Oggi Giuseppe Conte lotta contro qualsiasi impegno del governo nel fornire aiuti militari all’Ucraina. Lo stesso leader del Movimento 5 stelle, quando era capo del governo e doveva prendere le decisioni, aumentò a dismisura le cifre destinate a bombe, missili e ogni genere di mezzo creato per la guerra. Ma dall’elmetto al rametto d’ulivo è stato un attimo.
«Le armi da difensive sono diventate sempre più offensive. Non possiamo sostenere ulteriori forniture militari e invitiamo tutto il Parlamento a uscire da questo equivoco». È il 22 marzo scorso quando, intervenendo in Aula alla Camera, il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, si scaglia contro il governo di Giorgia Meloni, reo di aver dato un imprinting militaresco al suo operato. Poche settimane prima, d’altronde, era sempre Conte ad attaccare il presidente del Consiglio in visita in quel momento a Kiev da Volodymyr Zelensky. «Se è andata a promettere sempre nuove armi deve dirlo: qui non c’è un mandato parlamentare. Cos’è andata a promettere?», scandiva Conte il pacifista. Conte l’anti-militarista. Conte l’acerrimo nemico dei guerrafondai che, a sentire il leader pentastellato, non possono che essere il ministro Guido Crosetto e soci. Eppure, andando a spulciare i decreti varati dai governi che si sono succeduti nella scorsa legislatura e che hanno autorizzato nuovi programmi militari, le cose stanno in maniera decisamente diversa.
Tutto ruota attorno a un numero, non proprio banale: 37,8. E non parliamo ovviamente di milioni, ma di miliardi. Sì, proprio così: 37,8 miliardi è la spesa dei programmi militari pluriennali autorizzati durante la scorsa legislatura dai governi Conte 1, Conte 2 e Draghi (che il Movimento appoggiava). Una cifra da capogiro che cozza irrimediabilmente con la maschera anti-bellica che gli stessi Cinque stelle vogliono oggi indossare. Andando ad analizzare il conto anno per anno, scopriamo che nel 2019 sono stati autorizzati programmi per 5,4 miliardi; nel 2020 per 3,6. Il boom si è verificato nel 2021, quando la spesa autorizzata ha superato i 15 miliardi, attestandosi poi nel 2022 sui 13,2 miliardi di euro.
Qualcuno potrebbe dire, a questo punto, che l’incremento spaventoso si è avuto allora con Mario Draghi, subentrato a Conte nel febbraio 2021. Peccato che così non sia. Perché, come si legge su un documento pubblicato dai tecnici di Montecitorio e recuperato da Panorama, «nel biennio 2021-22 la quasi totalità dei programmi d’arma è stata finanziata sul bilancio della Difesa, in virtù del rifinanziamento di 12,35 miliardi di euro su un periodo quindicennale operato dalla Legge di Bilancio 2021 sul “Fondo relativo all’attuazione dei Programmi di Investimento Pluriennale per le esigenze di Difesa Nazionale”, capitolo dello stato di previsione del Ministero della Difesa». E chi ha approvato la legge di Bilancio 2021? Il governo Conte a fine dicembre del 2020. Insomma, di fatto è stato l’esecutivo pentastellato – e nella fattispecie giallorosso, dato che a governare c’era anche il Pd – a far sì che tanto nel 2021 quanto nel 2022 la spesa esplodesse. Nel vero senso della parola.
Altro, dunque, che pacifismo. E al maxi-piatto della Difesa si sono «alimentati» un po’ tutti. I programmi coinvolgono, infatti, le Forze armate nella loro interezza, e in quattro casi l’Arma dei Carabinieri. La maggior parte riguardano l’Aeronautica militare (27 programmi), 19 programmi sono attribuibili alla Marina, 21 all’Esercito italiano e 9 sono programmi interforze. A livello di stanziamenti, la Marina registra circa 12,3 miliardi e l’Aeronautica quasi 12 miliardi di euro. Il resto a seguire.
Nel lungo elenco di decreti autorizzativi, ce n’è per tutti i gusti. Uno dei primi contratti è stato, tanto per dire, l’autorizzazione alla realizzazione di due nuovi sottomarini, di una serie complessiva di quattro. Costo totale della spesa: 806 milioni di euro. Ma se nei prossimi 15 anni venisse confermata l’opzione sugli altri due sommergibili, ecco che si raggiungono addirittura 2,6 miliardi. E questo è il punto: i governi della scorsa legislatura (come d’altronde spesso accade) hanno autorizzato cosiddetti «programmi pluriennali» che, dunque, avranno ricadute almeno da qui ai prossimi dieci anni. Senza dimenticare, come nel caso dei sommergibili, che molti decreti prevedono più fasi e dunque magari un’autorizzazione effettiva alla spesa per la prima fase e l’opzione sulle successive. Il risultato è che i 37 miliardi di cui abbiamo parlato sono solo una quota di quanto effettivamente autorizzato. Non è finita qui. Sempre nel 2019 è stato approvato anche lo «sviluppo e successiva produzione» di un nuovo sistema missilistico per 395 milioni di euro.
Nell’elenco, poi, troviamo la progettazione di un nuovo elicottero «da esplorazione e scorta» (2,2 miliardi), l’acquisto di «100 veicoli di nuova blindo centauro per le unità dell’esercito italiano» (1,4 miliardi), addirittura l’approvvigionamento di «razzi guidati» per 418 milioni. E poi, ancora, droni di ogni tipo (uno dei programmi a riguardo arriva alla bellezza di 3,8 miliardi), nuove unità navali (ce n’è uno da 823 milioni, uno da 2,2 miliardi, uno da un miliardo circa), «munizionamento per cannoni e lanciatori per razzi» (45 milioni), nuovi cacciatorpedinieri (2,3 miliardi), e così via. Di esempi ce ne sono a iosa. Ma il tratto davvero singolare è che si moltiplicano programmi militari tra loro simili. Di razzi e missili, l’elenco è lungo. Agli inizi del 2021, tanto per dire, è stato autorizzato un progetto per «ammodernamento, rinnovamento e potenziamento della capacità nazionale di difesa aerea e missilistica a protezione del territorio nazionale e dell’Alleanza atlantica».
Costo complessivo: 3 miliardi di euro da qui al 2035. Insomma, proprio Conte che solo alcune settimane fa inveiva contro il governo colpevole di essere «schienato» e non semplicemente «schierato» a favore della Nato, ha contribuito ad autorizzare un programma che comporta una spesa colossale per un progetto che nasce da quella stesso Nato. C’è da stupirsi? Probabilmente no. Ed ecco l’ultimo tassello del Conte «pacifista»: basta consultare la relazione annuale dell’Alleanza atlantica, pubblicata proprio qualche settimana fa, da cui emergono particolari piuttosto curiosi. A riprova di quanto detto, anche da qui emerge come l’Italia abbia aumentato gli investimenti in maniera considerevole nel 2020, con un salto da 21 miliardi di euro a oltre 26, per arrivare a 28 nel 2022. Il parametro di riferimento nei dibattiti politici e sul quale lo stesso Conte continua ad attaccare la Meloni è il fatidico 2 per cento del Prodotto interno lordo (Pil) richiesto dai vertici Nato. Una percentuale a cui, è bene dirlo, non siamo mai arrivati. Ma chi, tra tutti, ci è andato più vicino? È ancora la relazione a dirlo con chiarezza: l’ultimo dato disponibile (2022) dice che siamo a 1,51 per cento del Pil. Nel 2020, invece, si è registrato il record assoluto per l’Italia: 1,60.
