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Rishi Sunak: il cancelliere che dà dispiaceri a Boris

Rishi Sunak: il cancelliere che dà dispiaceri a Boris

Il richiamo al rigore del responsabile economico del governo Rishi Sunak crea nuove difficoltà al premier Boris Johnson, già alle prese con la difficile attuazione della Brexit. E la competizione per la futura guida dei conservatori sembra essere cominciata.


«Torneremo a essere grandi e migliori di prima, ma a un costo». Così ha stabilito l’uomo simbolo della crisi del Covid nel Regno Unito, il Mario Draghi britannico. Quello che un anno e mezzo fa promise al Paese che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutare la sua gente a restare a galla. E che non è Boris Johnson, ma Rishi Sunak, il cancelliere dello Scacchiere che più di ogni altro suo collega ha dovuto affrontare un mandato irto di ostacoli.

Se questi anni passati all’esecutivo fossero una strada d’asfalto e ciottoli, avrebbe già dovuto revisionare freni e frizione, eppure lui non ha paura di schiacciare sull’acceleratore. Così, l’uomo con la valigetta rossa (quella che, per tradizione, contiene il documento di revisione economica) che il 27 di ottobre si appresta a presentare il nuovo Budget, ha già anticipato al pubblico la sostanza della sua ricetta al congresso conservatore a inizio ottobre.

Ed è una pillola piuttosto amara, con due semplici elementi. Primo: risanamento del debito pubblico con il rigore fiscale. Secondo: aiuti mirati a persone e imprese, sempre guardando avanti. La conclusione è netta: scordatevi che tutto questo vi sia dato gratis. Per un Paese già provato, che affronta le conseguenze della pandemia e del post-Brexit, non è cosa facile da mandare giù.

Il «furlough», ossia le politiche di supporto alle aziende, è stato eliminato, così come le 20 sterline aggiuntive a settimana dell’Universal credit (il benefit destinati ai cittadini), proprio in un periodo in cui il costo della spesa dell’inglese medio continua a crescere. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio nazionale di statistica i prezzi al consumo – che comprendono trasporti, cibo, vestiario, costi per il mantenimento della casa – sono aumentati del 2% rispetto al mese prima. E continueranno a salire, almeno nel breve termine, a fronte di una crisi globale che in Inghilterra è acuita dalle conseguenze dell’uscita dalla Ue.

Il Tesoriere Sunak lo sa bene e ritiene che l’unico modo per farcela sia accettare la situazione, stringere i denti e lavorare a testa bassa, fino a che le cose non miglioreranno. «La nostra ripresa ha un prezzo e finanze pubbliche solide non capitano per caso» ha detto al congresso annuale del partito, che tradotto significa «a ogni spesa deve corrispondere un’entrata».

Magari non sarà proprio così brutta. «Difficile che la manovra aggiuntiva di spesa pubblica da 14 miliardi di sterline prevista nei prossimi tre anni venga compensata nel Budget d’autunno da corrispondenti aumenti delle tasse» spiega Paul Johnson, direttore dell’Institute for fiscal studies di Londra. «Piuttosto ci saranno anche tagli in altri settori».

È quello che temono i dipartimenti di alcuni ministeri, che già si sono visti decurtare del 40% i fondi nel periodo del Covid. E nei corridoi di Westminster l’aria si taglia col coltello, dato che sono in molti a temere che la prossima iniezione d’ossigeno vada a finire nelle casse di sanità, istruzione, assistenza sociale e difesa, lasciando ulteriormente a secco trasporti, giustizia e aiuti internazionali.

Quest’ultimo settore se l’aspetta, visti i rapporti non idilliaci con l’Europa, il secondo (che in termini di efficienza e efficacia sta assomigliando sempre più a quello italiano) spera di no, il primo non ne vuole proprio sapere, dato che è già stato costretto ad aumentare le tariffe di treni e metropolitane per compensare gli ammanchi di cassa. La coperta però, è quella che è, e Rishi è un conservatore in senso stretto. Tra l’aprile 2020 e quello 2021 il governo britannico si è indebitato per 299 miliardi di sterline, la cifra più alta dal 1946, e continuerà a farlo anche nel prossimo anno fiscale.

