Il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro da tempo dev’essere cancellato. Invece continua a lanciare comitati e pubblicare opuscoli. Con una cifra complessiva per il bilancio pubblico di quasi 9 milioni di euro.
A sentire i parlamentari non ci sono dubbi: se c’è una riforma su cui tutti, a destra come a sinistra, sono d’accordo è l’abolizione del Cnel. Dovrebbe dare indicazioni in campo economico e lavorativo, ma i fatti dicono che sin dalla nascita della Repubblica nessuna proposta elaborata dal Cnel è diventata legge. Giudicato non a caso superfluo e poco produttivo dalla classe politica, la cancellazione dalla Carta costituzionale del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro era prevista già dalla riforma Boschi.
Progetto naufragato nel referendum del 4 dicembre 2016. Addirittura Luigi Di Maio, quando nell’epoca referendaria era rivale di Matteo Renzi prima di diventarne alleato, descriveva la cancellazione del Cnel come uno «zuccherino» in una riforma da bocciare. A riparlarne, ai tempi del governo gialloverde, era stato Riccardo Fraccaro (quando era ministro dei Rapporti con il Parlamento dell’esecutivo gialloverde): «Il Cnel» diceva il 4 maggio 2019 «si è rivelato un ente inadeguato agli scopi per cui era stato concepito». Un’accusa fieramente rigettata: «È chiaro che la politica non guardi di buon occhio chi fa le pulci a governo e Parlamento» dicono dal Cnel.
Eppure ancora oggi è diffusa l’idea, specie dopo il taglio del numero dei parlamentari, che nella revisione della Costituzione si rimetterà mano pure al fatidico articolo 99, quello appunto che istituisce il Consiglio, oggi presieduto dall’ex ministro Tiziano Treu e amministrato in qualità di segretario generale da un’altra ex conoscenza del mondo politico, Paolo Peluffo, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Mario Monti.
Quel che è certo, però, è che il Cnel non ha alcun desiderio di mollare e, mai come quest’anno, la produzione legislativa è stata imparagonabile a quella delle ultime legislature. «Questa consiliatura è nata nel momento peggiore. Ma noi stiamo andando avanti con consiglieri che sono di grande qualità, smentendo una delle critiche che attaccava la scarsa attività del Consiglio» dice Treu a Panorama.
Uno degli obiettivi di quest’organo costituzionale, formato da 65 membri rappresentanti del mondo dell’economia e del lavoro, è presentare proposte di legge. Ebbene, da inizio legislatura tra Camera e Senato sono state depositate 32 disegni di legge (16 alla Camera e altrettanti al Senato). Un’enormità rispetto ai 10 della XVII legislatura (2013-2018), 6 della XVI (2008-2013) e ai 4 della XV (2006-2008). Alcune hanno il tratto dell’autoreferenzialità.
Già a maggio 2019, per dire, il Consiglio proponeva la «istituzione del Comitato nazionale per la produttività presso il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro». L’idea lanciata dal Cnel è istituire un comitato interno allo stesso Cnel. Altro che abolizione. Eloquente anche la proposta, presentata un mese dopo a giugno 2019, relativa alle pari opportunità sulla «situazione del personale». Il ddl prevede che «con cadenza biennale» a riferire in Parlamento sul bilancio di genere sia sempre il Cnel.
Insomma, a voler assegnare ruoli che rendano imprescindibile la presenza del Cnel pare essere proprio il Cnel nell’attesa di capire il suo destino, annotano i più maligni. Ma Treu respinge al mittente la campagna pro-abolizione: «Siamo un bersaglio facile. L’ideologia della “disintermediazione” ci indica come un filtro inutile, ma è un approccio costituzionalmente sbagliato. I padri costituenti avevano previsto la presenza di organismi intermedi».
Così il Consiglio ha deciso di far conoscere le idee dell’ente anche al resto dei Paesi europei. A maggio scorso il Consiglio ha redatto un opuscolo: Il mondo che verrà. Interpretare e orientare lo sviluppo dopo la crisi sanitaria globale. Nel libro il Cnel ha chiesto a 16 autorevoli economisti, politici e giuristi la loro opinione: da Emma Bonino a Giuseppe De Rita, da Enrico Letta a Romano Prodi passando per Giulio Tremonti e Paola Severino. Il costo è stato di oltre 7.000 euro per tradurre una versione anche in inglese e francese.
Ma è solo una delle tante spese che il Cnel sostiene. In attesa di conoscere il bilancio di previsione 2021, emerge che per quest’anno l’organo di rango costituzionale conta di spendere 8,8 milioni di euro. A tanto ammontano le cosiddette «spese correnti». Se poi si sommano anche le spese in conto capitale e le partite di giro, ecco che il bilancio di previsione, nella parte relativa alle uscite, arriva a 9,4 milioni di euro.
E non è poco considerando che secondo il bilancio di previsione 2019 inizialmente l’ente contava di spendere 8,3 milioni. Nel dettaglio, per pagare l’intera governance si prevede di spendere 626.000 euro. Se è vero che i membri del Consiglio non percepiscono stipendio, è altrettanto vero che sono stati messi in conto 100.000 euro per coprire le «spese per la partecipazione di presidente, vice presidenti e consiglieri ai lavori del Consiglio», cui si aggiungono tra le altre cose ulteriori 295.000 euro per pagare – ovviamente – i dipendenti al servizio del presidente Treu.
Il grosso della spesa – 5,4 milioni di euro – sarà assorbito dalla macchina amministrativa: il personale diretto dal segretario Peluffo costerà 2,8 milioni. Ci sono, poi, servizi e forniture: dall’acquisto di carta e cancelleria (50.000 euro) alle spese per le relazioni istituzionali (120.000). Contrariamente a quello che si potrebbe pensare su un futuro difficile, il Cnel ha tutta l’intenzione di investire sul rinnovamento e la digitalizzazione: si prevede ad esempio di spendere 460.000 euro per la manutenzione ordinaria di hardware e software. Bisogna d’altronde stare al passo coi tempi. E l’highlander Cnel questo l’ha capito.