Una famiglia media quest’anno dovrà pagare tra i 2.100 e i 3 mila euro in più per energia, alimentari, servizi. E la situazione internazionale, oltre che le finanze pubbliche, mette in pericolo imprese e occupazione.
L’acronimo Def, stando al cognome del ministro dell’Economia e alla situazione dei conti dello Stato e delle tasche degli italiani, andrebbe aggiornato: da «Documento di economia e finanza» a «Dovrei essere franco». Ma Daniele Franco, appunto, non se lo può permettere: dovrebbe dire che il Pil non riuscirà a crescere più del 3 per cento (anche così la stima è ampiamente ottimistica), che l’inflazione sarà sopra il 7 per cento, che il rapporto deficit/Pil salirà sopra al 6, che non c’è un euro da destinare a investimenti, che non esiste alcuno spazio per una mitigazione della pressione fiscale, anzi, e che andiamo incontro a una stagione di dati tutti negativi. Dovrebbe dire che gli italiani, causa guerra, ma prima ancora causa costi energetici, pagheranno tutto molto caro. A fronte di un’erosione dei redditi e del potere d’acquisto.
Sono i tratti caratteristici della stagflazione: prezzi alle stelle e consumi azzerati. Per l’Europa si aggira lo spettro dell’inflazione che peraltro è quella «cattiva» generata da carenza di offerta – di energia, di materie prime – e da eccesso di liquidità a causa dei massicci e ininterrotti acquisti di titoli pubblici decisi dalla Banca centrale europea per sostenere le economie (soprattutto quelle super indebitate come la nostra) durante l’emergenza pandemica. Il «Whatever it takes» di draghiana memoria lanciato per far fronte alla crisi dell’euro (mai debole come adesso) e rieditato per battere il Covid presenta ora il conto.
Si è fatta troppa spesa corrente e poco investimento, confidando in una ripresa che è evaporata. Lo dicono le cifre. Il debito pubblico è passato dal 139 per cento del Pil del 2019 (2.400 miliardi) al 160 per cento di fine anno con, a febbraio, una punta di 2.740 miliardi e il rendimento del Btp stabilmente sopra il 2 per cento. È un sonoro campanello d’allarme.
Il bombardamento c’è anche nel carrello della spesa, sui mutui, sulle fabbriche, nelle banche. Le sanzioni contro Putin, l’invasore dell’Ucraina, per l’Europa e l’Italia in particolare hanno un costo altissimo, e per quanto lo si voglia nascondere siamo a un’economia di guerra. C’è un indicatore che molti hanno trascurato, ma dice tutto: l’agenzia Standard & Poor’s (S&P) prevede un deterioramento delle prospettive di credito, un giro di vite sui finanziamenti e l’innalzamento del tasso di default (l’interesse applicato quando chi presta i soldi vuole cautelarsi, ndr) oltre il 2,5 per cento. Sotto traccia si legge una preoccupazione per l’aumento dei crediti deteriorati; anche perché la Bce, se sul fronte dei tassi resta cauta, su quello della garanzie bancarie ha stretto la cinghia.
Risultato: difficile attendersi nuovi investimenti, inevitabili le conseguenze sui mutui che crescono – già in attesa di impennarsi appena l’Eurotower toccherà gli interessi ufficiali, necessità di ricorso a ulteriori manovre fiscali dei governi per evitare crolli dell’economia. Con il piccolo particolare che Daniele Franco non dispone di risorse a meno di non fare un nuovo scostamento di bilancio, altro debito. La residua possibilità di intervento Mario Draghi se l’è giocata in due occasioni: con il tentativo di fermare il vento dei rincari energetici grazie a qualche agevolazione(18 miliardi a fronte di aumenti del 200 per cento è nulla) e con quello di salire al Quirinale, accattivandosi i partiti con una Finanziaria 2021 di (quasi) sola spesa corrente.
Vedremo dal Def che dovrebbe essere varato in questi giorni (la scadenza ultima è il 10 aprile, Draghi aveva promesso un ampio anticipo, ma la situazione lo ha costretto a una frettolosa ritirata perché nessun dato dà una minima certezza) se il presidente del Consiglio si è accorto del suo azzardo. Ha sperato, sull’onda del rimbalzo del Pil al 6,5 per cento nel 2021, che la ripresa consolidandosi avrebbe tappato un po’ di buchi. Un eccesso di ottimismo – certificato nella Nota di aggiornamento al Def che stimava il prodotto interno in rialzo del 4,7 – perché già da fine 2020 s’intravvedevano forti rialzi delle materie prime, a metà 2021 l’inflazione aveva rialzato la testa e la bolletta energetica si stava surriscaldando. Ma Draghi e Franco hanno scommesso sul trascinamento della ripresa. Che si è bruscamente arenata anche, ma non solo, per colpa della guerra. S&P certifica fosche previsioni pure sul Pil. Quello mondiale lo ha abbassato dell’1,2 per cento portandolo al 3,4, quello europeo al 3,2.
