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Ecco perché non è servito chiudere le scuole in tutta Europa

Aver obbligato alunni e studenti a lunghi mesi di didattica a distanza non è servito a limitare il Covid. Panorama ha elaborato i dati di 15 Paesi dell’Unione europea sulla chiusura degli istituti tra febbraio 2020 e marzo 2021, con l’Italia che risulta in testa alla classifica. E dal raffronto tra i vari indicatori significativi emerge subito come le misure restrittive delle lezioni in presenza siano state inutili.


Se le statistiche non mentono, è stato tutto inutile. Se nella loro neutralità i numeri dicono il vero, chiudere le scuole italiane è stato un sacrificio senza senso. È più di un anno che il tema è al centro di una polemica serrata. Da quando, agli inizi della pandemia di Covid, il governo di Giuseppe Conte aveva stabilito di sbarrare i portoni degli istituti di ogni ordine e grado. Da allora l’Italia è rimasta ai vertici della classifica degli Stati europei per la durata delle chiusure.

In base ai numeri inediti della tabella che Panorama pubblica in queste pagine, però, non risulta alcuna relazione tra scuole chiuse e numero di contagi e morti. Abbiamo messo a confronto due statistiche ufficiali e accreditate. Da una parte il dato delle chiusure delle scuole, fornito dall’Unesco sotto forma del numero delle settimane trascorse tra fine febbraio 2020 e 25 marzo 2021, e dall’altra il totale di contagiati e morti di Covid a quella stessa data, secondo l’Oms. È facile riscontrare che dalle statistiche sui principali 15 Stati europei non emerge alcuna interazione tra la chiusura delle scuole e i danni prodotti dal virus. Non è vero che chi più chiude è più protetto.

Per oltre un anno, l’opinione pubblica si è spaccata in due: chi sosteneva che le scuole erano potenziali focolai, e chi ribatteva che i danni nella formazione e per la psiche di bambini e ragazzi, privati di rapporti con i coetanei, fossero superiori ai rischi del contagio. La politica nelle ultime settimane sembra essersi orientata per la riapertura dalle materne alla prima media, ma molti epidemiologi e medici continuano a dirsi contrari.

L’Italia, va detto, non è stato nemmeno il Paese più prudente del Vecchio continente. Le sue 29,7 settimane di chiusura delle scuole sono state battute, nell’ordine, da Repubblica Ceca (33,9 settimane), Slovacchia (32,7), Lettonia (32,4), Romania (31,9) e Polonia (30,6). Malgrado le sue restrizioni scolastiche, però, la Repubblica Ceca non può certo dire di aver ottenuto buoni risultati: alla data del 25 marzo 2021 ha visto 1,5 milioni di contagiati, quasi il 14 per cento del totale di quasi 11 milioni di abitanti, e oltre 25mila morti, cioè lo 0,23 per cento. Sono quote più che doppie rispetto a quelle italiane. Mentre la Svizzera, che con meno di due mesi di chiusura tra marzo e aprile 2020 è in fondo alla classifica europea, ha avuto meno contagiati e meno morti di tanti altri Stati, più restrittivi.

È vero anche quel che ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che a fine marzo ha deciso la riapertura fino alla prima media: e cioè che «la scuola è un punto di contagio limitato solo in presenza di altre restrizioni. Ciò che è fonte di contagio è tutto quello che avviene attorno alla scuola, quindi più si alza l’attività scolastica e più aumentano le possibilità di contagio».

Resta il fatto che sacrificare per un anno la scuola, almeno in base a questi numeri, non è stato saggio. Anzi, è stato inutile.

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