Dragone sull’isola. In primis, il gruppo dei periodici Granma; dal 2020 il giornale-simbolo della propaganda rivoluzionaria arriva nelle strade dell’Avana grazie ai finanziamenti e alla supervisione tecnologica di Pechino, fondamentale per evitare che nella versione online qualcosa sfugga all’occhio della dittatura. A Villa Clara, L’Avana e Holguín, oltre alle installazioni delle rotative, la Cina ha provveduto alla ristrutturazione degli edifici che ospitano le redazioni dei principali giornali di regime, ovvero Juventud Rebelde, Trabajadores e, ça va sans dire, Granma Internacional.

Una volta coperto il settore dei media, Díaz-Canel ha fatto un passaggio alla sede di Etecsa, la compagnia statale di telecomunicazioni che controlla Internet e si sostiene soprattutto grazie a dotazioni economiche in arrivo dalla Cina. È bene ricordare che, lo scorso anno, i media hanno denunciato come la lunga mano di questo Paese abbia giocato un ruolo importante nel blocco di internet e dei telefoni all’Avana durante le imponenti proteste antigovernative dell’11 luglio.

Altro pilastro di questa espansione sull’isola è la Yutong, ovvero uno dei più grandi produttori al mondo di autobus. All’Avana ormai i mezzi pubblici, ben 10.665, sono tutti cinesi. Alla vigilia dell’accordo tra Pechino e L’Avana il presidente Díaz-Canel ha scelto come terza meta del suo «pellegrinaggio» proprio la sede della filiale della multinazionale, dove il rappresentante locale, Ariel Yang, gli ha spiegato come Cuba, per il produttore, sia il «primo mercato strategico della regione». Del resto «Yutong tra il 2020 e il 2021 ha donato 2,2 milioni di euro per sostenere il successo della lotta del partner cubano contro la pandemia» ha ricordato Yang, naturalmente elogiando «la visione rivoluzionaria del compianto comandante in capo della Revolución, Fidel Castro».

«Fate un maggiore investimento nella Zona di sviluppo speciale del porto di Mariel», lo ha sollecitato ridendo Díaz-Canel, alla disperata ricerca di risorse straniere che possano far ripartire l’economia Un invito che certo non cadrà nel vuoto visto che dopo l’accordo con Cuba la Cina potrà commercializzare nei Caraibi tutti i suoi prodotti partendo da questo scalo, a Nord-Ovest dell’Avana e vicinissmo al suo principale nemico economico, gli Stati Uniti. O in alternativa dal porto di Santiago de Cuba che, già ammodernato con fondi arrivati dal Dragone, a questo dovrebbe presto essere concesso in uso per 99 anni. Inoltre con il «patto comunista globale», come riflette il quotidiano spagnolo ABC, «L’Avana manda un avvertimento a Washington, esercitando una grossa pressione riguardo alle sanzioni economiche e all’embargo statunitensi».

Difficile capire infatti il senso di un blocco economico che prosegue da oltre 60 anni e non ha portato ad alcun risultato concreto se poi, sotto il naso degli stessi Stati Uniti, l’ex Paese satellite dell’Unione sovietica durante la Guerra fredda si trasforma in una sorta di colonia di Pechino, che mette così in crisi la strategia regionale di Washington. Già oggi il commercio di Cuba dipende dalle esportazioni verso la Cina, suo primo partner commerciale. Negli ultimi sei anni, l’export verso il gigante asiatico, soprattutto zucchero (in base agli accordi L’Avana deve fornire 400.000 tonnellate all’anno) e nichel, è passato dal 18,9% al 38,2% del totale.

Il problema è che Cuba importa cinque volte più beni di quanti ne esporti, il che genera un debito insostenibile. Anche in questo la Cina gioca un ruolo decisivo per il regime castrista che, non facendo parte né del Fondo monetario internazionale né della Banca Mondiale, non ha alcuna porta a cui bussare per ottenere crediti. E così, dal 2015, L’Avana ha iniziato a ricevere prestiti dalla Export-Import Bank of China per progetti di biomasse ed energia solare e per la costruzione proprio del terminal nel porto di Santiago de Cuba: 210 milioni di euro, cui si aggiunge la cancellazione di 5,3 miliardi di euro di debito nazionale.

Fino a oggi il potere cubano aveva resistito a un abbraccio troppo stretto con la Cina, soprattutto per quanto riguarda i prestiti. Certo i prodotti in arrivo dalla fabbrica del mondo dominano all’Avana, dove persino le tradizionali auto della polizia «Lada» stanno gradualmente scomparendo a favore delle moderne (e cinesi) «Geely». È un modo per Pechino di far conoscere i propri marchi e di testarli all’estero: frigoriferi, ventilatori, pentole e bancomat, il Dragone sta invadendo la vita quotidiana degli abitanti anche se «quello che fanno loro è sempre di scarsa qualità e pure caro» borbottano sempre più spesso i cubani.

Adesso, però, il patto sulla Via della seta cambia tutto, svelando l’urgenza del regime di alleviare gli effetti del collasso economico che alimenta proteste di strada e crescente malcontento. L’ammontare dei prossimi prestiti sarà il miglior indicatore per misurare l’avvicinamento geopolitico tra Cina e Cuba; e se questo sia paragonabile al legame avuto con l’Urss, a inizio anni Sessanta. Una nuova crisi dei missili simile a quella che nell’ottobre 1962 fece tremare il mondo è al momento improbabile. Di certo, però, Pechino supporta L’Avana con forniture militari e ci sono rapporti dettagliati che specialisti cinesi stanno usando l’ex base d’ascolto di Lourdes, realizzata dai sovietici nel 1962, per operazioni di sorveglianza nell’area. E Key West, in Florida, dista appena 90 miglia…

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