L’esecutivo ha promesso ulteriori finanziamenti per il reinserimento dei disoccupati di mezz’età nel mondo del lavoro, l’aggiornamento professionale dei giovani, l’intelligenza artificiale, e poi per le infrastrutture a costo zero, l’ambiente, la realizzazione di nuovi ospedali e l’assunzione di infermieri e insegnanti.

«Ma impegni di spesa senza copertura, spese avventate e un debito pubblico in continua salita non fanno parte del patrimonio conservatore» ha tuonato Sunak dal palco del congresso di Manchester, usando quel tono serio e affidabile che ha fatto di lui il politico più popolare degli ultimi cinque anni.

I sondaggi lo danno davanti al premier di un bel po’ di punti, segno inconfutabile che la gente si fida di più di uno disposto a essere onesto anche quando gli annunci non sono piacevoli. Inoltre il vento è cambiato da tempo; l’ottimismo ad oltranza di Johnson viene recepito come indifferenza ai problemi quotidiani ed è un attimo che quel signore di due metri, sposato a una delle donne più ricche del Paese e un conto in banca da capogiro, gli soffi il posto. Se vuol avere ancora una possibilità di vincere le politiche del 2024, BoJo deve tenerlo bene a mente.

L’ha già fatto, visto che Sunak è sopravvissuto alla strage del rimpasto di governo di settembre, nonostante tra di loro non corresse buon sangue. Non solo, secondo quanto rivelato dal quotidiano Sunday Times i due avrebbero stretto persino un accordo segreto in base a cui il primo ministro avrebbe acconsentito ad appoggiare il suo cancelliere su un ragionevole aumento delle tasse, per strappargli la promessa di un taglio futuro alla vigilia del voto. Alla fine, gli elettori hanno ascoltato attoniti il premier che perorava ai giornalisti la necessità di un periodo di lacrime e sangue, per dirla con Sir Winston Churchill, e richiamava all’ordine persino i suoi amici di Confindustria.

«Il Paese deve andare avanti, superare lo stanco e fallimentare approccio di un mondo del lavoro appiattito sull’assunzione di manopera straniera a basso costo» ha dichiarato Johnson. «Quelle aziende che ora danno la colpa al governo per le file ai distributori di benzina o la carenza di manodopera specializzata, sapevano da anni che la Brexit sarebbe arrivata e non hanno fatto nulla per adeguarsi. È ora che si assumano le proprie responsabilità». A nulla vale la replica piccata della piccola e media industria che spiega come fossero impossibili un adeguamento e nuovi investimenti in una realtà che (durante le trattative per la Brexit) mutava continuamente e creava solo instabilità.

Peraltro, anche adesso la situazione è difficile. Gli inglesi hanno già dimostrato da una parte di non essere attratti dai posti di lavoro vacanti lasciati dai lavoratori dell’Est europeo (camionisti, macellai, badanti), dall’altra di non essere in grado di ricoprire ruoli che sembravano cuciti addosso a italiani e spagnoli come baristi, camerieri, pizzaioli e operatori del turismo. Al tempo stesso, i governi che si sono succeduti negli anni hanno sempre promesso corsi di formazione professionale poi rivelatisi insufficienti rispetto alla domanda. Infine, ora che Boris Johnson per far fronte all’emergenza ha acconsentito a richiamare in patria 5 mila europei con un visto temporaneo di tre mesi, l’offerta è caduta nel vuoto. Le domande di lavoro presentate da parte di autotrasportatori europei la scorsa settimana erano 27.

Ma le conclusioni del capo di governo sono senza appello. «I salari devono aumentare e la professionalità migliorare. Il Paese ha la forza per farcela» ha scandito alla Bbc. «Così, però, cresceranno anche i prezzi e l’inflazione» ha replicato il giornalista. «Non sono preoccupato, si tratta solo di un periodo di transizione, poi la Brexit darà i suoi frutti. E comunque, non c’è alternativa» ha detto Johnson, parafrasando la «lady di ferro» Margaret Thatcher. Sulla prima parte della frase, tutti si augurano che abbia ragione. Sull’ultima, quello che non ha alternativa invece è lui. Perché, comunque sia, Sunak gli sta con il fiato sul collo e non solo dal punto di vista delle Finanze.

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