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Estonia, dove l’Europa incontra la Russia

Estonia, dove l’Europa incontra la Russia

La piccola nazione baltica vive da sempre, e ora più che mai, un rapporto contraddittorio con l’ingombrante Federazione. Ma la sua apertura al futuro, senza rimuovere una storia complessa, dimostra come una convivenza tra modelli distanti trovi strade insospettate.


Estonia: siamo all’estrema periferia d’Europa, dove il mar Baltico riverbera la stessa luce su Tallinn come sulla vicina San Pietroburgo. Il Paese confina infatti col colosso (geografico e psicologico) russo, eppure sembra aver sviluppato una sorprendente capacità di elaborazione e gestione strategica di questo difficile dossier di vicinato. Di certo molto meglio di altri membri del club europeo i quali, pur territorialmente distanti dalla Russia, ne soffrono l’atteggiamento geopolitico con forme di malcelata isteria o rassegnata dipendenza energetica. In breve: l’Estonia ha optato per la convivenza pragmatica. E non certo con un disegno al ribasso.

Tutto nasce lontano nei secoli (non per niente un sesto della popolazione estone è russa o russofona) ma forse ci basta riavvolgere il nastro storico a partire dal «vicino» 1990-1991, quando cioè Boris Eltsin permise l’indipendenza della piccola repubblica baltica, evitando tragiche degenerazioni di piazza e financo la guerra civile. Proprio a Eltsin, che certo non gode in Occidente del mito ecumenico destinato a Michail Gorbacëv né del controverso carisma putiniano, Tallinn ha dedicato una lapide commemorativa. Lastra forse unica nel suo genere, nella vasta galassia dell’ex Unione sovietica e dei suoi Paesi suddito-satelliti.

Al soldato di bronzo, invece, la tipica statua sovietica diffusa a ogni latitudine dell’Impero, e che celebrava il fante dell’armata rossa nel suo viaggio inesorabile da Stalingrado a Berlino per schiacciare il nazismo, non era toccata la stessa sorte nell’aprile del 2007. La sua rimozione fece insorgere la comunità russa (sono i gravi disordini noti come «Bronze Night»), fierissima di quel pezzo di storia patria che ancora oggi si celebra in modo trionfale, in tutta la russofonia, il 9 maggio. Decisione che fu eminentemente politica e atlantista, poiché un sondaggio rivelò come la maggioranza degli estoni fosse contraria allo spostamento, oltre alla solita percentuale agnostica del «non sa, non risponde». La recentissima proposta di Tallinn sulla sospensione dei visti Schengen a tutti i cittadini della Federazione russa, sembra aver lo stesso sapore di fuga in avanti della politica rispetto al più mite sentire della gente. D’altronde se ne fa portavoce un ministro degli Esteri, Urmas Reinsalu, già al centro di passate polemiche per aver supportato nel 2012 l’iniziativa tesa a dichiarare i veterani estoni arruolati nelle truppe delle SS naziste come «freedom fighters».

L’odierna società estone sembra avere, insomma, il dono intrinseco di saper trasformare in maniera positiva le cicatrici del Novecento. Gli estoni (un milione e 300 mila all’anagrafe) tendono a conciliare senza scorie il passato, il presente e il futuro. Da una parte i valori occidentali sono interpretati senza ambiguità: l’adesione all’Unione europea alla moneta unica è solida, come quella alla Nato. In campo economico l’approccio alla information technology è da primato mondiale: qui Skype è stato cullato in origine; rumors accreditano l’Estonia come patria dei bitcoin; la e-residency è un fiore all’occhiello e le start-up cosiddette unicorn (quelle in grado di raggiungere la valutazione di un miliardo di dollari nel primo periodo di attività) vedono il Paese in testa alla classifica mondiale pro-capite.

Ma qui anche sfogliare un neutro opuscolo destinato ai turisti può farti incappare in una celata dichiarazione geopolitica: una mappa posta a inizio libretto indica infatti la distanza fra Tallinn e le principali mete europee e mondiali: tutte le direttrici sono contemplate, persino i 15.218 km per raggiungere Sydney in Australia, ma non c’è Mosca, e nemmeno Volgograd o Vladivostok. Siccome non si legge una data sul suddetto opuscolo (che celebra la salubre materia prima della cucina estone), è impossibile capire se l’omissione sia per senso pratico, e cioè frutto dell’attuale chiusura dei cieli russi (molto più sbandierata che effettiva), o una scelta di campo deliberata in tempi recenti o da sempre.