Il «governo dei migliori» rischia di trasformarsi in quello degli estremi rigori: poco gas, molte tasse, niente ripresa; restiamo e di molto sotto i livelli pre-Covid dell’asfittico 2019. Per tentare di alleviare la bolletta energetica il governo si affida anche all’Eni di cui detiene il 30 per cento delle azioni. L’amministratore delegato Claudio Descalzi ha affermato: «Siamo in grado di rendere disponibili sul mercato 14 miliardi di metri cubi di gas addizionali nel breve-medio periodo». Peraltro il governo con Eni incassa: Descalzi ha annunciato un dividendo di 0,88 euro per azione. Anche il salvagente Pnrr – il Piano nazionale di ripresa e resilienza che è ulteriore debito – non sembra bastevole e la prospettiva in parte accreditata da Paolo Gentiloni, commissario all’Economia di Bruxelles in quota Pd, e auspicata dalla presidente Bce Christine Lagarde, di un Recovery fund «bellico-energetico» pare sempre più una chimera.
Gli Stati europei non sono mai stati tanto (dis)uniti come adesso, costretti come sono a fare i conti con le loro fragilità dalla fame d’energia e dalla fame vera per scarsità di risorse agricole, peraltro indotta dalle stesse politiche europee. Lagarde ha annunciato che toglierà gli stimoli e lavorerà sui tassi (Federal Reserve e Banca d’Inghilterra li hanno già alzati) e chiede però una sorta di ulteriore mutualizzazione del debito in Europa. Per l’Italia ritoccare i tassi è una mazzata. Nessuno tra i membri Ue ascolta il nostro Paese, al massimo si otterrà un rinvio del patto di stabilità. Il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco sollecita un cambiamento di paradigma economico attraverso nuovi investimenti o la situazione diventa drammatica. Facile a dirsi impossibile a farsi, anche perché non c’è modo di sbloccare i 1.400 miliardi fermi nelle banche nazionali senza agevolazioni fiscali.
Peraltro il Centro studi di Uninmpresa stima che, se si andrà avanti così, 10 milioni di italiani rischiano di trovarsi in povertà assoluta. Brutte previsioni anche per Confcommercio. Il suo presidente Carlo Sangalli è molto preoccupato per i consumi: «Il governo con il decreto bollette ha fatto la cosa giusta, ma non basta. Servono nuovi aiuti, uno scostamento di bilancio, crediti d’imposta, gli extracosti stanno uccidendo le aziende e l’inflazione è preoccupante». Il sistema delle imprese subisce un aumento energetico di almeno 50 miliardi di euro. La lista dei rincari è impressionante. Stando ai dati dell’Unione nazionale consumatori, a febbraio l’energia elettrica sul mercato tutelato è aumentata del 103 per cento, quella libera del 64,9, il gas dell’86,5, i carburanti del 38,7 con la benzina che si è accontentata del 21,9. Negli alimentari, l’olio di semi è raddoppiato, frutta e verdura hanno un «range» dal 32 al 15,5, la pasta è aumentata del 14,8 per cento, il pane tra il 4,6 e il 35 per cento.
Nei servizi: biglietti dei bus cresciuti di 20 centesimi, costi bancari del 21 per cento, bolletta dell’acqua oltre il 9. Una famiglia media quest’anno, tra energia, servizi e alimentari, avrà un aggravio tra 2.100 e 3 mila euro. Tutto dipende dal trasferimento sui prezzi finali (parziale) degli accresciuti costi per le materie prime e gli aumenti di energia che per alcuni comparti produttivi – dalla carta alla siderurgia alla ceramica – toccano il 700 per cento. Il paradosso è quello della carta igienica: più ne viene prodotta, più gli imprenditori del settore ci rimettono. I rottami ferrosi sono aumentati del 400 per cento, il grano duro sfonda i 500 euro a tonnellata, la plastica cresce del 350 per cento. Ci sono alcuni settori come il vino che, su un fatturato di 13 miliardi, solo per confezionamento e imballaggio spende 1,2 miliardi in più. L’edilizia sconta rincari dell’acciaio del 230 per cento, del cemento dell’80. In più ci sono i costi di trasporto: raddoppiati via Tir, decuplicati via nave: un container è passato da 2.500 a 24 mila dollari.
Secondo la Cgia di Mestre, nei primi 6 mesi del 2022 a causa del caro-energia sono a rischio 500 mila posti di lavoro. Nei comparti industriali le variazioni medie di aumento sono stimate al 250 per cento. Ancora la Confcommercio, che teme l’Europa: «La conferma a marzo, di Commissione ed Eurogruppo, dell’orientamento restrittivo delle politiche di bilancio nei Paesi europei ad alto debito appare surreale in un contesto in cui il prezzo del gas è quasi otto volte quello di un anno prima, determinando devastanti effetti recessivi». Questo è il pericolo maggiore, subito registrato dall’indice di fiducia.
Tra i consumatori a marzo è crollato di 12 punti (a 100,8), quello delle imprese di 2,5 (105,4). Scrive l’Istat: «Il ridimensionamento così accentuato dell’indice è dovuto al forte deterioramento delle aspettative sia sulla situazione economica del Paese sia su quella personale nonché alle attese sulla disoccupazione. In deciso peggioramento anche i giudizi sull’acquisto di beni durevoli». E quest’affermazione è la più inquietante. Significa che l’inflazione (a marzo avrebbe toccato il 6,7 per cento) che fa comodo al governo – fino a un certo punto – perché «si mangia» lo stock di debito, sta iniziando a distruggere la domanda. In altre parole: stagflazione. Ovvero il più classico dei sintomi dell’economia di guerra.