Eppure a Narva, la città di confine con la Russia grazie al collegamento offerto dal piccolo «Friendship Bridge», Mosca è la patria di riferimento per la maggioranza della popolazione russofona e nulla, nemmeno il retaggio degli anni più cupi del comunismo (li ricordano inesorabili la prigione Patarei di Tallinn e altri musei di città minori), crea attriti tra estoni e ingombranti vicini. In ogni caso, la situazione dei frontalieri e di tutti gli apolidi russofoni, normata dai passaporti grigi, è tenuta sotto controllo dalla capitale.

Perché – è bene far chiarezza – una categoria sono i centomila russi con passaporto della Federazione che hanno deciso di vivere in Estonia e un’altra sono i centomila «slavi ex sovietici» che sono giunti nel Paese durante l’era sovietica e a tutt’oggi non possiedono né passaporto estone, né russo. Apolidi, appunto, un po’ come la melancolica statua di Lenin: abbattuta proprio no, ma rimossa dal suo luogo originale sì, e che adesso riposa in un quieto angolo del castello di Hermann. Nel resto del Paese, nonostante l’ambasciata russa di Tallinn abbia le transenne stracolme di j’accuse indignati e su molti palazzi pubblici sventoli anche la bandiera di Kiev, nei teatri si mette tranquillamente in scena lo Stalker di Andrej Tarkosvkij. Così come il balletto, diamante della magistrale scuola russa, è una delle discipline più amate dalle famiglie estoni, di ogni ceto sociale, per i loro figli.

Anche il settore del turismo di lusso, in costante crescita e di primissima qualità, soffre l’assenza della clientela in arrivo dalla Federazione, non solo in quanto celeberrimi big spender, ma per la mancanza di una costola identitaria della storia nazionale che ha lasciato un segno indelebile, per esempio, nelle residenze d’epoca d’ispirazione zarista, sparse per tutta la nazione. Se la Tallinn medievale conserva ascendenze architettoniche tedesche, danesi e svedesi, l’isola di Muhu sfoggia con riservatezza alcune dimore suntuose – proprietà della casta altolocata all’epoca dei Romanov – e oggi rivisitate per l’accoglienza di viaggiatori super esigenti, forse non troppo interessati alle grandi contraddizioni della Storia.

Tra le oltre 2 mila isole e isolette estoni, Muhu sembra svolgere per una vasta élite europea (che dalla Svizzera, passando per la Germania, ingloba la Scandinavia e i Paesi baltici) il ruolo che Martha’s Vineyards svolge per l’upper class americana. Un luogo incontaminato, da raggiungere spesso in elicottero, lontano dalle turbolenze sociali ed economiche dell’Europa mediterranea. L’Estonia non s’accontenta di essere attuale, cerca l’avanguardia, ma lo fa senza frenesie e con larghezza di vedute. I due esempi più plastici – appunto ai lati opposti dello spettro – sono rappresentati da Kadriorg Park e dal museo Fotografiska, entrambi a Tallinn.

Il primo è un sontuoso palazzo con annesso parco, voluto da Pietro il Grande a inizio Settecento. Settanta ettari d’estensione – il minimo per la grandeur di uno zar – racchiudono le architetture e l’arte del giardinaggio dei due secoli successivi. Un polo museale e un giardino giapponese completano l’armonico e conciliante sito, dove ristoranti francesi offrono ostriche alla Rockefeller. Il secondo è invece un museo dedicato esclusivamente all’arte fotografica (con altre sedi eccellenti, tutte sensibili all’avanguardia come Stoccolma, New York e Berlino) dove artisti di fama mondiale espongono, è il caso dell’attuale mostra Introspections dell’americano Frank Ockenfels, opere taglienti, senza censure, senza paura di dare scandalo.

Libero da un’ideologia totemica che per quarant’anni ne ha esasperato ma non fiaccato lo spirito nazionale, l’armonico mosaico estone potrebbe oggi, in definitiva, fornire da paradigma? Una forma di dialogo costruttivo rispetto alla logica, purtroppo rediviva, del muro contro muro tra Est e Ovest? Non è una risposta semplice, ma una strada possibile forse sì. © riproduzione riservata

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